Il popolo Saharawi
Lo scorso maggio, per vie traverse, la questione del popolo saharawi ha fatto un’incursione nel cuore dell’Europa. È successo sulle spalle di 8’000 migranti africani, la maggior parte dei quali giovani, lasciati deliberatamente entrare nell’enclave spagnola di Ceuta dal governo del Marocco, per poi essere prontamente ricacciati indietro dall’esercito dello Stato iberico. Un gesto di ripicca contro Madrid, rea di aver accolto in un ospedale spagnolo Brahim Ghali, presidente del Fronte Polisario, un movimento che lotta per liberare il Sahara occidentale dal giogo del Marocco.
Ricchezze attrattive
Il Sahara occidentale è un lembo di terra conteso che si trova sulla costa nord-occidentale dell’Africa e confina con Marocco, Algeria e Mauritania. Area prevalentemente desertica, possiede però due caratteristiche allettanti che ne hanno decretato la condanna: una porzione di Atlantico tra le più pescose al mondo e giacimenti ricchissimi di fosfati. Divenuto colonia spagnola ai tempi della spartizione dell’Africa, negli anni Trenta del secolo scorso i gruppi tribali arabi-berberi tradizionalmente residenti nell’area hanno cominciato a reclamare la loro indipendenza. Nel momento in cui la Spagna si è ritirata, ad avanzare le proprie pretese sulla regione è subentrato il Marocco, con re Hassan II che nel 1975 ha organizzato la cosiddetta Marcia Verde ponendo le basi per una definitiva appropriazione dei territori, e costringendo all’esodo migliaia di saharawi che hanno trovato rifugio nei campi profughi algerini e nel resto d’Europa.
Resistenza tra fuoco alterno
L’azione marocchina si è però scontrata con la resistenza del Fronte Polisario, movimento armato indipendentista che ha formato un governo in esilio, tuttora con sede a Tindouf nei campi profughi in Algeria. Questo governo ha autoproclamato la regione contesa Repubblica araba democratica saharawi (Rasd), che in quanto tale è stata membro fondatore dell’Unione africana e ne fa parte a pieno titolo. La Rasd, riconosciuta da 85 Paesi, non lo è però dall’Onu, che l’ha inserita nella Lista dei territori non autonomi, ovvero ancora soggetti a colonialismo.
La guerra con l’esercito marocchino è durata dal 1976 al 1991, per un totale di 15 anni di conflitto armato. A partire dal 1980 il Marocco ha iniziato ad erigere un muro cofinanziato da Arabia Saudita e Stati Uniti, arrivato fino alla lunghezza di 2’720 km, con lo scopo di limitare la capacità d’azione delle forze saharawi. Tra 10 e 12 milioni sono le mine antipersona disseminate lungo il suo percorso, che hanno causato centinaia di morti e feriti.
Nel 1991 il Marocco e il Fronte Polisario si sono accordati per un cessate il fuoco. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu in quel momento ha istituito la missione Minurso, con il compito di sorvegliare il rispetto della tregua, di facilitare il rientro dei profughi saharawi e di supervisionare un referendum di autodeterminazione, previsto per il 1992, che però non è mai stato indetto.
Esistenze calpestate
Nei campi rifugiati saharawi in
Algeria da decenni vivono oltre
170mila saharawi dipendenti quasi interamente da aiuti umanitari, mentre altri 550mila saharawi sono rimasti nel loro Paese occupato. Il governo dell’autoprocalmata Repubblica saharawi esercita il potere sovrano sulle cinque zone autonome dei campi profughi e sui territori liberati del Sahara occidentale che si trovano a est del muro, dunque senza accesso al mare. Il Marocco controlla invece il resto della regione, i territori occupati, comprese tutte le attività economiche e commerciali. Un esempio emblematico di tale politica è che alcuni supermercati svizzeri sulle etichette dei pomodori e dei meloni prodotti nel Sahara occidentale “faticano” a scrivere la reale provenienza, preferendo indicare ‘Marocco’. In generale l’accesso alle risorse naturali così come al lavoro è riservato solo ai marocchini, condannando i saharawi a una condizione socioeconomica molto sfavorevole. Sistematicamente, inoltre, sono violati molti altri loro diritti fondamentali, tra cui quelli d’opinione e d’espressione e la libertà di riunirsi pacificamente. Considerando anche il fatto che la presenza dei coloni è attualmente quattro volte superiore rispetto a quella dei saharawi rimasti, risulta chiaro come all’interno dei territori occupati la demografia, la cultura e i modi di vivere della popolazione originaria siano stati completamente stravolti.
In questo 2021 ricorre il decimo anniversario della Primavera araba.
Per alcuni analisti, tra i quali Noam Chomsky, la scintilla si accese però già nel novembre del 2010, proprio nel Sahara occidentale, quando almeno 20mila uomini, donne e bambini si radunarono per un mese in un accampamento a Gdeim Izik. Una protesta pacifica, volta a denunciare i soprusi subiti dai saharawi nei territori occupati, che finì con lo smantellamento del campo e le tende date alle fiamme per ordine di Rabat, e con l’arresto e la tortura di centinaia di saharawi. Ventisette di loro sono tuttora in prigione a scontare lunghissime pene tra quotidiane umiliazioni. In particolare, da alcuni anni in tre si trovano segregati in celle di isolamento. Un decennio dopo, a novembre dello scorso anno, alcuni manifestanti hanno occupato in maniera pacifica il valico di Guerguerat, nella zona liberata sotto controllo del governo saharawi, bloccando il traffico commerciale marocchino in entrambe le direzioni. Il governo del Marocco ha risposto con un’operazione militare, a cui è seguito il contrattacco del Fronte Polisario. Da allora il conflitto armato è ripreso, tra la generale indifferenza del resto del mondo.