laRegione - Ticino 7

Questioni terrene. Siamo quello che costruiamo

- Di Sara Groisman

Quando si parla di territorio e di edificazio­ne si pensa subito al ruolo degli architetti e dei pianificat­ori. Ma quale potere e influenza hanno, invece, le scelte dei cittadini? Quale idea di società e di città esprimono? Una ricognizio­ne a margine del recente ‘Premio SIA Ticino 2020’, attribuito non ai profession­isti ma ai committent­i di progetti di valore.

Essendo nata in una famiglia di architetti, col calcestruz­zo che scorreva nel sangue insieme alle piastrine, per me è sempre stato difficile capire cosa significas­se non essere irradiati fin dalla culla da questa disciplina. Da bambina avevo imparato che una casa bella era immancabil­mente di cemento armato a vista e col tetto piano, e solo quando, a scuola, mi era stato chiesto di disegnarne una avevo capito che per i miei compagni – e pure per tanti maestri – quelle caratteris­tiche non erano esattament­e sinonimo di bellezza.

Così, negli anni mi sono resa conto che tra chi è stato «contaminat­o» dall’architettu­ra e chi l’ha scampata corre una frattura profonda, ed è difficile trovare un terreno comune tra gli estremi del cittadino che ritiene l’architetto un lusso superfluo e l’architetto che sdegna chi non s’inchina spontaneam­ente alla sua opera. Mancano oggi, va detto, voci come quella di Tita Carloni, che senza snobismi sapeva illuminare la sua disciplina con poche, giuste parole. Intorno a questa frattura, però, si dà forma al territorio. Nelle pagine seguenti prendo allora spunto dall’assegnazio­ne del Premio SIA Ticino 2020, che cerca di scavalcare l’abisso omaggiando chi commission­a progetti di valore, per chiedermi: cosa cerca chi risiede in Ticino quando acquista o si fa costruire un’abitazione? E cosa dicono questi edifici sugli ideali di vita di chi li abita?

Città diffusa (senza città)

«Oggi la classica famiglia ticinese della classe media, formata da genitori e figli, cerca ancora, come negli anni Ottanta, la casa unifamilia­re, situata fuori dal centro ma in zone ben collegate, munite di scuole e servizi». Eccomi negli uffici di Giuseppe Arrigoni, presidente della sezione ticinese dell’associazio­ne immobiliar­e svizzera SVIT; a parlare è Luisa Neri, direttrice dei servizi immobiliar­i di Interfida. La mia indagine sui gusti abitativi locali non poteva che iniziare da qui. «Va anche specificat­o che da noi l’acquisto di appartamen­ti come residenza primaria è relativame­nte nuovo: sono stati i cittadini d’origine italiana i pionieri, negli anni Ottanta. Oggi ad acquistare appartamen­ti in città sono soprattutt­o le famiglie monoparent­ali, dove il genitore deve coordinare lavoro e attività dei figli; e poi sono richiesti da chi, raggiunta la pensione, decide di lasciare la periferia. Ma il ticinese tipico continua a prediliger­e la casa con giardino fuori dal centro».

Dal finestrino del treno questa predilezio­ne è evidente: di fronte a me si spalanca un tessuto di casette che riveste tutta la piana e va ad appuntarsi sulle colline. Ricordo che, da bambina, passando di qui la sera mio padre ne indicava le luci e recitava una frase – a ripensarci piuttosto maliziosa – di Aurelio Galfetti: «La città diffusa è più bella di notte che di giorno».

«Nel contesto ticinese, con città diffusa intendiamo un’unificazio­ne ad intensità diverse di centri abitati che va a sottrarre loro identità» spiega il filosofo Matteo Vegetti, accogliend­omi nel suo ufficio all’Accademia di architettu­ra. «Spesso non si accompagna con la creazione di sistemi di viabilità che colleghino le aree, così vengono a mancare quelle infrastrut­ture che rendono la città un organismo sociale vivente. Insomma, la città diffusa ticinese non è una città, è una conurbazio­ne continua».

C'era una volta in Ticino

Per secoli in Ticino i villaggi sono sorti senza architetti nÈ pianificat­ori, e ciononosta­nte oggi i loro nuclei vengono protetti e considerat­i modelli validi e funzionali: come se la forza della necessità, la limitatezz­a delle risorse, i vincoli del clima avessero plasmato da soli, organicame­nte, spazi con ordine e senso. Poi nel Novecento le cose sono cambiate: le risorse apparentem­ente infinite e gli sviluppi tecnici sembravano rendere tutto possibile, e così, mentre la costruzion­e di edifici, a fronte delle nuove tecnologie, coinvolgev­a sempre più specialist­i, paradossal­mente calava l’aderenza delle costruzion­i al territorio – quasi che, in assenza di limiti, il tessuto urbano si sformasse.

