Arto Lindsay. Non solo musica
Ospite del festival di letteratura e traduzione Babel, il grande chitarrista americano ci parla dei suoi molteplici interessi nel mondo delle arti.
Un musicista che fa altre cose. Si presenta così Arto Lindsay, chitarrista atipico, cantante, autore, produttore con un piede a New York e uno in Brasile. E spiega: «Puoi anche pensare a queste altre cose – leggere, ballare, tradurre, inscenare cortei e installazioni – come modi di fare musica. Oppure puoi pensare alla mia musica come se fosse un’altra forma d’arte».
Interzona
Gli piace spiazzare, insomma, e la sua musica è proprio lì a dimostrarlo: dalla sottocultura musicale no wave che contribuì a forgiare coi suoiD.N. A. sotto la benedizione di Brian Eno – insegnando al mondo che «non c’è una vera differenza fra ciò che la gente chiama melodia e ciò che chiama rumore» – al punk jazz dei Lounge Lizards, fino al ricercato pop degli Ambitious Lovers e a lavori solisti nei quali elettronica e bossa nova, sensualità musicale e versi ermetici si incontrano e scontrano senza tregua. «Voglio offrire un’esperienza totale», ci spiega del suo ultimo album, Cuidado Madame ( Northern Spy Records/ Ponderosa Music & Art, 2017). Un viaggio fra tropici e lande gelate, un’esperienza al contempo fisica e ascetica, giocata su un meccanismo originale: «Separare gli estremi, e chiedere all’ascoltatore di saltarci in mezzo».
Un americano in Brasile
Figlio dimissionari presbiteriani, Lindsay è nato in Virginia, ma è cresciuto in Brasile. Il suo primo ricordo musicale è «miamamma che suona ilpiano. Forse Chopin...?».
Scrive e canta in inglese e portoghese, senza per questo voler risolvere il paradosso fra l’influsso americano («correre via dalle parole») e quello brasiliano («correre incontro alle parole»). Un paradosso che si ritrova nel modo unico di suonare la sua sei corde, insieme fluido e percussivo, levigato e ruvido: «Ho sviluppato questo stile da giovane, e ho deciso di continuare così invece di competere con JimiHendrix», racconta col suo consueto dry humour a pochi giornidal concerto al Teatro Sociale di Bellinzona (il prossimo 15 settembre), nell’ambito del festival Babel.
Che poi dici Brasile, e pensi subito alla ragazza di Ipanema: tutto un dolce ancheggiare sul bagnasciuga, passi lenti di pantera, cose così. E di certo il Brasile di Lindsay ingloba anche quello di Jobim e de Moraes, della bossa e della
samba canção: una tradizione «che come tutte quelle della diaspora ha le sue forme peculiari di tenerezza e resistenza», il cui ritmo «si può suddividere fra le varie parti del corpo, scegliendo cosa seguire e cosa ignorare».
È abbastanza? Non basta...
Ma tornano anche le sonorità tradizionali di antichi culti sincretici come il CandomblÈ: donde il recente ricorso agli atabaques, «tamburi che possono suonare sia lo schema ritmico che la melodia». Un’esperienza quasi mistica: «Gli atabaques sono usati per indurre uno stato di trance. Ti aiutano a concentrarti e danzare, ma allo stesso tempo tentano di farti inciampare. Cercano di farti cadere fuori da te stesso». Per capire cosa intende basta ascoltare la splendida Unpair, inedito mix di tropicalia e noise, o VaoQueimar Ou Botando PraDançar, marcia tribale che affida la sua ascesi al virtuosismo del Lindsay chitarrista. La storia che si delinea ascoltandolo è dunque quella di un chierico vagante, un poeta e un intellettuale, un uomo che fa stridere i piani della sua coscienza come placche tettoniche, ed è da lì che nasce la suamusica: ben sapendo che poi, come cantava qualche anno fa, «gli abbastanza non sonomai abbastanza».