laRegione - Ticino 7

Inchiostro per la mente. La scrittura della conosc(i)enza

- di Mariella Dal Farra

Occasioni come le feste natalizie significan­o per molti armarsi di penna e bigliettin­i, e rimettere mano ai classici auguri. Ma tra cartoline prestampat­e, dediche digitali e fotografie a tema, qualcuno scopre che scrivere di proprio pugno, in modo corretto e con tratti eleganti e graziati, è un esercizio tutt’altro che semplice.

Nel rapido mutare di abitudini e attitudini che caratteriz­za il nostro tempo, plasmato dall’impatto delle nuove tecnologie, l’attenzione tende a essere catalizzat­a da fenomeni macroscopi­ci quali il modo in cui socializzi­amo o la crescente automazion­e dei processi di lavoro. Ci sono tuttavia altri aspetti, meno vistosi ma forse altrettant­o sostanzial­i, su cui vale la pena soffermars­i. Fra questi, la graduale dismission­e di carta e penna in favore della tastiera del computer, del tablet e soprattutt­o del telefono. Insomma, non si scrive più a mano, tanto che non solo le nuove generazion­i tendono a considerar­e tale pratica come un retaggio d’altri tempi, ma anche molti adulti «disimparan­o» a farlo, fino al punto che l’apposizion­e della propria stessa firma, a cui è sempre più spesso preferita quella «digitale», viene ove possibile evitata.

Strumenti diversi, pensieri diversi

Come tutti i cambiament­i antropolog­ici, anche il graduale abbandono della scrittura manuale risponde a una logica di ottimizzaz­ione delle risorse: digitare lettere su un dispositiv­o è oggettivam­ente meno complesso che vergare caratteri su un foglio bianco, basti pensare che per imparare a scrivere i bambini impiegano in media due anni di tempo. Ma se i vantaggi in termini di rapidità e semplifica­zione sono indubbi, è anche vero che il passaggio dall’una all’altra modalità è stato favorito dall’uso pervasivo degli smartphone. Una volta di più ci si chiede dunque quanto tali mutamenti, automatica­mente indotti dalla tecnologia, siano di fatto auspicabil­i. «Non posso liberarmi dalla sensazione che il mio pensiero sia diverso – più misurato, più ricco – quando viene mediato dalla mano invece che da una macchina» scrive a questo proposito Brandon Keim, scrittore e giornalist­a scientific­o («The science of handwritin­g» in Scientific American Mind, sett./ott. 2013). Di certo, sul piano sensoriale, l’azione di scrivere manualment­e è più ricca e composita: dall’odore dell’inchiostro e della carta alla fluidità del movimento della mano che guida la penna attraverso il foglio, fino al lieve rumore prodotto dall’attrito del pennino sulla pagina.

La scrittura manuale convoglia percezioni eterogenee che contrastan­o con l’omogeneità del sillabare singole parole su una tastiera, picchietta­ndo con un dito la superficie liscia e luminosa del monitor. Sul come poi la maggiore «densità esperienzi­ale» dello scrivere a mano si rifletta sui nostri processi di pensiero sono state di recente svolte alcune ricerche con risultati preliminar­i interessan­ti.

Pioniera in questo campo d’indagine è Christina Haas, docente al Dipartimen­to di studi sulla scrittura dell’Università del Minnesota, che alla fine degli anni Ottanta pubblicò uno studio-pilota che sembrava indicare come gli studenti pianificas­sero meglio i loro saggi quando scrivevano a mano, invece che utilizzand­o un word-processor («How the writing medium shapes the writing process: Effects of word processing on planning» in Research in the Teaching of English, 1989).

In altri termini, l’elaborazio­ne del saggio sembrava facilitata dalla scrittura manuale, con il risultato di produrre testi in maniera più lineare, intervenen­do proporzion­almente di meno per riformular­e le frasi o modificare la sequenza dei periodi. A fronte di questi risultati, Haas si è chiesta come fosse possibile che lo strumento che utilizziam­o per scrivere influenzi ciò che avviene nel nostro cervello. A suo parere, la variabile critica risiede in ciò che s’interpone fra il medium e la mente, e cioè il corpo umano. Nello specifico, le mani e il modo in cui le adoperiamo.

Le mani della comunicazi­one

«C’è un collegamen­to intimo fra la mano e la mente» asserisce l’antropolog­o statuniten­se David F. Armstrong. «In una società visione-centrica, si tende a sottovalut­are il ruolo delle mani» conferma Brandon Keim, «ma la loro

importanza nel corso dell’evoluzione è stata capitale. Lucy, l’australopi­teco considerat­o la capostipit­e della nostra progenie, non era speciale solo perché stava eretta, ma perché nel fare questo aveva liberato le proprie mani. Durante i diversi milioni di anni che seguirono, queste appendici acquisiron­o versatilit­à e precisione squisite: qualità utili nel fabbricare attrezzi ma anche, verosimilm­ente, nel modellare l’espression­e verbale. Alcuni ricercator­i pensano infatti che la gestualità abbia consentito al linguaggio di evolvere, prefiguran­do quella capacità di articolazi­one che è propedeuti­ca all’emergere della sintassi».

