laRegione - Ticino 7

Miti da sfatare

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Non ci si improvvisa ‘startupper’ di successo e non è facile creare imprese vincenti. La prima cosa da imparare? Non arrendersi quando va male.

1.

Il mondo delle startup non è una sorta di Eldorado per tutti. A livello globale, nove startup su dieci falliscono entro i primi tre anni.

2.

Chi avvia un'impresa innovativa deve sacrificar­e buona parte della sua vita per qualche annetto. Non credete a chi vi dice il contrario.

3.

No, creare una startup vincente non è cosa che si può fare nei ritagli di tempo.

4.

A nessuno piace sbagliare, però solo dagli errori si può ripartire per migliorare.

5.

Il fallimento non è una colpa a meno che non ci sia dolo e frode… e che non diventi un'abitudine. Altrimenti meglio per tutti che ci si dedichi ad altro.

6.

L'aspetto puramente economico non basta se è necessario affrontare tutti i sacrifici che una nuova impresa richiede. Se è solo per soldi, dopo un po' si getta la spugna.

7.

Paese del Bengodi

Lavoro vero

Attività part-time?

Si baglia...

e si fallisce

Soldi, soldi, soldi!

Meglio studiare

Meglio studiare perchÈ, al di là di pochissime eccezioni, la preparazio­ne e l'aggiorname­nto fanno sempre la differenza. Soprattutt­o nell'innovazion­e. P arli di startup e la narrazione segue quasi sempre un percorso obbligato: un garage, computer ovunque, giovani in bilico tra genio e sregolatez­za, un'idea che nasce dal nulla ma che si rivela in breve tempo rivoluzion­aria. E quindi tanti soldi per i protagonis­ti della favola che si ritrovano nababbi senza quasi far fatica. Unmito seducente che però sempre un mito resta, dato che ben nove startup su dieci non sopravvivo­no ai primi tre anni di attività. La prima cosa con cui fare i conti nel mondo delle startup, quindi, è sopravvive­re a un fallimento. Lo conferma Andrea Dusi, startupper realizzato che agli insegnamen­ti ricevuti dai tanti errori a cui è andato incontro nella sua carriera ha dedicato il libroCome far fallire una startup e vivere felici ( Bompiani, 2018).

«Se si vogliono ottenere dei risultati non bisogna pensare che fallire sia una colpa, ma solo un errore da non ripetere» chiarisce Dusi: «Intendiamo­ci, fallire famalissim­o, porta con sÈ dolore e anche disperazio­ne. Ci costringe a interrogar­ci non solo sulla nostra vita lavorativa ma su noi stessi a 360 gradi. Però il fallimento ci costringe ad analizzare quello che è successo in modo che possiamo ripartire non commettend­o più gli stessi errori. Il successo fortifica la nostra motivazion­e, però non sono i successi a farci imparare». Sbagliando si impara, soprattutt­o se si riesce a superare la concezione molto radicata nella nostra cultura per cui il fallimento è una sorta di colpa da espiare. Negli Stati Uniti e nel mondo anglosasso­ne l'atteggiame­nto è diverso. C'è molto rispetto per chi fallisce, impara dai propri errori e poi riparte. Non c'è viceversa nessuna tolleranza per chi imbroglia e si salvamagar­i dichiarand­o fallimento.

Cosa si apprende dagli errori

La ripartenza deve portare lo startupper a prendere coscienza di alcune realtà. Prima di tutto che le startup non sono il paese del Bengodi per chi vuole tentar la fortuna, come ci conferma Andrea Dusi: «Lamotivazi­one iniziale per avviareuna startupnon­puòessere diventare ricchi. Non è unamotivaz­ione sufficient­e a superare i momenti di difficoltà che sempre ci sono in qualsiasi impresa. Quando lavori per anni diciottoor­e al giornofest­e compreseno­n bastano i soldi a farti andare avanti. Mi fa sorridere chimi dice che lavora a una startup part-time!».

Insomma, ti butti anima e corpo in una startup perchÈ ci credi e senti che vuoi realizzart­i con un'impresa che è totalmente tua. Sei animato da desiderio di affermazio­ne e di riscatto. Pensi di lavorareaq­ualcosa chemiglior­i la vitadi tutti e ti ci butti completame­nte, tanto che il lavorodive­nta tutt'unoconlatu­a esistenza. Lo startupper è un po' come i piccoli imprendito­ri di un tempo, che costruivan­o casa accanto alla loro impresa perchÈ quella era la loro vita. Insomma, non si può improvvisa­re una startup e ad emergere sono i più tenaci, i più coraggiosi e anche i più preparati. PerchÈ lo studio conta moltissimo anche se esiste il mito dell'imprendito­re che abbandona la scuola e poi fa fortuna. Se andiamo a vedere, la maggior parte delle persone che ha creato imprese di successo nelmondo dell'innovazion­e ha alle spalle anni di studio, competenza, preparazio­ne. Altro che ragazzotti in un garage a smanettare sul computer.

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