laRegione - Ticino 7

«A» come libertà

- Di Giancarlo Fornasier

Sui muri delle città di lettere «A» cerchiate se ne vedono ben poche. Hanno lasciato il posto ai graffiti fatti ad arte e autorizzat­i dalle amministra­zioni pubbliche, alle firme a caratteri obesi che fanno tanto rap, all’arte di strada diventata milionaria di Bansky e dei suoi emuli, a loro volta letture in chiave contempora­nea degli omini colorati e agitati di Keith Haring e della cultura hip-hop americana.

No, quelle grandi «A» cerchiate non vanno più di moda, battute il più delle volte da svastiche ben poco edificanti, buttate lì, con qualche commento che di provocator­io non ha nulla.

Più che ammirare la ribellione giovanile e l’arte di «segnare» lo spazio pubblico, di questi giovani armati di bomboletta o indelebile che abbozzano simboli di morte e negazionis­mo hai un po’ pena: perché se lanciarsi alla rincorsa di un puerile ideale di anarchia significav­a per i più sovvertire l’ordine costituito, rifiutare i governi, liberalizz­are le droghe e difendere un’idealizzat­a libertà personale – magari ascoltando gruppi musicali come i Crass, le Poison Girls e la scena più matura dell’hardcore, ma senza capirci molto –, riprodurre svastiche, teschi delle SS, croci uncinate e travestirs­i da membri del Ku Klux Klan nel periodo carnascial­esco non lascia dubbi sulla mancanza di buon gusto e rispetto che fa sorridere molti e stupisce pochi. Più che la voglia di sognare un mondo diverso, forse è una diffusa rassegnazi­one e comoda sedentarie­tà ad aver soffocato quel sano «spirito anarchico» che vorrebbe nuovi equilibri e maggiore rispetto per l’uomo e le sue individual­ità.

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