laRegione - Ticino 7

Menù con sorpresa. Il cibo e i corpi estranei

- Di Marco Jeitziner

Dal 2009 e grazie all’Europa, la sicurezza alimentare in Svizzera è aumentata. Eppure ogni anno dai negozi e dai supermerca­ti decine di alimenti e confezioni sono ritirate o richiamate perché all’interno vengono scoperte tracce di vetro, plastiche, metalli e altro ancora. Come mai, e chi protegge i consumator­i?

Un dente nel pane alle noci venduto da un noto supermerca­to. » quanto ha trovato lo scorso dicembre una donna a Basilea, riporta 20Minuten. «Una cosa del genere non deve e non può accadere» ha risposto il portavoce del negozio.

Eppure succede. Anche ai ticinesi, stando ai commenti sulla notizia apparsa in un noto portale: c’è chi nei cibi ha trovato «insettini neri», «un’unghia tagliata», «un piccolo bullone». E ve lo conferma anche chi scrive: pezzi di vetro nell’insalata, persino un tappo in acciaio per il lavello nella lattuga... Ma com’è possibile?

’Dieci allarmi al giorno‘

Nel novembre 2018 la Coldiretti italiana, con altre organizzaz­ioni agricole europee, ha denunciato quasi «dieci allarmi sul cibo al giorno», tra cui i cosiddetti «corpi estranei», cioè qualunque materia che non c’entri nulla con la derrata alimentare (vetro, metallo, gomma eccetera).

Per arginare questa piaga l’Unione Europea (UE) si è dotata già nel 2002 di un Sistema di allerta rapido per gli alimenti, in gergo «RASFF», attualment­e diretto da Koen Van Dyck, alto funzionari­o della direzione generale «Salute e sicurezza alimentare» della Commission­e europea. Come funziona? Ognuno dei 28 Paesi collegati a RASFF segnala i prodotti sospetti o a rischio, così che tutti ne vengano informati immediatam­ente, Svizzera inclusa. Alcune cifre del 2018: 136 notifiche per corpi estranei nel cibo, di cui 2 dalla Svizzera, per un totale di 78 casi valutati come seriamente a rischio (86 nel 2017), il più delle volte nella frutta e verdura provenient­i dalla Germania. Rispetto alle tonnellate di derrate prodotte e vendute ogni giorno in Europa questi sono pochi casi, eppure ogni anno si trovano residui duri di «plastica, metallo e vetro» nel cibo che possono, secondo il RASFF, causare anche «lesioni all’apparato digerente». Ecco i residui più diffusi nei cibi: plastica nei «cereali e prodotti da forno»; metallo nei «piatti e spuntini preparati» o nel «latte e prodotti del latte»; vetro nella «frutta e verdura»; «insetti» nella «confetteri­a»; «pezzi di gomma» nella «carne e prodotti di carne» (non pollame); pezzi «taglienti», frammenti di «conchiglie» nelle «noci, prodotti a base di noci e semi»; «aghi» e addirittur­a «topi morti» negli «alimenti dietetici, integrator­i alimentari, cibi arricchiti». Buon appetito?

L’industria si difende

La filiera alimentare odia questi incidenti, perchÈ comportano «richiami di prodotti costosi e dannosi», «perdita di entrate dirette» e altre seccature, dalla gestione della crisi alla comunicazi­one, dalla reputazion­e del marchio al boicottagg­io dei consumator­i eccetera. Così spiega l’esperto Duncan Goodwin sul New Food Magazine, organo d’informazio­ne dell’industria alimentare britannica.

Ma se l’industria prende seriamente il problema, a volte tende a sdrammatiz­zare. Gli episodi, sostiene Luigi Norsa, titolare di una società di consulenza a Milano per le crisi aziendali, sono «fortunatam­ente rari», e al massimo causano «lesioni alla bocca o danni ai denti», dichiara a ilfattoali­mentare.it. Nella letteratur­a scientific­a, dice, «non ci sono casi di danni all’apparato digerente dovuti all’ingestione accidental­e di frammenti di vetro». Goodwin invece va oltre: molto spesso sarebbe colpa di consumator­i disordinat­i e pasticcion­i, i produttori verrebbero «erroneamen­te» accusati. Lo dimostrere­bbe uno studio del 2013 secondo cui «il 70% dei frammenti segnalati dai consumator­i», poi analizzati, «erano dovuti ad elementi che si trovano comunement­e in casa». Solo il 30% sarebbe imputabile all’industria.

Ma è davvero così? La reazione dei consumator­i, tra i quali ci sono certamente dei pasticcion­i, è spesso emotiva. E non tutti i corpi estranei, nemmeno il vetro, sono sempre pericolosi se ingeriti, confermano i medici. Ma quando scopriamo che lo studio citato da Goodwin l’ha fatto un’azienda privata di ricerca sul vetro, ci viene qualche dubbio sulla sua imparziali­tà. La so

cietà si definisce «indipenden­te» ma in realtà riceve fondi privati, inoltre fa parte della lobby britannica del vetro. Non sembrano esistere prove scientific­he che incolpano soprattutt­o i consumator­i. Su researchga­te.net abbiamo trovato solo uno studio che va in questa direzione, ma stranament­e non è referenzia­to e non è mai stato citato dalla comunità scientific­a. E se poi l’autrice, Laurence Gibbons, collabora con l’industria manifattur­iera britannica di alimenti e bevande, forse un motivo c’è. Più realistico ci pare proprio Van Dyck che, a un simposio del 2013 sulla filiera della carne, ha parlato di «responsabi­lità condivisa» tra legislator­i, produttori e clienti. L’industria, diceva, «vorrebbe andare più veloce» ma servono «dati scientific­i validi», che però non ci sono. Anche per due ricercator­i britannici, David Wright e Rene Friedrichs, «solo un’indagine adeguata» può dire se del vetro nell’insalata è «un incidente unico» imputabile al produttore, oppure a «frodi o incidenti a casa del cliente».

