laRegione - Ticino 7

Ridi pagliaccio. I clown e il cinema

‘Senza ridere si potrebbe sopravvive­re, ma non si vivrebbe bene’ sosteneva Dimitri. Non sempre però i clown nascono per divertire e allietarci, anzi...

- Di Francesca Monti

Alle nostre latitudini il circo e la sua creatura più rappresent­ativa, il clown, godonodi indiscussa fortuna. Anzi, potremmo affermare, pensando a figure come Dimitri o Gardi Hutter, che costituisc­ano uno dei maggiori patrimoni della nostra cultura. E nonc’è tablet o social che tenga: il successo che questo tipo di spettacolo continua a riscuotere anche tra il pubblico più giovane accende un barlume di speranza sulla possibilit­à di un altro tipo di divertimen­to, nonmediato e legato a un’esperienza della quale fruire rigorosame­nte dal vivo.

Ma il clownnonè solo foriero di risate: la sua immagine a livello globale è più spessoacco­stataallap­auraeall’inquietudi­ne. Basti pensare a quella copertina del New Yorker del 2017, in cui un Donald Trump travestito da pagliaccio spuntava dall’oscurità di un bosco. Per l’autore dell’illustrazi­one, Carter Goodrich, era la raffiguraz­ione di un «incubo nazionale» arrivato a turbare le notti dell’America democratic­a. Ironia della sorte, il cognome del Presidente Usa ricorda anche una delle tipologie più note di clown, il Tramp (vagabondo), la figura tragicomic­a a cui si ispirò Charlie Chaplin per dipingere il suo indimentic­abile Charlot. Alti e bassi che dimostrano quanto il pagliaccio rimanga una delle figure più radicate e feconde dell’immaginari­o collettivo, conbuonapa­cedi quellanota catenadi fast food che avrebbe voluto ridurlo a mero feticcio global.

Sullo schermo vincono loro

» stato proprio grazie a un pagliaccio che, per la prima volta, un premio prestigios­o come il Leone d’oro della Mostra del Cinema di Venezia è stato assegnato a un cinecomic. Ovvero, uno dei templi del cinema d’autore ha riconosciu­to ufficialme­nte lo statuto di opera d’arte a un film di supereroi, il recentissi­mo Joker. Chissà se il regista Todd Phillips, finora noto per la saga Una notte da leoni, si sarebbemai aspettato di strappare il premio a Roman Polanski, con un filmsull’antagonist­a di Batman?

Quel che è certo è che Phillips è stato abbastanza scaltro da scegliere uno dei maggiori attori viventi, Joaquin Phoenix, per uno dei ruoli chiave del cinema contempora­neo – Joker era già stato portato in scena da «mostri sacri» come Jack Nicholson e il compianto Heath Ledger –, e da innestare il racconto fumettisti­co sulle cupe atmosfere scorsesian­e di Taxi Driver e Re per una notte. Così la parabola diArthurFl­eck, clown freelance che sogna di sfondare nel mondo della stand-up comedy, è risultata una geniale allegoria di una patologia del nostro tempo: l’ossessione per il divertimen­to e la leggerezza a tutti i costi.

Ma questo non è il solo caso recente di «ribalta clownesca», perchÈ le nostre sale sono state prese d’assalto da un altro celebre pagliaccio: Pennywise, la

creatura nata dalla penna di Stephen King e ora protagonis­ta di It - Capitolo

2. Nonostante la narrazione bipartita di AndrÈs Muschietti impallidis­ca di fronte all’audacia del romanzo, il film ha sbancato al botteghino, complice l’effetto nostalgia su una generazion­e che era rimasta letteralme­nte traumatizz­ata dalla miniserie televisiva degli anni Novanta. E che ora torna in sala per riprovare, forse, quella paura infantile legata al mistero di un sorriso disegnato, una faccia dipinta di bianco e una parrucca colorata.

Il terrore celato

Ma com’è possibile che una figura nata per allietare possa svolgere anche il ruolo opposto, e abitare i nostri incubi, tanto cinematogr­afici quanto reali? Il quesito se l’era posto persino William Shakespear­e, a cui si deve il termine «clown»: il drammaturg­o era solito chiamare così i personaggi doppi, di difficile lettura. E in effetti le fattezze di questa maschera lasciano costanteme­nte in dubbio coloro che la osservano, nell’incapacità di comprender­ne davvero lo statod’animoedunq­ue prevederne le reazioni. Un’indefinite­zza che può sfociare in una vera e propria fobia, per laquale è già stato trovatoun nome: coulrophob­ia.

Secondo uno studio condotto su questo tema dallo psicologo canadese Rami Nader, la paura verso i clown deriverebb­e dall’occultamen­to della loro identità: non conoscere chi abbiamo di fronte scatena in ciascuno di noi risposte irrazional­i non sempre controllab­ili. Il che, in fondo, spiega anche molte altre paure che caratteriz­zano il presente, tra cui quella dello straniero e del bagaglio culturale che questi porta con sÈ.

Che questa sovrabbond­anza di clown nell’intratteni­mento, più che farci ridere o farci tremare di paura, voglia soprattutt­o farci pensare?

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Sotto: La casa dei 1000 corpi (2003), Charlie Chaplin al circo (1928) e I clowns di Federico Fellini (1970). In basso a sinistra: L’uomo che ride (1928).

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