Coronavirus. Sulla tavola del rispetto
Presi dal Coronavirus, tutti a preoccuparsi dei contagi e della salute dell’uomo. Quando il vero problema sono le condizioni degli animali, altroché.
Certo, viaggiando se ne vedono di tutti i colori. In Cina, purtroppo, sono capitato in un mercato rionale dove tra teste di maiali gocciolanti e anatre appese a frollare si scorgevano gabbie con zibetti, serpenti, volpi, tartarughe. Per non dire dei cani. Animali vivi, legati o imprigionati come condannati nel braccio della morte in attesa di essere giustiziati. Animali cosiddetti «non convenzionali», bracconati e contrabbandati in assenza di normative e di controlli. Molto si è parlato di epidemie asiatiche, ma poco dei wet market, i «mercati bagnati» cinesi dove creature di ogni tipo vengono vendute e macellate a richiesta, sul posto. I virologi spiegano che proprio i wet market come quello di Wuhan sono il primo bacino di contagio da Coronavirus. Siamo preoccupati per il nostro benessere, ma chi pensa a quello degli altri viventi?
Dove siamo finiti
Non è soltanto una questione di igiene, è una questione di evoluzione della nostra specie. PerchÈ nonostante qualcuno propagandi gli improbabili benefici di una dieta carnea, non siamo più nel Paleolitico. Il nostro stile di vita nei millenni è cambiato completamente, i cacciatori-raccoglitori di ieri sono diventati «colletti bianchi». Diverse rivoluzioni tecniche e scientifiche hanno cambiato l’ecosistema Terra, abbiamo fatto breccia nel Dna, applichiamo la biomeccatronica, ci appassioniamo all’innovazione in tutti i campi. Possibile che a tavola si debbano divorare ancora animali?
Ma mettiamo che questo mio ragionamento sia opinabile, o fasullo. Mettiamo che mangiare frutta, ortaggi, legumi e cereali per assurdo ci condanni, che so, all’atrofia muscolare (ma allora i tori e i gorilla, che sono vegetariani e fortissimi, dovrebbero collassare): rimane in campo un’argomentazione fondamentale, quella etica. A ben vedere, i nostri animali da allevamento, suini, polli, bovini che mangiamo in quanto specie «convenzionali», sono sfruttati e ridotti in schiavitù. Quanto a quelli in libertà, nei boschi, ci temono. Chissà come mai.
Stare bene, ma tutti
Il nostro rapporto con gli animali in futuro probabilmente cambierà, così come si è modificato il rapporto che avevamo con i nostri simili, quando la schiavitù e il razzismo erano normali e legali. Questo perlomeno era il pensiero del grande antropologo Claude LÈviStrauss: «Il razzismo riflette su scala umana il problema più vasto dei rapporti fra l’uomo e le altre specie viventi. PerchÈ il rispetto che intendiamo ottenere dall’uomo per i suoi congeneri è solo un caso particolare del rispetto che si dovrebbe sentire per tutte le forme di vita» (citazione tratta dal suo libro intitolato Le regard éloigné, 1983). Benessere animale e benessere umano, siamo tutti sulla stessa barca? Sì, ma come sulle galere romane: chi remava da schiavo, e chi frustava i rematori.