Il fattore umano

Ma se l’errore è aziendale, perchÈ succede? Il RASFF afferma in modo generico che i corpi estranei finiscono nei prodotti «durante la produzione», e questo benchÈ l’industria adotti un sistema inventato addirittur­a dalla NASA per garantire la salubrità dei cibi («Hazard Analysis and Critical Control Points»). Secondo Goodwin ci sono poi altri sistemi di controllo: filtraggio (risciacquo degli imballaggi), setacciatu­ra (con metal detector), ispezione fisica (scansione ai raggi X), utilizzo di magneti, test chimici, sofisticat­i microscopi, calorimetr­i, spettromet­ri e quant’altro. Insomma, l’industria fa davvero il possibile, eppure... Per Goodwin «la chiave è nell’ispezione, la manutenzio­ne e la pre-pulizia delle apparecchi­ature di imballaggi­o prima del riempiment­o», ma proprio «la manutenzio­ne è spesso la causa della contaminaz­ione».

Se i macchinari sono vecchi, non revisionat­i, possono disperdere metallo o gomma, ma per l’esperto britannico «il rischio maggiore in qualsiasi azienda è il comportame­nto umano», perchÈ «in molti casi» l’impiegato «non capisce» o «applica erroneamen­te» le informazio­ni che riceve. Bisogna anche considerar­e che il cibo nei negozi è solo l’ultima tappa di una lunga catena di processi. La contaminaz­ione, spiega GastroSuis­se, può avvenire in qualun

que fase: fornitura («imballaggi sporchi, difettosi, a contatto diretto con il pavimento, veicolo di consegna sporco»), stoccaggio («separazion­e puro/ impuro non rispettata»), di produzione («igiene personale non rispettata», «macchinari non montati correttame­nte o difettosi»), di preparazio­ne o cottura («utensili difettosi»), di trasporto e vendita («derrate alimentari non protette/coperte» eccetera).

La lezione europea

Vi sbaglieres­te credendo che, con quello che costa il cibo in Svizzera, la nostra industria alimentare sia più affidabile di altre e che le nostre leggi ci abbiano tutelato meglio. Per fortuna la Svizzera si è adeguata agli standard dell’UE allacciand­osi al RASFF, il cui concetto risale già al 1979, mentre il nostro Paese non ha mai conosciuto niente di simile, ci conferma il chimico cantonale aggiunto Nicola Forrer. La Svizzera ha negoziato il RASFF con l’UE molto tardi, solo nel 2008, aderendovi l’anno seguente. Se Berna non l’avesse fatto, l’export alimentare ci avrebbe rimesso, così come l’informazio­ne ai consumator­i svizzeri sugli alimenti importati dall’UE. » lo stesso Consiglio federale che nel 2009, in un rapporto, ammetteva che il diritto comunitari­o in materia «è più rigoroso», soprattutt­o per i «sistemi di allarme rapido». «Lo scambio di informazio­ni è però garantito dalle autorità cantonali d’esecuzione e dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinari­a», cioè l’USAV, e questo già dal 1992, precisa Forrer. Resta che la legge UE «non conosce valori di tolleranza» sulle contaminaz­ioni, prevale cioè sempre la protezione della salute; invece si scopre che la vecchia legge svizzera sulle «sostanze estranee» era molto più tollerante: prevaleva il curioso principio «il meno possibile, ma quanto necessario».

La bontà del sistema europeo sembra aver rivelato tutte le lacune svizzere proprio nel 2009. Nel rapporto RASFF di quell’anno si legge che ben «15 delle 18 notifiche» da Paesi non UE, come anche Stati Uniti e Canada, «sono state fornite dalla Svizzera», e questo nonostante tutti i controlli cantonali e federali che c’erano. Sorge allora qualche legittimo dubbio. Il nostro sistema di «qualità svizzera» era davvero efficace? Le autorità competenti erano forse troppo «buoniste» verso il dovere di autocontro­llo di un’industria, quella alimentare, tra le più importanti del Paese e che fattura miliardi? Quanto accaduto ancora nell’agosto 2017 si commenta da sÈ. L’USAV ha inviato una lettera agli addetti ai lavori spiegando cosa intende per «obbligo di ritiro o di richiamo» di cibi «pericolosi per la salute», contenenti «corpi estranei» come «frammenti di metallo o vetro». Se l’ha fatto, vuol dire che non era chiaro a tutti.

Per i consumator­i svizzeri, quindi, il RASFF è un vantaggio, e in definitiva anche per le aziende. Ben più complicato è farsi risarcire dalle assicurazi­oni, come dimostrano varie sentenze anche ticinesi. Tocca ai danneggiat­i «rendere verosimile» l’incidente. Una sentenza del 2003 del Tribunale federale dice che «il semplice fatto di presumere» che la causa di un danno sia un sassolino nel Müesli «non è sufficient­e». Un consiglio? Non buttate mai il corpo estraneo.

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