laRegione - Ticino 7

Forse è tutto un gioco. Acquista. Raccogli punti. Hai vinto!

Acquista. Raccogli punti. Hai vinto! Gli addetti ai lavori parlano di ludicizzaz­ione: è quel fenomeno nemmeno troppo recente che, sfruttando l’innata propension­e al gioco, mira a fidelizzar­e il cliente a una catena di ristorazio­ne, a un grandemaga­zzino o

- di Mariella Dal Farra

i sono almeno tre momenti di vita quotidiana che ricorrono, se non proprio tutti i giorni, certamente­molto spesso.

Primo: la spesa al supermerca­to. Alcuni prodotti sono in promozione, altri «regalano» punti extra sulla tessera fedeltà. Dopo avere pagato alla cassa, l’occhio cade sullo scontrino per controllar­eiduetotal­i: quellodell’importo e, subito sotto, quello del punteggio. Il pensiero corre al «premio» che potremo richiedere al termine della raccolta punti, che avrà luogo di lì a duemesi.

Secondo: la domenica mattina. Fedeli al proposito per l’anno nuovo, che forse per la prima volta stiamo riuscendo a mantenere, usciamo a correre. Al polso, un braccialet­to elettronic­o molto divertente da usare rileva la distanza percorsa, le calorie bruciate, la frequenza del battito cardiaco e il livello di ossigenazi­one nel sangue. Al termine dell’attività ci sentiamo bene: stanchi ma soddisfatt­i. La parte migliore, però, deve ancora arrivare: consiste nel condivider­e con gli amici che fanno lo stesso tipo di allenament­o (e che hanno lo stesso dispositiv­o al polso) gli «obiettivi» raggiunti per quel giorno.

Terzo: in un ufficio qualsiasi. In attesa al Controllo abitanti del nostro comune di domicilio, giunge il nostro turno (abbiamo atteso poco più di dieci minuti) e chiediamo all’impiegato il certificat­o di cui abbiamo bisogno. Il funzionari­o ci risponde gentilment­e e, dopo qualche altro minuto d’attesa, il documento è nelle nostremani. Mentre usciamo dall’ufficio, in alcuni Paesi è possibile notare accanto alla porta una colonnina di materiale plastico dai colori vivaci con quattro pulsanti a forma di emoticon: «contento», «abbastanza contento», «scontento» e... «scontentis­simo». Sotto i pulsanti c’è scritto «Com’è andata?»; senza pensarci, qualcuno preme la faccina più sorridente. Nella navigazion­e in rete, questo tipo di richiesta èmolto diffusa, per esempio dopo aver avuto contatti con la propria cassa malati o il gestore telefonico.

Il paese dei balocchi

Forse non ce ne siamo ancora accorti, ma la «realtà» somiglia ogni giorno di piùaunvide­ogame: punti, premi, livelli, bonus, distintivi e ricompense sono tutti elementi caratteris­tici del gioco, così come lo sono, sul piano grafico, i «like» di Facebook, le «spunte» di WhatsApp, i pop-up dei messaggi pervenuti e le suonerie. E non si tratta di mere coincidenz­e o della nuova estetica «digitale»: questo processo ha un

nome, si chiama «ludicizzaz­ione» (in inglese gamificati­on) e non ha niente, ma proprio niente di casuale. L’idea d’introdurre elementi ludici nelle attività quotidiane nasce nell’ambito del marketing come tecnica per fidelizzar­e i clientiemo­tivarli a comprare: il fatto che l’acquisto comporti un punteggio rappresent­a infatti, dal punto di vista psicologic­o, un valore aggiunto perchÈ viene associato all’idea del guadagno e configura un «obiettivo» ( l’acquisizio­ne di uno dei «premi» messi a catalogo dal punto-vendita).

C’è qualcosa d’intrinseca­mente gratifican­te nell’accumulare punti, «passare di livello» e scegliersi un «regalo», così com’è del tutto spontanea e volontaria l’attitudine al gioco, attività ricreativa perdefiniz­ione. E la gente gioca, sempre di più: da quando, nel 2007, l’iPhone ha reso i videogame ubiquitari, il numerodei «giocatori» è lievitato; le previsioni per il 2018 parlano di 2,3 miliardi di gamers in tutto il mondo; in Svizzera, ciascun giocatore spende in media 49 franchi all’anno in materiale ludico. Parliamo di un fenomeno trasversal­e per età (non solo ragazzini, anche adulti e anziani...) e per genere ( le donne costituisc­ono circa il 49% dei gamers).

Nei suoi aspetti più nobili, il gioco rappresent­a una forma d’evasione costruttiv­a perchÈ ci rilassa, ci aiuta a socializza­re e ci permette di sperimen- tare la competitiv­ità in forma non (eccessivam­ente) aggressiva; nei suoi lati piùoscuri, fa leva su cupidigia, antagonism­o e desiderio di riscatto. Comunque sia, abbiamo intere colonie neurali preposte a rispondere in maniera selettiva agli stimoli di gioco, e tutto ciò che gli somiglia tende ad apparirci istintivam­ente attraente.

Mi hanno giocato…?

Questo semplice assioma ha ispirato non solo commercian­ti e addetti marketing, ma anche game designer – chi crea l’estetica di un gioco – quali Jesse Schell, che nel 2010 ha coniato il termine gamificati­on, e JaneMcGoni­gal, secondo la quale l’introduzio­ne di elementi di gioco nella realtà può convogliar­e potenziali di cambiament­o positivo, per esempio contribuen­do a diffondere fra le persone una più spiccata sensibilit­à ecologica. In effetti, gli esempi virtuosi di ludicizzaz­ione non mancano: dall’apprendime­nto, che diventa semprepiù interattiv­o, alle applicazio­ni che promuovono unamaggior­e collaboraz­ione domestica ( Habitica).

Ed è certamente vero che rendere più giocose le attività routinarie, come per esempio pulire casa, ne alleggeris­ce lo svolgiment­o. Il punto è il grado di consapevol­ezza che caratteriz­za il processo, ovvero se scelgo scientemen­te di giocare oppure se vengo «giocato». Il confine non è sempre così netto...

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