Cantine di Gandria. Rituali e profumi di lago
Rituali e profumi di lago
Eccoledentroipiedi delmonteCaprino, chiuse da pesanti chiavistelli arrugginiti, dietro a vecchi portoni di legnoumidoma solido, dove circola l'aria fresca della roccia capace di regalare sapori e aromi unici. Siamo alle Cantine di Gandria, uno dei gioielli del Ceresio raggiungibile solo via lago tramite battello (o taxi nautico). Coi loro grotti annessi, le cantine sono state «ricavatenella rocciafindalXVII e XVIIl secolo da famiglie patrizie luganesi» scrive la storicadell'arteSimona Martinoli. Da Gazzetta Ticinese si apprende che venivano date in affitto o vendute assieme alle ville dei patrizi. Oggi sono unmagnifico esempio di architettura rurale ticinese.
Nella natura
Avvicinandosi ai piedi del monte ecco spuntare dal bosco di tigli e frassini i primi tipici tetti rustici fatti di piode. » l'incanto dell'incontro tra lago e terra. Facendo un tuffo nel passato scopriamo che qui già negli anni Trenta si tenevano feste campestri, «serate ai grotti» e gare sportive. Le cantine erano, e sono tuttora, luogo animato e baldanzoso, dove si cantava e si suonava il Ticinoe lesuetradizioni, comepoi fece il popolare Trio di Gandria tra gli anni Quaranta/Ottanta. «Le cantine si raggiungono su per erte gradinate di sasso vivo, tra odore di terra, di felci e di vinello nostrano, di formaggini saporiti, di polente decisamente convincenti con certi pesci in carpione», scriveva EfremMasoni sullo storico Illustrazio
ne Ticinese. Era il 1962, ma ci fa venire appetito ancora oggi. Conviene allora vagare e perdersi su ciottoli e gradinate, tra tavoli e panche di granito, tra le mura di antiche tinaie dai colori pastello, respirando profumi inconfondibili che ancora ci inorgogliscono.
Vinello e non solo
Pare, ma nonne abbiamo certezza, che le cantine sorsero ancora prima del villaggio diGandria, il quale risalirebbe a metà del Quattrocento, scriveva il Masoni. Per contro è certo che si presentò «il bisogno sentito dai gandriesi – che erano tutti allevatori, pescatori ma soprattutto viticoltori – di conservare tale vinello in luogo idoneo». Grandi botti venivano collocate dentro oscure e fredde cantine incastrate nella roccia. Il segreto èmezzo svelato: nei muri a ridosso del monte ci sono fori (detti soffioni, in dialetto fiadiröö) larghi come calici di vino, da cui passa l'aria gelida proveniente dal ventre della montagna. Indissolubilmente legate ai grotti, le dispense conservavano non solo vino ma anche salumi, lardo, pancetta, poichÈ quasi ogni abitante possedeva almenounmaiale. Epoi ancora formaggi, pesce incarpione ecc. Erano luoghi privati di ristoro dopo il faticoso lavoro nei campi o nei boschi: lo testimonia una fotografia di inizio Novecento, quella della «Cantina Bordoni» con le sue «allegre merende di luganesi e gandriesi», narrava l'Efrem.
Fascino immutato
Se siete fortunati o abbastanza curiosi nonèdettocheunostegentile, proprietario di una cantina, non vi permetta di metterci dentro il naso, facendovi accapponare la pelle dal freddo che fa. Certo non ci si va più soltanto per cercare riposo e frescura, ma ancora oggi le cantine «sono lì apposta ad attendere le allegre brigate», narrava profetico il Masoni. Eppure ci tocca smentire il bravo cronista di allora, quando delle cantine lamentava «un fascino oggi quasi sparito dal nostro piccolo Ticino». No, quella poesia è intatta, altrimenti non ne parleremmo.
ALLE DOGANE Alla fine del percorso che collega Caprino alle Cantine di Gandria vale certo la pena visitare il Museo delle Dogane, che con documenti, oggetti e ricostruzioni racconta la dura lotta per la sopravvivenza in un passato legato al contrabbando.