Fiorir di parole
Da rasoterra e persino più in basso, e poi su su con lo sguardo ad arrampicarsi per fronde e nuvole,
fino alle stelle. Filastrocche d’autore per sognare.
Èuna piccola perla, il libriccino Rime facili per grandi e piccini. A firmarlo la mano di uno scrittore che ci ha abituato a meraviglie in versi e prosa, Alberto Nessi. Qui si cimenta in brevissime composizioni in cui la semplicità evocata nel titolo ci porta ai fondamenti delle parole e dei loro legami con cui abbiamo iniziato a conoscere il mondo. Partendo dall’osservazione del quotidiano, dalle minuzie, ci mostra una natura che saltella, trema, piange e si dà delle arie. Le pagine aprono su piccoli bozzetti sonori brulicanti di vita e dai vividi colori, tra loro legati da ripetizioni e riverberi, richiami sonori e verbali come danzare, ridere e vestirsi che sono comuni a piante e animali. I soggetti vengono in prevalenza da un campionario di flora e fauna che troviamo ricorrente nell’immaginario poetico dell’autore, sono quelli del nostro territorio, spontanei o coltivati, selvatici o domestici: viola, ciliegio, vite; merlo, ramarro, cane; ma anche quelli dai nomi bizzarri: convolvolo, aquilegia, carpino. A susseguirsi sono scenette da cui zampilla allegria, modulate da un tono scherzoso, ironico e rassicurante. Non mancano però le incursioni in zone d’ombra e fragilità, situazioni spiacevoli (come il porcospino nella tagliola) o scorci dell’impegno civile di Nessi, ma il taglio non è mai moralista o ideologico: ci informa che anche le piante sono nomadi «dalla Cina il lillà / la robinia d’America», e al mondo i gusti son vari, col delizioso affondo di: «sono africano mi piace il grano / sono musulmana mi piace il velo / io sono urano mi piace la vacca». E come di consueto ci porge un altro punto di vista sui soliti screditati: c’è l’empatia per il ragno prigioniero nel lavello, per la gramigna non grama «come afferma la sua fama», per il lupo che azzanna sì la pecora, ma – ricorda – il cacciatore la cuoce in umido e spara al camoscio che gioca col vento.
Rifarci piccoli
Come un compositore crea arie e movimenti che mette insieme a formare una sinfonia, in cui trovano posto l’edera che s’infila, s’avvinghia, s’arrampica; il cuculo che ripete il suo lamento malinconico; la cincia che cinguetta, fischietta sfrasca, ognuno a suo modo, col suo carattere e le sue attitudini. In tutto questo l’adulto è posto a spettatore. Come nei disegni in copertina e al centro del libro dell’illustratrice ginevrina Albertine: umani dai contorni neri ben definiti al cospetto di una selva di piante giganti (à la Magritte) dai cromatismi e dalle forme generatrici, esuberanti e al contempo naïf, con fronde rigogliose di nuvole e petali di dita. Ed è forse un invito all’attenzione e allo stupore, all’incanto verso le cose consuete: un viaggio in cui ridimensionarci nei moti dell’infanzia, per assaporare la grande grazia o eccentricità di quanto ci circonda, la sua vivacità e anche spaventosità. Un libro che ci fa compagnia oltre i confini della realtà, arricchisce l’immaginario e nutre i pensieri in un fiorire di incontri eteromorfi con inventiva e senso ludico della parola. Ci propone una sosta accanto a un filo d’erba, ci porta a una danza e a un concerto di parole «canta l’alba in la / brucia il sole il sol / duole il cuore in do», e quando tutto s’acquieta, «con il fiore che tace», una nenia ci congeda.