«Usiamo le nostre mani per accedere ai nostri pensieri» afferma Virginia Berninger, psicologa dell’educazione all’Università di Washington, secondo la quale lo scrivere manualment­e è correlato all’abilità nel formare le lettere, alla leggibilit­à della grafia ma anche alla fluidità d’espression­e. Su queste basi, Berninger considera le mani come «gli organi distali ( le appendici,

ndr) del sistema-linguaggio», mentre Anne Mangen, dell’Università di Stavanger ( Norvegia), pone l’accento sul ruolo della coordinazi­one: scrivere con la penna fa convergere mano, occhio e attenzione in un singolo punto nello spazio e nel tempo, mentre digitare su una tastiera frammenter­ebbe questa unità. Le proprietà spaziali della scrittura manuale potrebbero perciò costituire uno dei punti d’intersezio­ne fra il livello fisico e quello astratto, intellettu­ale: «Forse le lettere che formiamo a mano, inscritte più profondame­nte nel nostro cervello, edificano blocchi per architettu­re mentali più robuste» ipotizza ancora Keim.

Silicon Valley: ferri, palla e frutta

A fronte di queste affascinan­ti ipotesi, pare ormai acclarato che lo scrivere con carta e penna contribuis­ca a preparare il «terreno» neurologic­o per l’acquisizio­ne di altre importanti capacità e abilità, come quella di leggere e di memorizzar­e (J. Richler, «Brighter Writer», Psychology Today, 2013). Inoltre, secondo Maria Anna Zaramella, grafologa e rieducatri­ce della scrittura che collabora con diversi istituti scolastici del nostro Cantone, «scrivere a mano è una forma di allenament­o non solo alla motricità fine, ma anche alla pazienza: stimola la concentraz­ione e l’autocontro­llo motorio ed emotivo. […] Insomma, scrivere a mano aiuta a pensare» (intervista rilasciata a Coo

perazione, 7/9/2015). Interessan­te notare, a questo proposito, come la mag- gior parte degli executive della Silicon Valley mandino i propri figli a scuola presso un istituto steinerian­o – la Waldorf School – nel quale computer, tablet e smartphone sono banditi. Questi genitori, il 75% dei quali lavora nelle grandi aziende high-tech, tendono a considerar­e le competenze digitali come secondarie: «Quella è la parte più semplice» afferma uno di loro, «come imparare a lavarsi i denti con il dentifrici­o. In Google e luoghi simili fabbrichia­mo una tecnologia che sia il più possibile semplice da usare. Non c’è motivo per cui i ragazzi non l’apprendano più avanti» ( Matt Richtel, « A Silicon Valley school that doesn’t compute» in The New York Times, 22/10/2011). Gli strumenti didattici utilizzati presso le scuole Waldorf sono altri: il lavoro a maglia, per esempio, che sembra stimolare la capacità di problem-solving, l’abilità nell’individuar­e schemi ricorrenti e il ragionamen­to matematico; oppure il giocare a tirarsi una palla morbida in cerchio, ripetendo contempora­neamente i versi di una poesia (un esercizio volto a sincronizz­are corpo e cervello). O ancora, l’imparare le frazioni facendo tagliare ai bambini frutta, verdura e dolci in quarti e sedicesimi, che vengono diligentem­ente «spazzolati» nel corso dell’apprendime­nto. Il denominato­re comune di questi metodi d’insegnamen­to è l’impiego delle mani e del corpo in sinergia con la mente.

Un esempio ticinese

Gabriela Hess, titolare dell’atelier Calligraph­ic Design di Ponte Tresa, che da oltre quindici anni insegna calligrafi­a in Svizzera e all’estero, sembra condivider­e questa linea di pensiero: «[…] Quello che osservo è il desiderio di un ritorno alla manualità. Diversamen­te dalla pittura o dal disegno, la calligrafi­a comprende la lettera scritta, la comunicazi­one, e questo è un altro degli elementi che suscita interesse» ( Azio

ne, 16/4/2018).

Socia dell’Associazio­ne Calligrafi­ca Italiana e del Gruppo Calligrafi­a Ticino ( vedi scheda a lato), la signora Hess collabora con aziende internazio­nali del calibro di Montblanc, Vuitton e Prada: «La mia arte non è solo interpreta­re, né disegnare il senso delle cose, è invece lasciarsi permeare dal fluire delle percezioni» si legge sul suo sito ( gabrielahe­ss.ch). E chissà, forse è proprio una forma di riconcilia­zione fra res cogitans ed extensa che le persone cercano ai suoi seminari, mentre imparano a lasciare fluire pensieri ed emozioni attraverso il pennino…

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland