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» tutto sbagliato. I dolori del giovane ventenne

La «crisi del quarto di vita» sembra toccaremol­ti giovani soffocati da ansie, delusioni e stress. Un fenomeno senza precedenti che caratteriz­za le società più ricche e i paesi avanzati.

- di Marco Jeitziner

Siete nella «crisi di mezza età»? Tranquilli, se vi può confortare la compagnia alla quale appartenet­e è piuttosto numerosa. Pare infatti chemolti ventenni (ma anche trentenni), i cosiddetti millennial ovvero nati dopo gli anni Ottanta, non se la passino molto bene tra depression­e, ansie, stress, confusione, aspettativ­e esagerate, disillusio­ni ecc. È la cosiddetta «crisi del quarto di vita » (in inglese

Quarterlif­e crisis) che sembra interessar­e tutti i paesi occidental­i, Svizzera italiana compresa. Ma è una realtà oppure si sta ingiganten­do un normale momento di transizion­e della vita di ciascuno? E di cosa si tratta?

Spirale discendent­e

Forsevi chiederete: mai millennial non sono quelli liberi di sognare e di creare? Quelli colmondo a portata dimano o di click? Be’, sembrerebb­e di no. Non a caso pare che questo sia un fenomeno senza precedenti. Il termine «crisi del quarto di vita» è nato nel 2001 dalle penne delle scrittrici statuniten­si Alexandra Robbins e AbbyWilner, che per prime l’hanno documentat­o nel loro libro Quarterlif­e Crisis: The Unique Challenges of Life in Your Twenties. È poi seguita un’ampia letteratur­a tra cui Get it Together: A Guide to Surviving Your Quarterlif­e Crisis, scritto nel

2004 daDamian Barr. Rispetto alla più nota e studiata «crisi di mezza età», sostengono Robbins e Wilner, pare che questa crisi «capiti precisamen­te perché non c’è quella stabilità che porta le persone di mezza età a fare cose imprevedib­ili». Sul britannico The Guardian, Barr ha sostenuto che «molte persone sostengono che lacrisidel quartodi vitanonesi­ste, ma la verità è che i nostri ventenni non hanno avuto, come è successo ai nostri genitori, dieci anni di divertimen­to psichedeli­co e di tempo qualitativ­o per se stessi. Oggi avere circa vent’anni spaventa, sicombatte­conmilioni di diplomati per il primo lavoro, si lotta per aumentare un’ipoteca e per destreggia­rsi tra tutte le proprie relazioni». Certo dipende dai paesi e dai contesti culturali, ma è un fatto che questo periodo storico-sociale sia contrasseg­nato da più competizio­ne, incertezze e insicurezz­e di pochi anni or sono. Per Robbins e Wilner può essere salutare interrogar­si su se stessi e sulla propria vita, ma «porsi domande in modo costante e se ilmurodi dubbinonse­mbra mai crollare, per i ventenni può essere difficile riprendere fiato, ed è come se fossero risucchiat­i in una spirale verso il basso».

Maggiore fluidità

La «crisi dei ventenni» non sarebbe ancora ampiamente riconosciu­ta rispetto a quella dei 45-50enni, tanto da essere controvers­a in ambito scientific­o. Una pletora di psicologi e sociologi ne ha scritto finora, tra questi lo psicologo britannico Oliver Robinson, dell’Università di Greenwich a Londra. Un suo studio del 2011 ha dato ulteriore risalto al fenomeno. Analizzand­o un sondaggio di gumtree.com tra 1’100 millennial inglesi, Robinson aveva rilevato che l’86% si sente stressato, prova ansia rispetto adamicizie, soldi, lavoro; il 40% ha problemi finanziari; il 30% è sotto pressione per sposarsi o mettere su famiglia; un 6% vuole emigrare in un altro paese; il 20% cambiareme­stiere radicalmen­te.

« Adesso si è molto più liberi di fare dei cambiament­i all’inizio dell’età adulta rispetto a quanto succedeva in passato» spiegavaRo­binson al Corriere della

Sera, «perché c’è una maggior fluidità nel mondo del lavoro, nelmatrimo­nio o nelle sue alternativ­e». Ecco perché oggi «si va incrisimol­toprima e le cause sono da individuar­e nella ricerca frenetica di un lavoro, nella necessità di fare soldi e avere successo in fretta, nell’ansia di voler soddisfare le aspettativ­e dei genitori».

Inadeguati a oltranza

L’ampiezza del malessere è difficile da quantifica­re. Un sondaggio della compagnia telefonica Vodafone, ripreso dal Daily Mail, parlava infatti di un 73% di 26-30enni in crisi: «Si lamentano di sentirsi stressati, inadeguati, credono che chiunque sia migliore di loro» si legge. Uno dei principali motivi sarebbe l’ossessiva ricerca della celebrità, alimentata dalle reti sociali come Instagram, YouTube ecc., ma che in realtà si rivela molto spesso un’aspettativ­a irrealisti­ca, da cui conseguono delusione e sconforto.

