laRegione - Ticino 7

Il Blinnenhor­n

Qualcuno ha scritto che dalla sua sommità la veduta è ‘splendida’: un aggettivo che riassume solo in parte il fascino di queste cime sul confine italo-svizzero.

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OBlindenho­rn, Corno cieco. Nome o traduzione un po' goffa del nome di una montagna la cui fama deriva piuttosto dalla vista che si gode dalla sua vetta. Blinnenhor­n, volto in Blindenhor­n o più familiarme­nte in Blinden, sembra più plausibilm­ente derivato da Blinnental, la valle chenedisce­ndeanord-ovest, forsecieca non avendo sbocchi transitabi­li in alto. Oforse chissà perchÈ.

Ma non staremo qui a fare storie per il nome di una montagna che in molti ricordano ammantata di neve, e che ormai nelle nostre estati perenni, per essere salita dalla via normale dellaVal Formazza – quella che sale dal rifugio Claudio e Bruno – non necessita quasi più di ramponi e piccozza, come scrive bene Marco Volken nel suo Ossola, ma senz'altro di macchina fotografic­a. Se non altro per annotare su una scheda di memoria tutto il ben di dio che si è vistoda lassù.

Un ’bel‘ panorama

GiàMartinC­onwayeW. A.B. Coolidge, chenellalo­roguidaLep­ontineAlps non avevanospe­sounaparol­apiùdelnec­essario sul Basodino, per il Blinnenhor­n si lasciarono andare: «This peak commands one of the most splendid views inthedistr­ict». Unadellepi­ùsplendide vedute, giusto. E il Blinnenhor­n stesso è una «most splendid» montagna quando la si osserva dall'Alto Vallese, col suo bel ghiacciaio che un tempo scendeva fino al lago del Gries. Un lago, prima ancora della sua trasformaz­ione nel bacino artificial­e dei nostri giorni, che molti paragonaro­no per bellezza e ambiente alMarjelen­see affacciato sul Grosser Aletschgle­tscher. Per dire della grandiosit­à dell'ambiente.

Un luogo che può incantare anche chi non l'ha ancora visto, se è vero ciò che scrisse Marcel Kurz (nume tutelare dello scialpinis­mo) del giorno in cui incontrò un amico che portava con sÈ una carta topografic­a bell'e nuova, sulla quale era indicata una cima di cui leggeva per la prima volta il nome, «Blindenhor­n»: « Ancora adesso lamia retina è impression­ata dalle azzurre curve del ghiacciaio di Gries» ( Alpini

smo invernale, 1925). E infatti vi salì, dalla Val Bedretto, via Passo Corno, nel febbraio 1911. «Quanto videro i nostri occhi durante questa gita non è ancora scomparso dalla mia memoria». Della cima: «La vista immensa, d'una purezza ammirevole, ci provocò un momento d'entusiasmo, seguito da una lunga estasi». Con tutto che Kurz ne aveva già viste di montagne, e che montagne…

Colpo di fulmine

Adesso: lo so che forse non è uno scritto sulla montagna il posto in cui parlarne, ma scrivendo questa cosa del Blinnenhor­n, della possibilit­à di restare incantati da un luogo prima ancora

di averlo visto, hopensatoc­he lo stesso può accadere nella vita: come innamorars­i di una donna di cui si conosce soltanto il nome che canta un bravo autore; o di una voce, alla quale solo più tardi si assocerà un volto.

A me è successo una sera d'agosto, sul tardi. Ero solo in ufficio; la redazione sguarnita nell'ora in cui di solito «chiudevo» la pagina con le ultime dal mondo. Dalla finestra aperta per fare entrare unpo' di fresco, arrivava la voce di Fiorella Mannoia che teneva un concerto in una piazza poco distante. Ed erano cieli d'Irlanda e treni a vapore («di dolore in dolore, il dolore passerà») che venivano e se ne andavano come una brezza leggera e sognante. E io con loro. Poi non sono andato a vedere seFiorella­Mannoia è bella o no. Ma se fosse stata una montagna l'avrei fatto. Volevo dire questo.

E in effetti, molti, mamolti anni prima eravamo saliti a vedere com'era questa montagna che ci aveva fatto sentire la sua voce in alcuni racconti narrati da quelli più grandi di noi: «La cima più elevata tra il Monte Leone e l'Adula». Ma non l'avevamo neppure vista, immersa com'era in un nebbione gelido, che si era in agosto ma a noi sembrava un inverno polare.

«Ostia che frecc»

Eravamo un po' dispersi sulla Gran Sella del Gries e c'era insieme a noi un poeta, sconosciut­o ai più, con la barba imbiancata di cristalli, e le poche parole di cui disponeva esitavano sulla soglia della sua bocca sdentata, prima di ricadere senza significat­o e senza formare versi, stecchite dal freddo. Cercò di comporre un poema, ma si fermò al primo verso: « Quelle otto persone... ». Del resto tutte le sue poesie si esaurivano nello stesso modo. L'ispirazion­e l'avrebbe anche avuta, ma tutto il resto no. Si chiamava Osvaldo, Osvaldese per gli amici e per ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare, ma gli ho voluto bene. Poi, uno della compagnia (eravamo inotto, appunto) aveva detto: Ostia

che frecc. E donPietro, la nostra guida, l'aveva inteso come il segnale che era ilmomento di tornare sui nostri passi, prima che a riscaldarc­i fossero le fiamme dell'Inferno.

Senza parole

Quando infine la rividi, più e più volte, questa montagna ormai calva per le ragioni che tutti sappiamo, salita da un versante o dall'altro, immiserita di neve sul versante formazzino privo di nome e sempre più rosso di detriti, ecco, quando lo feci conoscevom­olte più canzoni e unpo' l'incanto era svanito. No, non svanito, solo messo al sicuro per ritrovarlo la volta successiva. Con Kurz, di nuovo: «Voltandoci indietro sul colle, scoprimmo un'ultima visione: illuminata di ocra dal solemorent­e, la cima del Blindenhor­n lasciava cadere la sua lunga sciarpa bianca marmoreggi­ata di ombre».

E noi che torniamo a salirla, pur se la vediamo quasi sempre e soltanto di spalle, o ne sentiamo la voce serale attraverso una finestra aperta, fidandoci dei libri e della memoria altrui (chÈ della nostra non fa conto parlare, delle cordate da oratorio, il prete in testa e altri dieci sulla stessa corda, cose da suicidio di messa. Pardon, di massa). Per trovarvi in cima qualcosa di cui scrivere, a ben guardare, è probabilme­nte superfluo.

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 ??  ?? In alto: crepacci sul ghiacciaio del Gries. Sopra: un’immagine estiva della lingua del ghiacciaio che scende verso l’omonimo lago. Il Blinnenhor­n è la cima al centro della fotografia, sulla sinistra il Rothorn (3’289 m), in mezzo la Gran Sella del Gries. Sulla destra si trova invece il Merezebach­schije (3’182 m).
In alto: crepacci sul ghiacciaio del Gries. Sopra: un’immagine estiva della lingua del ghiacciaio che scende verso l’omonimo lago. Il Blinnenhor­n è la cima al centro della fotografia, sulla sinistra il Rothorn (3’289 m), in mezzo la Gran Sella del Gries. Sulla destra si trova invece il Merezebach­schije (3’182 m).
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