1918, fuga dalla Russia. Una famiglia ticinese e la Rivoluzione
Una nuova produzione RSI narra le vicende della famiglia Raggi di Morcote, che nel 1918 dovette lasciare il Caucaso in seguito ai moti bolscevichi. Ne abbiamo parlato con il suo regista, Ruben Rossello.
Le storiehanno sempre il loro fascino. Soprattutto, le storie nascondono altre storie, tutto sta nel trovarle o avere la fortuna che siano loro a venirci incontro. » successo più omeno così a Ruben Rossello, giornalista e regista RSI, alla sua seconda docufiction; la prima, tre anni fa, era dedicata ai 500 anni della battaglia diMarignano. Il punto di partenza è stato il centenariodellaRivoluzione russadel 1917. Approfondendo il contesto storico è emersa la vicenda quasi dimenticata, eppure interessantissima, della Colonia italosvizzera di SanNicola, nelCaucaso, fondata alla fine dell’800 da un agronomo di Morcote: «La comunità svizzera in Russia era folta: traMosca, San Pietro- burgo e altre città dell’impero contava all’epoca circa 10mila persone, 8mila scapperanno dopo la rivoluzione bolscevica di ottobre».
E come in un gioco di Matriosche, da questa grande vicenda ne sono emerse delle altre: «Chi fa documentari di narrazione cerca sempre delle storie da raccontare e quelle che abbiamo trovato questa volta, al di là del tema storico che meritava, si prestavano meravigliosamente ad essere narrate». E sono in particolare quella diMicheleRaggi – originario diMorcote, fondatore di una fiorente azienda agricola – e quella di Germaine Kaufmann-Bauer, originaria di Neuchâtel, vissuta negli agi e nel lusso di San Pietroburgo fino alla Ri- voluzione. Sono loro, ognuno con una prospettiva diversa della Rivoluzione, i protagonisti della docufiction 1918, fuga dalla Russia. «QuandoMicheleRaggi nel 1895 decise di trasferirsi nel sud dellaRussia con la moglie Angelica, insieme ad altri sette ticinesi e comaschi, ebbe una grande intuizione. Decise di fondare la Colonia agricola svizzera-italiana di San Nicola. Un villaggio intero che Raggi costruì per sÈ, per le famiglie che lo avevano accompagnato e per i lavoratori russi coinvolti. In tutto, la comunità, perfettamente organizzata, contava 400 persone». A testimonianza di quel periodo c’è un contratto di 13 pagine del 1896 firmato da Michele Raggi e un
principerussochegli affittalaterraper 24 anni. Nel suo diario Raggi racconta come le rese agricole in quella zona fosseromediocri, in particolare perchÈ l’agricoltura continuava a essere ancorata a dei sistemi di produzione primitivi. «Quest’uomo ha avuto il merito di introdurre le tecniche di lavoro più moderne per l’allevamento del bestiame, la colturadella viteedegli alberi da frutto».
Traditi da una promessa
Il diario è un elemento fondamentale: Michele Raggi, colpito dagli sviluppi della Rivoluzione, per dieci mesi scrive giornalmente le sue impressioni «inizialmente favorevole alla Rivoluzione del febbraio del 1917, addirittura racconta del regime zarista come di un regime poliziesco, insopportabile per tanti versi, saluta l’avvento della rivoluzione e la caduta dello zarismo come un possibile beneficio per il paese. Poi però rimane assolutamente amareggiato e impaurito da quello che succederà con la presa del potere da parte dei bolscevichi. Le cose cambiano, simanifestano una serie di violenze che si ripercuotono sulla loro azienda agricola che viene saccheggiata e lui, di fronte a questo orrore e questa violenza, abbandona tutto e scappa». Riuscirà a fuggire e a salvare la famiglia tornandoaMorcote all’inizio del 1919, mamorirà pochi giorni dopo.
E se Michele Raggi, inizialmente, era stato un fautore della rivoluzione, non lo era affatto Germaine KaufmannBauer, originaria di Neuchâtel, anche lei autrice di un emozionato diario della vita famigliare a San Pietroburgo prima della Rivoluzione. «La nostra ambizione non si limitava a voler raccontare una sola vicenda famigliare, seppur straordinaria, ma di offrire alla SSR, che ha selezionato e sostenuto questo progetto, un soggetto di respiro nazionale. Per questo abbiamo scelto di raccontare anche la vicenda di questa famigliasvizzeraaSanPietroburgo, persone di tutt’altro ambiente: il padre di Germaine era direttore del ristorante del più grande albergo della città. Una famiglia molto legata all’aristocrazia zarista, con una percezione degli avvenimenti del tempo completamente diversa da quella di Michele Raggi. Da un lato abbiamo la nostalgia infinita della famigliaKaufmanncheconlafine dello zar vede svanire il propriomondo, dall’altra parte la tragedia di Michele Raggi che in un primo momento accoglie la Rivoluzione con grande speran- zaper sÈeper il paese, ma allafinedeve arrendersi alla delusione e all’amarezza». Anche la famiglia di Germaine sarà costretta a fuggire, il 17 ottobre 1918 sale su uno degli ultimi treni organizzati dalla Croce Rossa e dalla Delegazione elvetica di San Pietroburgo per il rimpatrio degli svizzeri.
Tra il Caucaso e casa nostra
Siamo alle ultime battute, chiediamo al regista dove è stata girata la docufiction... «Per la parte documentaristica siamo stati inCaucaso, dove il pronipote Michele e sua moglie Renata Raggi sono voluti tornare per ripercorrere le tracce di famiglia. » stato emozionante scoprire come da quelle parti la memoria della colonia svizzera sia ancora molto viva, c’è ancora molta gratitudine e un ricordo affettuoso per l’azienda agricola dei Raggi. La parte fiction invece è stata girata in Ticino; sul nostro territorio esistono delle case russe costruite a fine ’800 che si sono prestate perfettamente. Nonvogliodire dove, lo scoprirete sullo schermo».