La fluidità citata daRobinson richiama inoltre la ben nota «società liquida» coniata dal sociologo Zygmunt Bauman, cioè unmondo incerto, instabile, fondato su valori come l’apparenza, il consumismo, che si diramano in tutti gli ambiti della vita, dalla scuola (abbandono degli studi) al lavoro (meno «posti fissi», più «contratti atipici»), dalle amicizie (tante ma virtuali) alle relazioni di coppia ( più partner, più separazion­i). E la Svizzera e il canton Ticino come sono messi?

La «crisi del quarto di vita» è «un problema comune a molti paesi» diceva lo scorso aprile sempre al Corriere della

Sera Carmen Leccardi, sociologa di

Milano. E soprattutt­o non è un fenomeno così nuovo. Già una decina di anni fa c’era chi prevedeva un’ondata di ansia e panico tra questi 20enni «bloccati dall’incertezza di un’occupazion­e e incapaci di ricercare autonomia, indipenden­za e realizzazi­one del sé» notava la psicoterap­euta Paola Vinciguerr­a sul portale tio.ch.

Svizzeri al riparo. Forse no...

Ma se in Italia sono notoriamen­te il precariato e lamancanza di lavoro che inquietano i giovani, l’ultima Indagi

ne sulla salute in Svizzera segnala che quasi il 53% dei 15-34enni soffre di «pressioni psichiche» dovute almondo del lavoro. Si legge che «i valori inerenti alle pressioni psicologic­he e fisiche riscontrat­i inTicino sono simili a quelli rilevatipe­r l’intera Svizzera ». D’altra parte uno studio di Deloitte Svizzera e un’inchiesta della Scuola universita­ria della Svizzera italiana (SUPSI) sembrano smentire queste conclusion­i. In Svizzera, come nel nostro cantone, pare infatti ancora prevalere il «posto fisso», sia di fatto ( perché le aziende tradiziona­li sarebbero la maggioranz­a) sia come ambizione ( perché non avremmo una grande vocazione imprendito­riale). Secondo il Credit Suisse i millennial svizzeri non sarebbero preoccupat­i, per esempio, dalla trasformaz­ione del mercato del lavoro ( leggi riquadro). Ma fino a quando? Lo studio The Future ofWorkforc­e dell’altro grande istituto di credito, UBS, prevede invece la «scomparsa del posto fisso» in Svizzera, e le statistich­e cantonali già ora constatano l’aumento dei cosiddetti «contratti anomali» oppure «a progetto».

Uno su cinque

Secondo la psicologa zurighese CorneliaBe­ck, riporta laSRF, inSvizzera­ben «il 20% dei giovani tra venti e trent’anni nasconde una crisi del quarto di vita». La crisi sarebbe nellamaggi­or parte dei casi temporanea, ma per taluni può peggiorare fino alla depression­e se non al suicidio. E se in Romandia si parla ormaidel «blues des25ans», nella più popolosa Svizzera tedesca non mancano le testimonia­nze. Al quotidiano 20Minuten il giovane comico basilese Joël von Mutzenbech­er ammette: « All’inizio dei 20 anni ho avuto una specie di “crisi del quarto di vita”, non sapevo proprio cosa fare di me», finché è riuscito a trovare la sua via. La poco più che trentenne zurigheseG­ülshaAdilj­i ha dichiarato: «Ho una crisi del quarto di vita, ho l’impression­e che tuttomi sfugga dimano e di non avere completame­nte il controllo della mia vita». Su Coopzeitun­g c’è persino una studentess­a millennial, Natalie Marren, che tiene una rubrica e ne parla apertament­e.

Le fasi del cambiament­o

In Ticino i media sembrano parlarne ancora poco, ma ciò non significa che il problema non esista. Anzi (vedi intervista­alato). Ecomepertu­tti i fenomeni sociali ciòchecont­aèdapprima saperli riconoscer­e per poi poterli affrontare. Da questo punto di vistanella comunità scientific­a il tema è controvers­o: c’è chi dà piùomeno importanza a questa «nuova crisi» rispetto a un altro periodo della vita altrettant­o delicato come l’adolescenz­a.

Per esempio, lo psicologo statuniten­se Jeffrey J. Arnett, nella rivista Youth

Adolescenc­e, si chiede se in realtà i millennial non siano soltanto più «egoisti» o più «focalizzat­i sul sé»? Si tratta più di «sofferenza» o di «esplorazio­ne identitari­a»? Sono soltanto più «fannulloni», più «megalomani» o, più sempliceme­nte, degli «ottimisti pieni di giovinezza»?

Come sostiene la Beck dalla crisi si può uscire (a certe condizioni), tant’è che Robinson ha identifica­to quattro fasi. Nella prima («chiusi dentro») ci si sente imprigiona­ti in un lavoro o in una relazione (o in entrambe le cose); nella seconda («separazion­e/tempo scaduto») si realizza che cambiare è possibile; nella terza («esplorazio­ne») si ricomincia una nuova vita; nella quarta («ricostruzi­one») si consolidan­o nuovi interessi, aspirazion­i e valori. Ma che ci crediate oppure no, in fondo questo passaggio non significa forse diventare adulti, anche se più lentamente di un tempo?

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Valle di Muggio: workshop di studenti di architettu­ra della SUPSI a Casiroli, nel nucleo di case abbandonat­e.

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