Francesco Fumagalli
Studiare le stelle non è utile. È proprio la mia vita
Romantico, sentimentale, molto scientifico, dall’animo filosofico e grande conoscitoredei Vangeli. Misura 1,90 e assomiglia a Lev Tolstoj. Se gli chiedi come stanno le cose ti racconta la strada per raggiungere quelle cose. A 12 anni ha visto per la prima volta la Luna in un telescopio e «si è ribaltato per terra», dice dietro la sua lunga barba. Poi non ha mai smesso di osservare il cielo, «perchÈ è bellissimo» e «perchÈ non ha assolutamente nessun risvolto pratico, nessuna ricaduta economica». Francesco Fumagalli, astronomo, costruttore di telescopi, viaggiatore e insegnante, è semplicemente un uomo che incarna il desiderio di conoscenza proprio dell’essere umano.
Dagli scatti alle stelle
Figlio di una farmacista e di un architetto, nasce nel Bergamasco in una casa la cui biblioteca è composta da 17mila volumi. Un giorno il padre regala al piccolo Francesco un telescopio e lui comincia a guardare il cielo, dapprima la luna, poi tutti i pianeti. Ai tempi del Liceo, con un amico passano i sabati notte sul monte vicino a casa, con l’Atlante delle costellazioni sulla coperta. Con i primi risparmi vanno a Parigi nel 1975, a un convegno di studiosi di stelle variabili, quelle stelle cioè che non emanano luce in modo costante e la cui intensità luminosa va misurata momento per momento. «Misurare la variazione di luce di una stella variabile mi ha insegnato il metodo scientifico: non dovevo condizionarmi, dovevo rimanere oggettivo, senza cercare di prevedere i risultati, altrimenti rischiavo di travisare la realtà. Per me è sempre stata una questione tanto etica quanto scientifica», mi racconta a pranzo sotto un albero della sua bella Carona, dove ha fondato l’Associazione Astrocalina. Allafinedegli anniSettanta va a trovare
SergioCortesi, rettore della Specola SolarediLocarnoche gli insegnacome costruire un telescopio. Poi inizia a girare l’Europa alla ricerca dei cieli più bui e di eclissi solari, fenomeno che secondo lui va visto almeno una volta nella vita. Si iscrive all’Università di Padova alla Facoltà di Astronomia ma non finisce gli studi; diventa però fotografo e inizia a dare corsi di astronomia in Ticino. Nel 1986 dà la sua prima conferenza al Liceo di Lugano 1 sulla cometa di Halley; così tanti allievi vogliono partecipare che nonbasta l’AulaMagna a contenerli: lo invitano quindi a tenere lezioni lì e in tutti i licei del cantone. Quando i suoi studenti gli dicono: «Sore, vogliamo comprarci un telescopio» lui tuona: «I telescopi non si comprano, si fanno!». Da lì inizia a cercare in ogni modo la vetroceramica russa, la migliore prodotta al mondo dell’epoca, che serve per gli specchi dei telescopi. Quando nel 1992 entra in ciò che resta dell’Unione Sovietica, gli sembra un paesedovec’èappenastata laguerra, dice. Eppure, ci lascia il cuore e ancora oggi ci torna: per la vetroceramica, perchÈ è diventato amico e collaboratore dei più grandi tecnici russi in campo astronomico e perchÈ suo suocero è stato un partigiano e il 9 maggio di ogni anno, a San Pietroburgo, sfila il reggimento degli immortali e Francesco è invitato ad alzare molto in alto l’immagine di questo suocero antifascista.
L’eterno dilemma
Secondo lui, non c’è nulla di contraddittorio nell’essere uno scienziato e credere in Dio. «Noi uomini di scienza indaghiamolamateriadi cui siamofatti e quindi non possiamo essere del tutto oggettivi: ci manca sempre il punto di vista esterno, il punto di vista che solo Dio può avere. Ecco perchÈ abbiamo bisogno di lui. Inoltre i Vangeli dicono ‘ beati i poveri di spirito e beati i puri di cuore’: la povertà di spirito simanifesta quando chi osserva i fenomeni naturali è disposto a mettere in gioco tutte le sue convinzioni davanti almanifestarsi della natura, e la purezza di cuore consiste nel non disturbare i segnali che vengono dalla natura e nel lasciarli passare il più possibile integri attraverso la nostra mente. Questa fatica caratterizza tutta l’attività di ricerca di uno scienziato».
Ciò spiega, secondo lui, perchÈ il metodo scientifico nasce nel mondo cristiano con Newton, che è un teologo. «Scienza e fede hanno bisogno l’una dell’altra affinchÈ nessuna delle due possa creare mostruosità», cita da uno dei libri letti da ragazzonella biblioteca paterna (Teilhard de Chardin). Quando il pranzovolge al termine, conclude così il riassunto della sua vita: «Alla fine una sola cosa mi sembra importante: se il ‘Francesco piccolo’ avesse visto il ‘Francesco grande’ avrebbe pensato ‘cappero, vorrei essere come lui’». Sorride, mi stringe la mano e riparte, sulla sua piccola auto verde, con l’autocollante I variable stars.