L’ultimo impressionista
Il mondo di Edgardo Ratti
Scommparso lo scorso luglio, l’artista, docente e operatore culturale di Vira Gambarogno ha inseguito le chimere del paesaggio (anche) interiore.
Se una peculiarità dell’impressionismo è la pittura all’aria aperta, per cogliere le sfumature illimitate dei colori, è tutta impressionista l’esperienza del pittore Edgardo Ratti (1925-2018), che tra i 25 e i 30 anni studia i riflessi della luce nell’acqua e passa giornate intere nelle Bolle di Magadino, acquattato tra i canneti assieme alle anitre, con stivaloni, un seggiolino e una tavoletta di legno da metter sotto i piedi. È l’ultima tappa del suo apprendistato. Al termine della scuola dell’obbligo aveva frequentato per cinque anni la Scuola di disegno del Technicum di Friborgo, poi cinque anni l’Accademia di Brera. Gli ultimi 5 anni di scuola all’aperto coincidono con episodi decisivi della sua vita: trova un posto di insegnante di disegno al Ginnasio di Bellinzona, dove succede al suo mentore, il pittore Augusto Sartori; a Vira Gambarogno trova la compagna della sua vita. Nel 1954 sposa Margherita Breetz, la sua Titti, che gli darà tre figli e sarà sempre presente ad ammirare criticamente il suo lavoro, a incoraggiarlo, a confortarlo. Adesso Edgardo, che è un eccellente disegnatore e a Brera ha imparato ogni tecnica della pittura, ha interiorizzato i colori della natura, non deve più copiarli dal vivo: inizia un momento fecondo della sua produzione. Osservate Le bolle, forse uno schizzo preparatorio per un quadro a olio: pochi tratti riescono a delineare la profondità dello spazio, il solo inchiostro riesce a rendere l’umidità dell’acqua che s’insinua fra la terra.
Visioni intime
Alla fine dell’apprendistato di Brera, le tele esibivano colori vivaci, l’olio grasso, usato con abbondanza. Adesso l’olio è diventato magro, steso con una spatola in strati sottili, che possono lasciar trasparire la tela. Prorompe l’artista che non copia il mondo esterno, ma lo filtra attraverso la sua personalità: i suoi paesaggi sono scenografie trafitte da emozioni ineffabili. Il tremolar dell’acqua ritmato dai colpi di spatola, la luminosità e il calore della Casa del pescatore che vi si specchia non sono comparabili a una fotografia. Le case di Vira senza sole, che s’illuminano dell’immensità di lago e di cielo, danno il brivido di una felicità nuova. Edgardo ha realizzato i tre lavori qui riprodotti intorno ai quarant’anni. Lavorerà ancora fino a oltre novant’anni e nella sua opera complessiva sarà difficile rintracciare questo periodo di convivenza serena con la natura, di immersioni in paesaggi che ridono (o piangono) al cuore. La scultura prevaricherà la pittura, la creazione di grandi vetrate l’accosterà al mestiere del muratore, la curiosità gli farà osare quei salti nel buio dell’avanguardia, al termine dei quali non sempre si cade in piedi. Ma la caparbia ricerca di un paesaggio interiore lo terrà sempre sulle tracce di quello che Claude Debussy chiamava «le pays chimérique et par conséquent introuvable».
HA DETTO / «Il mio percorso è fatto di alti e bassi: quando un determinato periodo è stato sviluppato, arrivo al momento in cui non ho più la carica per portarlo avanti: ma subito ne arriva un altro, con nuova carica e nuovo stimolo». ( laRegione, settembre 2015)