Libere associazioni
Lei è molto agitato. Casini al lavoro, dice? Anche a casa, eh? Piatti rotti? Insulti? Crisi di panico? Si stenda qui. Su, su, si fidi. Bravo. Ora faccia un bel respiro.
Le faccio una piccola iniezione per calmarla. No, niente psicofarmaci: le inietto Jacques Brel che canta una poesia di PrÈvert. Ecco: con tutto che ridurlo a un calmanervi è un po' farle un torto, io Il nous faut regarder
(1953) la somministro così. Per seguire il flautato sdipanarsi del tema e andare «oltre le bestemmie dei carrettieri», «oltre il frastuono delle strade», «oltre il concerto di singhiozzi e di pianti», «oltre le frontiere di filo spinato». Ci porta lì, la voce del belga gentiluomo. A superare le sporcizie e scoprire «quel che c'è di bello»: «il sole di domani», «il battello che torna»,
«le preghiere dei bimbi».
Si può essere più semplici senza essere banali? Chiedetelo a Mon Oncle di Jacques Tati (1958). A parte che Tati e PrÈvert, da vecchi, si assomigliavano un sacco, anche qui assistiamo a un esercizio di superamento: protetto da un'ingenuità goffa, trasognata e disarmante, lo zio del titolo riscatta le piccinerie del mondo semplicemente attraversandolo. Un po' come Charlot, l'allampanato Monsieur Hulot – con il suo impermeabile, il suo cappello floscio e il suo ombrello – è educato coi maleducati, innocuo coi truci, dolce coi bimbi (gli unici che lo amano, insieme ai cani). Non ha bisogno di una meta per il suo taciturno girovagare. E va bene così.