Partiamo dalla fine. Indagine sull’ultimo saluto
La vita professionale di un impresario delle pompe funebri inizia quando quella degli altri giunge al capolinea. La soddisfazione sta nel poter aiutare chi resta, una missione nella quale sensibilità e pragmatismo
si confrontano con il dolore di chi perde un familiare.
Sono tanti i professionisti che iniziano a lavorare quando gli altri finiscono: il guardiano notturno, il panettiere, lo storico. Uno solo però comincia quando gli altri finiscono
tout court: l’impresario di pompe funebri. Quel rapporto con la fine così diretto, così fisico e spesso improvviso desta inevitabilmente curiosità morbosa, timore reverenziale e numerosi scongiuri. « A volte quando mi vedono si toccano», conferma Mattia Vogini, titolare delle Onoranze Funebri Rossetti di Biasca. Ma lui non se ne fa un gran cruccio. Non perchÈ sia un cinico, semmai il contrario: lo vedi subito che il suo ruolo ‘lo sente’, che i suoi modi sereniemisurati nonhannonullaache vedere con la freddezza. Quello che gli fa amare il suo mestiere è «il piacere di aiutare il prossimo in unmomento difficile», un momento in cui «le persone si mettono a nudo». «I momenti dolorosi ci sono. Specie quandomuore un giovane o un amico, o quando bisogna andare a recuperare un corpo da qualche incidente». L’importante è stare accanto alla famiglia, «fare tutto come si deve». Poi, certo, «quando è tutto finito può capitare di dover piangere, per sfogarsi». Resta la consolazione di avere fatto tutto il possibile in quello che «è l’ultimomomentoper salutareunapersona». Tantoche uno dei complimenti più significativi gli arriva quando gli dicono, come fece una signora del Malcantone: «Tu non fai un lavoro, svolgi unamissione». Così anche mentre recupera corpi, li lava e li riveste, mentremostra ai congiunti urneebareoguidailcarro funebrefino al cimitero, agisce «in modo che quandomi rivedono si ricordino dime come Mattia, non come ‘ quel che l’hametüvia
el me poro pà’ ».
Ninna nanna
Per riuscirci senza inciampare nei singhiozzi è importante seguire un iter ben stabilito, studiato nei minimi dettagli, dalle pratiche amministrative allequestioni logistiche. Anche a costodi sviluppare qualche deformazione professionale cheèMattia il primo ad ammettere, nonostante la sua istintiva timidezza: «Le bare standard sono da un metroe 92, con te che sei così alto avrei dei problemi». E poi, un’ottava sotto: «Scusa eh, è che a certe cose finisci per pensarci subito». (In deposito, comunque, ne ha anche di extralarge, dette «fuorimisura»; la cosami rasserena). Dietro alle pompe funebri, d’altronde, c’è unmondo di incombenze e dettagli che da fuori si fa fatica ad immaginare; ma sono proprio le cose delle quali non vogliamodovercioccupare incertimomentacci. I messaggi da leggere in occasione della cerimonia, per esempio: « Aiuto la famiglia e propongo io stesso di scrivere un ricordo. Spesso lo leggo anche. Cerco di non andare troppo sul personale però, mi parrebbe di infierire. Magari utilizzoqualchecitazioneda Tiziano Terzani, William Blake, Ken Wilber, Richard Bach, il Piccolo Prin
cipe, solo per citarne alcuni». Anche le musiche variano in continuazione: «Una volta ci si fermava all’AveMaria o a Partirò, adesso le richieste sono semprepiùpersonali: mi è capitatoche i nipotini del defunto chiedessero la Nin
na nanna del contrabbandiere di Van
De Sfroos» (« Ninna nanna, dorma fiöö / el tò pà el g’ha un sàcch in spala / e’l rampèga insö lanòcc... »). Sepoi serve, il carro funebre diMattia – unMercedes che «da nuovo può arrivare a costare 140mila franchi» – haanchedellecasse acustiche installate sotto al pianale. Per imparare a gestire tutto esistono anche dei corsi, «io ne ho fatti alcuni, uno a Modena per imparare meglio il linguaggiononverbaleconcui comunicare durante il servizio, per impostare meglio i miei interventi, ma anche per organizzare la cerimonia senza tempi morti». Si accorge del gioco di parole involontario e sorride, ma col garbo trattenuto di chi sta sempre attento a non ferire nessuno: «Bisogna starci attenti. Io ad esempio dico sempre ‘salve’, mai ‘ buondì o buongiorno’, per paura che qualcuno mi risponda giustamente ‘ bondì un par da ball, gh’È pena mort el me pà ». Mentre lo ascolto noto che il suo linguaggio èmisurato e rispettoso, mamai ipocrita: parla di «rapporto con i dolenti», ma non utilizza quegli odiosi eufemismi come «spirare» o «spegnersi» (suppongo che la sua consuetudine col mistero della morte gli impedisca di trattare le persone come lampadine).
Lasciate che i pargoli
L’impegno e l’attenzione arrivano fino a fargli consigliare alle persone «letture per elaborare il lutto, anche a seconda delle loro idee e convinzioni. Alcuni suggeriscono cose semplici, come tenere in tasca un piccolo oggetto legato al defunto: quando comincia a dare ‘fastidio’, vuol dire che si è pronti a staccarsene». Altri introducono a riflessioni più articolate.