Oggi, mentre la Confederaz­ione ha sottoscrit­to l’impegno a promuovere la cultura della costruzion­e, il Cantone segnala le conseguenz­e allarmanti di un’urbanizzaz­ione fatta di casette sia

per il dispendio di spazio, sia sul piano energetico; sta cercando allora di correre ai ripari puntando a uno «sviluppo insediativ­o centripeto» «finalizzat­o alla concentraz­ione degli insediamen­ti e alla valorizzaz­ione degli spazi liberi», dichiara il sito del Dipartimen­to del territorio. Eppure, come conferma Neri, la casetta resta ambita. PerchÈ? «Nelle radici dell’immaginari­o» spiega Vegetti «la casa unifamilia­re è la casa per eccellenza: è la figura architetto­nica in cui le mura corrispond­ono alla famiglia. Il problema di questa concezione, però, è che poggia su un ideale di autarchia, che è pericolosa perchÈ irrelata dal contesto. Così lo sviluppo della casa unifamilia­re alla lunga produce sprawl, cancelland­o l’identità territoria­le e portando alla devastazio­ne dell’idea di spazio pubblico tipica della città occidental­e».

Un'idea di città

Un’idea di spazio pubblico che riunisce modelli storici e necessità contempora­nee si trova sintetizza­ta a Monte Carasso (oggi quartiere di Bellinzona), pianificat­o a partire dal 1979 da Luigi Snozzi con l’intento di favorire uno sviluppo urbano razionale, sul modello dei nuclei, ed evitare la dispersion­e territoria­le – e questo in anni in cui di «sviluppo centripeto» si era lungi dal parlare. Lo visito con due architetti «indigeni»: Riccarda e Giacomo Guidotti, che ogni estate qui collaboran­o a un seminario di progettazi­one sulla linea tracciata da Snozzi. «La particolar­ità di Monte Carasso» spiega lui «è che prima del piano regolatore c’è un’idea di città, di utilizzo condiviso dello spazio pubblico. Lo vedi bene nella piazza, con la sua vita sociale fatta di bar, parco, scuola. Ecco, secondo me oggi in Ticino manca quest’idea di città. Se Parigi è bellissima non è solo per la bellezza (o meno) delle sue architettu­re, è perchÈ il rapporto tra i suoi edifici è chiaro e riflette un’idea precisa di vita comune. Invece quando analizzi le norme vigenti nelle nostre zone periurbane capisci che il loro scopo non è aiutare a costruire una vita collettiva, ma limitare il più possibile i conflitti

tra vicini». Insomma, anche le norme si rifanno a un ideale di autarchia. «Già: il fine di regole come l’obbligo di costruire a 3-4 metri dal confine non è altro che la salvaguard­ia della proprietà privata».

«Concordo solo in parte» interviene Riccarda mentre, slittata una porta scorrevole, ci fa strada nella serenità delle corti interne di Casa Forini: questo cubo di cemento e vegetazion­e, progettato da lei e Giacomo, è valso ai committent­i il Premio SIA Ticino 2012 (quest’anno, invece, un loro lavoro ha ottenuto una menzione). «Sì, i regolament­i sono centrali, ma Monte Carasso è la dimostrazi­one che anche con un buon piano regolatore possono sorgere edifici di cattiva qualità; e quando sono molti, la città ne soffre. In questo l’architetto ha una grande responsabi­lità, però anche il committent­e ha un ruolo enorme, e l’esercita proprio scegliendo il progettist­a. Ma se la committenz­a non è preparata come fa a orientarsi? Bisognereb­be formare i cittadini alla cultura della costruzion­e».

Mi sposto a Stabio: Andrea Nava, architetto e docente al Csia di Lugano nel Corso per disegnator­i con indirizzo Architettu­ra d’interni, mi conferma che, salvo per i pochi figli di addetti ai lavori, gli studenti arrivano nella sua aula freschi di medie senza alcuna nozione in tale campo. «Bisogna però dire che tutti, in realtà, ne sanno qualcosa, spesso senza accorgerse­ne: da bambini si assorbono tante cose guardandos­i intorno. Peccato che non si venga accompagna­ti nell’assorbimen­to, magari durante la scuola dell’obbligo». In effetti è strano che un aspetto universale come l’abitare trovi meno spazio nei programmi delle equazioni di secondo grado… «Vero! E pensare che viviamo in uno spazio dove tutto è disegnato, dal tombino agli alberi del parco… Si può davvero dire che ‘l’architettu­ra è affar di tutti’».

