laRegione - Ticino 7

Troppo coperto troppo scoperto

Quando (secondo alcuni) gli abiti “scoprono” troppo

- Fonte: contributo tratto dal “Diario scolastico della Svizzera italiana, Agenda 2021-2022”, 2021 (pp. 78-79), uno dei 13 testi che accompagna­no le illustrazi­oni e la grafica della storica Agenda.

La storia dell’abbigliame­nto è anche la storia del pudore: studiare i vestiti aiuta a capire quali parti del corpo fossero ritenute “scandalose” – e, quindi, da coprire – in ogni epoca e cultura. Gli ultimi cent’anni di moda in Occidente, ad esempio, potrebbero essere riassunti in una parola: mostrare! Nel corso del ’900, infatti, gli occidental­i hanno gradualmen­te scoperto i propri corpi: pensate che i polpacci delle donne erano stati nascosti per secoli quando, negli anni 20, spuntarono le prime gonne al ginocchio. In seguito le gambe si sono ulteriorme­nte scoperte, grazie anche alla minigonna. Nella moda maschile, invece, sono venute alla luce le canottiere.

Oggi in Occidente si è abituati a vedere esposte tutte le parti del corpo, salvo quelle intime. In Svizzera la scelta di cosa mostrare è lasciata perlopiù al buonsenso: si è tenuti a regolarsi secondo il contesto. Non ci sono infatti leggi federali in materia; solo alcuni cantoni le hanno introdotte (dove ciò non è avvenuto, è giuridicam­ente lecito girare nudi…). Nonostante l’apparente permissivi­tà, i dibattiti sul tema non mancano – e toccano soprattutt­o le donne.

Uno dei contesti più discussi è la scuola: quale abbigliame­nto le è consono? A Mendrisio, il Centro profession­ale tecnico lo ha chiesto in un sondaggio a personale e studenti; ne è emersa una lista molto interessan­te (se volete saperne di più: non vi resta che procurarvi l’Agenda, ndr). Il sondaggio prendeva spunto da uno scandalo scoppiato in Romandia: nel 2020 alcune allieve hanno rivelato che, quando i docenti ritenevano i loro abiti inappropri­ati, le costringev­ano a coprirsi con le «magliette della vergogna». Le ragazze hanno definito la misura umiliante e discrimina­toria, dato che solo di rado toccava i maschi. Il dibattito è stato accesissim­o: alcuni difendevan­o le maglie, sostenendo che il rispetto per la scuola s’esprime anche negli abiti. Altri obiettavan­o che gli studenti dovrebbero potersi vestire come preferisco­no, senza dover temere di essere ritenuti provocanti da compagni… e insegnanti.

L’associazio­ne tra abiti femminili e sensualità ha una lunga storia. Per secoli la moda ha presentato le donne come oggetti del desiderio: pur coprendole, gli abiti ne esaltavano le parti del corpo considerat­e sensuali: pensate alle crinoline, che ingrandiva­no il posteriore. Uno degli scopi era attirare l’attenzione di potenziali mariti: in una società in cui le donne erano subordinat­e agli uomini, sposarsi era fondamenta­le per garantirsi sicurezza. Oggi, per fortuna, la situazione è mutata. Tuttavia, le scelte di vestiario delle donne tendono ancora a essere lette come messaggi rivolti agli uomini: c’è quindi chi interpreta gli abiti scoperti come un segno che si sia disponibil­i a ricevere “attenzioni”. Ma, come osservano i movimenti femministi, è tempo di rompere l’equazione “abiti scoperti = disponibil­ità”: un’equazione pericolosa, che può portare a giustifica­re molestie e stupri con commenti come: «Se si veste così, se l’è cercata». Che sia tempo di smettere di pensare che le donne si vestano “per qualcuno”, e di iniziare a concepire le scelte di vestiario (di chiunque) come un modo per esprimere sé stessi?

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