Meret Oppenheim. Casa Costanza a Carona
Nel borgo luganese si respira ancora la presenza della grande artista surrealista. La residenza privata conserva preziose tracce del suo universo creativo.
Fu proprio Meret Oppenheim a «trasfigurare» la casa di vacanze di famiglia in un’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk), edificio ora al centro del progetto fotografico di Susanna Pozzoli che è stato tra i finalisti al Premio Fondazione Vaf 2019 (vedi pagina a destra, ndr). Immagini analogiche dal fascino d’antan corredate da annotazioni destinate a un volume e una mostra, da realizzare in Ticino, restituiscono il senso di un tempo sospeso. Gli echi delle testimonianze raccolte di Birgit, Lisa e Michael Wenger (cognata e nipoti di Meret Oppenheim) disegnano le trame di una storia intimista che è quasi un diario familiare.
Un luogo ’meraviglioso‘
A cinquant’anni dal restauro, fortemente voluto dall’artista con l’aiuto dell’architetto Aurelio Galfetti, nella palazzina di Carona si rintraccia un microcosmo preservato dal trascorrere degli anni, dove gli eredi vivono seguendo un ordine prestabilito delle cose e le indicazioni lasciate da Meret. Casa Costanza è punteggiata di rimandi, oggetti e testimonianze di una vita eccezionale che s’intreccia con la scena dell’arte e della cultura del Novecento. Bella e trasgressiva, ironica e al contempo rigorosa, musa e icona del surrealismo, Meret Oppenheim vive nell’atmosfera di queste stanze così come in sculture e fotografie simbolo quali Colazione in pelliccia (1936; nata da una chiacchierata a Parigi con Picasso e Dora Maar e acquistata dal Moma di New York) e Erotique voilée (1933) di Man Ray, la serie di ritratti senza veli dietro a un torchio. La dimora è una sorta di paradiso ritrovato per l’artista (morta nel 1985) che ha trascorso in Ticino le sue estati, i momenti bui della Seconda guerra e quelli luminosi della rinascita. Nel 1967 Meret scrive a suo fratello
Burkhard in una lettera: «I miei ricordi della casa sono paradisiaci. Sono persino arrivata a credere che il tempo là fosse sempre meraviglioso! Sempre agosto». Sua nonna, Lisa WengerRuutz, era una famosa scrittrice e illustratrice di libri per bambini, e la casa a Carona era visitata da vari personaggi del suo milieu culturale fra i quali Hermann Hesse, che fu sposato per breve tempo con Ruth Wenger (zia di Meret).
Architettura e creatività
Nel villaggio ticinese molti intellettuali venivano in vacanza. » passato da qui anche Mies van der Rohe. L’edificio, acquistato nel 1917 dai Wenger, ha una curiosa facciata settecentesca che dialoga con la fontana d’Ermete, opera di Meret, che raffigura un serpente a due teste avvinghiato intorno a un melo. La dimora si è andata via via delineando nel tempo trasformandosi da casa contadina a palazzetto e sfoggia volumi diseguali, passaggi, scale, ballatoi che ruotano intorno a una grande cucina. Un ruolo importante è riservato al giardino interno, voluto da Meret, con glicini di grandi dimensioni, mughetti e piante profumate. L’effetto della luce naturale s’insinua nei locali come un serpente, animale caro all’artista. Le pareti ocra hanno il sapore di un colore ritrovato sotto la patina del tempo che si è cristallizzato negli anni dopo una ricerca proustiana.
Nel salone Meret è intervenuta sull’entrata rendendola spettacolare con un trompe-l’oeil, sul camino valorizzandolo con il suo tocco, ha realizzato il lampadario con le foglie e un tavolino basso con ripiano in onice, la cui pietra era stata presa anni prima a Londra quando il restauro della casa era ancora un miraggio.
Il mondo in una casa
Ogni angolo parla di lei, dai suoi disegni ai ready made, come le lampade da comodino, fino ai ninnoli della sua infanzia riordinati nella sala giochi insieme ai libri illustrati dell’amata nonna Lisa. Foto e oggetti di famiglia nei vari locali convivono tranquillamente con opere d’arte tout court. Una su tutteè L’Orecchio di Giacometti, ispirata dal padiglione auricolare del celebre amico, mentre le maschere di carnevale sono un altro aspetto di uno sconfinato universo.
In ossequio a una precisione maniacale, Meret ha lasciato un inventario dettagliato con tutto quello che ogni stanza contiene. I suoi bigliettini sparsi per la casa danno indicazioni sui vari oggetti e la relativa provenienza, come il portainchiostro cinese. Persino i singoli volumi della biblioteca sono tasselli di una casa proustiana. Uno, per esempio, reca la scritta: «Questo libro è appartenuto a mio padre Eric Alfons Oppenheim, marito di Eva Wenger (Basilea, 1891 - Carona, 1959), che ha studiato tra i primi psicologia seguendo Jung». Il registro degli ospiti, tra i quali Leonor Fini, Max Ernst e Daniel
Spoerri, ci svela le frequentazioni di un mondo che oggi sembra avvolto da un’aura di mito. Meret amava ricevere gli amici, ma non le piaceva cucinare e correva ai ripari con qualche piatto forte, tra cui gli «ossibuchi». Li preparò anche per la festa di inaugurazione della casa dopo il restauro nell’aprile del 1968, e furono memorabili. Tracce di un microcosmo, frammenti di un vissuto e aneddoti raccontano le mille sfaccettature di una storia da leggere in filigrana nelle immagini rarefatte di Susanna Pozzoli.