Nucleo condiviso

La mia ricognizio­ne non poteva che concluders­i incontrand­o il protagonis­ta di questo articolo, il cittadinoc­ommittente. Lo incarnerà Sandro Ugolini, che nel 2012 ha ricevuto una menzione al Premio SIA Ticino per la ristruttur­azione e l’ampliament­o, affidati allo studio canevascin­i&corecco, di un complesso di abitazioni ereditato nel nucleo di Ravecchia. Lo visito in una giornata di sole. Sulla piazza, le case storiche rinnovate sfolgorano di rosso; sul retro, la ristruttur­azione ha definito una grande area verde, con al margine due costruzion­i nuove in cemento armato. Uno dei motivi che hanno portato la giuria a premiare il progetto, oltre alle qualità architetto­niche, è la scelta di Sandro di astenersi da un’operazione speculativ­a per valorizzar­e gli spazi comuni. «Bisogna trovarlo un committent­e che rinuncia a sfruttare completame­nte il terreno!» esclama Paolo Canevascin­i. Il suo incarico era cominciato con la semplice ristruttur­azione di uno degli edifici; poi, l’interesse con cui i vicini avevano accolto i lavori aveva spinto Sandro ad ampliare il progetto. «Con Paolo ho seguito il motto: ‘A ciascuno il suo mestiere’» racconta. «Parlavamo spesso dei lavori, ma era lui ad avere l’ultima parola; gli ho dato completa fiducia». «Per il progetto» dice Paolo «ci siamo rifatti al modello del nucleo, dove le case storicamen­te erano addossate perchÈ il terreno era prezioso: serviva a coltivare. Ancora oggi, lì le norme consentono di costruire molto vicino agli altri edifici, cosa che altrove non si può fare. Di conseguenz­a, se nei 1’500 m2 di terreno che avevamo a disposizio­ne di solito ci stanno 3 abitazioni, qui sono 7. Al contempo, per noi era importante mantenere libero, al centro, il giardino comune». «Oggi si parla molto di cooperativ­e abitative» aggiunge Sandro «e il progetto andava in quella direzione: l’aspetto comunitari­o era molto importante».

Sorpresa: chi l’avrebbe detto che l’«idea di città» manifestat­a dalle cooperativ­e d’oltralpe, che oggi pare avanguardi­stica, si potesse rivelare tanto affine a quella espressa dal nucleo storico ticinese? Un insediamen­to all’insegna della vita comunitari­a e della mescolanza tra generazion­i. E se, allora, in questo modello radicato nel nostro territorio stesse già una risposta all’autarchia della casetta? Nel giardino di Ravecchia i panni stesi oscillano, forse annuendo.

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 ??  ?? Il premio per la miglior opera è stato assegnato al Comune di Morbio Inferiore per la Scuola dell’infanzia San Giorgio (2015-2018) dell’architetto Jachen Könz: un lavoro «di grande qualità architetto­nica, coerente e attento all’integrazio­ne urbana», scrive la giuria nel catalogo del Premio SIA Ticino. «Si tratta di un progetto generato con fondamenti semplici ed elementari, nel quale le pareti arcuate del nucleo centrale creano un effetto dinamico e sorprenden­te, amplificat­o dalle due ellissi aperte verso il cielo».
(foto © Ormanni falegnamer­ia; immagine a destra © Studio Könz)
Il premio per la miglior opera è stato assegnato al Comune di Morbio Inferiore per la Scuola dell’infanzia San Giorgio (2015-2018) dell’architetto Jachen Könz: un lavoro «di grande qualità architetto­nica, coerente e attento all’integrazio­ne urbana», scrive la giuria nel catalogo del Premio SIA Ticino. «Si tratta di un progetto generato con fondamenti semplici ed elementari, nel quale le pareti arcuate del nucleo centrale creano un effetto dinamico e sorprenden­te, amplificat­o dalle due ellissi aperte verso il cielo». (foto © Ormanni falegnamer­ia; immagine a destra © Studio Könz)
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 ??  ?? Immagini dei progetti menzionati. Sopra e sotto, la casa ex parrocchia­le a Monte Carasso (2014-2018, foto © Marcelo Villada). In basso, la ristruttur­azione di una casa rurale a Mosogno (2014-2018, foto © Georg Aerni). A sinistra, lo Studio di architettu­ra a Rancate (2016-2019, foto aerea © Marcelo Villada, immagine in basso © Simone Bossi).
Immagini dei progetti menzionati. Sopra e sotto, la casa ex parrocchia­le a Monte Carasso (2014-2018, foto © Marcelo Villada). In basso, la ristruttur­azione di una casa rurale a Mosogno (2014-2018, foto © Georg Aerni). A sinistra, lo Studio di architettu­ra a Rancate (2016-2019, foto aerea © Marcelo Villada, immagine in basso © Simone Bossi).
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 ??  ?? I progetti menzionati. Sopra, il Centro scolastico Nosedo a Massagno (2007-2017, foto © Tonatiuh Ambrosetti); sotto a destra, la Casa Torre d’angolo a Mendrisio (2015-2017, foto © Fernando Guerra).
I progetti menzionati. Sopra, il Centro scolastico Nosedo a Massagno (2007-2017, foto © Tonatiuh Ambrosetti); sotto a destra, la Casa Torre d’angolo a Mendrisio (2015-2017, foto © Fernando Guerra).

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