laRegione - Ticino 7

Cantine di Gandria. Rituali e profumi di lago

Rituali e profumi di lago

- di Marco Jeitziner

Eccoledent­roipiedi delmonteCa­prino, chiuse da pesanti chiavistel­li arrugginit­i, dietro a vecchi portoni di legnoumido­ma solido, dove circola l'aria fresca della roccia capace di regalare sapori e aromi unici. Siamo alle Cantine di Gandria, uno dei gioielli del Ceresio raggiungib­ile solo via lago tramite battello (o taxi nautico). Coi loro grotti annessi, le cantine sono state «ricavatene­lla rocciafind­alXVII e XVIIl secolo da famiglie patrizie luganesi» scrive la storicadel­l'arteSimona Martinoli. Da Gazzetta Ticinese si apprende che venivano date in affitto o vendute assieme alle ville dei patrizi. Oggi sono unmagnific­o esempio di architettu­ra rurale ticinese.

Nella natura

Avvicinand­osi ai piedi del monte ecco spuntare dal bosco di tigli e frassini i primi tipici tetti rustici fatti di piode. » l'incanto dell'incontro tra lago e terra. Facendo un tuffo nel passato scopriamo che qui già negli anni Trenta si tenevano feste campestri, «serate ai grotti» e gare sportive. Le cantine erano, e sono tuttora, luogo animato e baldanzoso, dove si cantava e si suonava il Ticinoe lesuetradi­zioni, comepoi fece il popolare Trio di Gandria tra gli anni Quaranta/Ottanta. «Le cantine si raggiungon­o su per erte gradinate di sasso vivo, tra odore di terra, di felci e di vinello nostrano, di formaggini saporiti, di polente decisament­e convincent­i con certi pesci in carpione», scriveva EfremMason­i sullo storico Illustrazi­o

ne Ticinese. Era il 1962, ma ci fa venire appetito ancora oggi. Conviene allora vagare e perdersi su ciottoli e gradinate, tra tavoli e panche di granito, tra le mura di antiche tinaie dai colori pastello, respirando profumi inconfondi­bili che ancora ci inorgoglis­cono.

Vinello e non solo

Pare, ma nonne abbiamo certezza, che le cantine sorsero ancora prima del villaggio diGandria, il quale risalirebb­e a metà del Quattrocen­to, scriveva il Masoni. Per contro è certo che si presentò «il bisogno sentito dai gandriesi – che erano tutti allevatori, pescatori ma soprattutt­o viticoltor­i – di conservare tale vinello in luogo idoneo». Grandi botti venivano collocate dentro oscure e fredde cantine incastrate nella roccia. Il segreto èmezzo svelato: nei muri a ridosso del monte ci sono fori (detti soffioni, in dialetto fiadiröö) larghi come calici di vino, da cui passa l'aria gelida provenient­e dal ventre della montagna. Indissolub­ilmente legate ai grotti, le dispense conservava­no non solo vino ma anche salumi, lardo, pancetta, poichÈ quasi ogni abitante possedeva almenounma­iale. Epoi ancora formaggi, pesce incarpione ecc. Erano luoghi privati di ristoro dopo il faticoso lavoro nei campi o nei boschi: lo testimonia una fotografia di inizio Novecento, quella della «Cantina Bordoni» con le sue «allegre merende di luganesi e gandriesi», narrava l'Efrem.

Fascino immutato

Se siete fortunati o abbastanza curiosi nonèdettoc­heunostege­ntile, proprietar­io di una cantina, non vi permetta di metterci dentro il naso, facendovi accapponar­e la pelle dal freddo che fa. Certo non ci si va più soltanto per cercare riposo e frescura, ma ancora oggi le cantine «sono lì apposta ad attendere le allegre brigate», narrava profetico il Masoni. Eppure ci tocca smentire il bravo cronista di allora, quando delle cantine lamentava «un fascino oggi quasi sparito dal nostro piccolo Ticino». No, quella poesia è intatta, altrimenti non ne parleremmo.

ALLE DOGANE Alla fine del percorso che collega Caprino alle Cantine di Gandria vale certo la pena visitare il Museo delle Dogane, che con documenti, oggetti e ricostruzi­oni racconta la dura lotta per la sopravvive­nza in un passato legato al contrabban­do.

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