Certi testi illustrati servono addirittura per aiutare i bambini a relazionarsi con la morte. «I bambini secondo me non devono essere tenuti lontani, perchÈ vedono la morte diversamente e hanno molto da insegnarci. Ricordo che una volta, dopo una disgrazia, una nipotina disse al nonno ‘non preoccuparti, adesso la nonna sta bene, lo ha dettoame!’». A un funerale «dei fratellini si misero a rincorrersi attorno alla bara della nonna, e i genitori li hanno lasciati fare: l’ho trovato molto bello, unmodo per vivere il lutto inmodo più naturale». Anche la figlia di Mattia «è sempre venuta qui fin da piccola, a vedere il mio lavoro». NÈ lui si scandalizza per quell’usanza svizzero-tedesca di tenere un banchetto dopo le esequie: «» un modo per ricordare, per ricreare unlegame». Quanto alle preferenze dei ticinesi, oggi l’85% preferisce farsi cremare ( vedi pagina seguente). Le ceneri poi finiscono al cimitero, in casa oppure disperse, «per esempio su un monte o in un laghetto al quale si era legati». Solo unametà sceglie un rito religioso, «sempre meno la Messa. Più spesso, quando ti dicono ‘era di Chiesa ma non troppo’, una semplice benedizione».
Ci sono numerose persone che dispongono tutto per filo e per segno ben prima di morire, dalla bara agli annunci sui giornali («i più belli spesso sono quelli che parlano in prima persona, con la voce del defunto»). Non ci si deprime, a organizzare il proprio funerale? « Anzi, una volta una signora, dopo aver concluso un accordo, mi ha detto: ‘Non puoi sapere quanto sto bene adesso’. » unmodo per mettersi l’anima in pace, vuoi perchÈ la persona è sola o perchÈ così facendo non lascia incombenze ai familiari, e in più decide lei stessa come desidera il suo addio. » anche un modo per risolvere quel che si può, come quando certimalati tengono duro fino a vedere tutti i nipoti, o a far riconciliare i figli».
Mattia lavora da solo, con qualche aiutante occasionale, ha un locale di preparazione, una cella frigorifera e una camera ardente nella sua impresa. Con suo padre e suo fratello gestisce un laboratorio di pietra naturale; anche lui è passato dalle lapidi, prima di rilevare l’azienda da Roberto Lüthy nel 2012, dopo qualche anno ‘a bottega’. «Pensano tutti che con le pompe funebri si diventi ricchi, ma non è il mio caso. Le spese sono parecchie: i carri funebri e l’auto di servizio, per il primo intervento e per l’allestimento delle camere ardenti, costano, bisogna mantenerli e si usano veramente poco; poi ci sono l’affitto, gli stipendi e tutti gli oneri che ne conseguono, per non parlare delle spese professionali».
Il marketing poi non fa per lui: «Mi riesce più facile essere discreto». Anche se questo non significa rinunciare all’inventiva: «Quando èmorto unmio caro amico che era anchemio aiutante, un attimo prima di morire mi ha detto: “Voglio aiutarti anche quando non ci sarò più, cerca in qualche modo di ‘usarmi’ per fare qualcosa da proporre alla gente”. Così ho preso un po’ delle sue ceneri e le homesse in un quadro». Me lo mostra: le ceneri sono incastonate in una cornice più spessa del normale, sull’illustrazione il volto del defunto spunta con linee sfumate dalla sagoma del Cervino. Poi, quasi sottovoce, ricorda: «Quella volta mi sono stupito io stesso di come il servizio fosse andato emotivamente alla perfezione. Poi però sul carromi sono fattoRiazzino-Biasca in lacrime».
Vivere meglio
Con gli amici, Mattia ha imparato a condividere anche i momenti un po’ comici che inevitabilmente fanno parte del mestiere. Come l’uomo con la bandiera in testa al corteo, al quale scivolarono giù i pantaloni. O quel personaggio sempre presente fuori dalla chiesa, con le lacrime agli occhi, che appena terminato di spostare il carro chiede: ‘ Quant’ol düra ol funeral?’. Poi ti dice: ‘ Ah bon, alora a fòmo in temp a na a bev quaicos’ ».
Eppure «lamorte nondiventamai una routine». » «un cerchio che si chiude», d’accordo, ma spesso troppo presto o in modo inaspettato, sicchÈ «non sai neanche più cosa dire». Allora a
Mattia serve «qualche fuga nel mio mondo, dove mi immagino tutto solo, in un bel campo pieno di luce e di fiori». Serve il supporto incondizionato di chi ti sta vicino, perchÈ «quando ti chiamano» – espressione ricorrente nelmestiere, che in tre parole dice tutto – bisogna andare. «E se ne fanno di rinunce! A volte quando sono con mia figlia, a una festa o durante i momenti di svago, devolasciaretuttoeandareal lavoro. Chi mi è vicino, capisce. Tutto questo però nonmi pesa affatto». Servesoprattuttounostoicismodanon confondere col fatalismo: «Sarà anche un mio appiglio personale, ma credo che alla fine stia scritto da qualche parte quando deve venire il nostromomento». » inutile «essere troppo maniaci del controllo, dire ‘se faceva così era ancora qui’, o rimpiangere di non essere stati accanto a qualcuno quando è morto: le persone poi tendono a cercare di essere sole, quando muoiono». Ma a fare un lavoro del genere come si pensaallapropria, dimorte? «Lamorte mi ha sempre intrigato, fin da piccolo. Non mi fa paura. Semmai mi fa paura la malattia, il modo in cui ti trasforma. Se non facessi questo mestiere credo che troverei un altro modo per aiutare la gente, lavorerei nel sociale, ma mai nell’assistenza ai malati terminali o in ambulanza». In ogni caso, dieci anni di lavoro nelle pompe funebri «mi hanno aiutato a non prendermela per le stupidaggini, a vedere cosa è importante davvero. Mi hanno insegnato a vivere meglio».