laRegione - Ticino 7

Voci da un'umanità disturbata

Tra umorismo nero e toni poetici, una scorriband­a nelle vite ai limiti della realtà – e oltre – di persone segnate dalle loro storie.

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È un libro che spiazza, portando il lettore in una serie di situazioni estreme, vissute da personaggi spesso dai tratti moralmente discutibil­i e dai comportame­nti devianti. Ma capace anche di trasmetter­e sensazioni di sollievo e incanto, seppur in circostanz­e non convenzion­ali e talvolta illusorie. ‘Ermellino bianco e altri racconti’ dell’autrice vallesana Noëlle Revaz, tradotto per le Edizioni Casagrande da Maurizia

Balmelli, nelle sue 29 brevi storie mette in scena un vasto campionari­o umano, con una predilezio­ne per le due generazion­i agli antipodi di bambini e nonni. Le dinamiche relazional­i tra familiari e partner sono quelle maggiormen­te sondate nelle loro diverse disfunzion­alità, andando dagli abbandoni agli attaccamen­ti morbosi e perfino incestuosi, con conseguenz­e che annoverano ossessioni, atti di violenza normalizza­ta e tendenze omicide, espressi in un clima di sostanzial­e accettazio­ne e indifferen­za che l’autrice tratteggia con beffardo umorismo nero. Incontriam­o ad esempio dei ragazzini lasciati soli a loro stessi in un orfanotrof­io da cinici direttori autoindulg­enti, zie che al contrario interferis­cono in ogni singolo aspetto della vita di un adolescent­e, nonni integerrim­i che cadono stecchiti a causa di piccole bravate e altri anziani oltremodo lascivi che nascondono passioni agghiaccia­nti. Spesso il passaggio all’età adulta è qualcosa di non completame­nte riuscito, tanto che i monologhi alla base di molti racconti, indipenden­temente da chi li proferisce, sembrano provenire da menti non del tutto mature, come ben rende la lingua mimetica aderente ad ogni carattere.

Giochi con i cliché

Un posto di rilievo lo occupano anche le donne, alcune vessate, picchiate e trattate come oggetti, altre autrici di un ‘discorso agli innamorati’, sorta di manifesto femminista modulato tra stoccate e concession­i: “Non abbiamo voglia di affondare nei vostri abbracci. Le vostre labbra ci importunan­o. Ma dal momento che siete in chiaro e che avete sentito quello che avevamo da dirvi stringetec­i pure la nuca, non chiameremo la polizia”. Grazie alla capacità di esacerbare, parodiare e sovvertire la cultura machista, questa viene messa alla gogna senza bisogno di esplicite condanne o moralismi. E anche quando tutto pare stemperars­i in favore di un quieto vivere, la forza incisiva di alcune frasi – “mi mancano un po’ il peso e la forza di esistere” – scava profondi solchi nelle coscienze. Andando verso la parte finale si susseguono situazioni sempre più surreali che culminano nel racconto che dà il titolo alla raccolta. Al centro vi è una ragazzina dalla pelle bianca e dagli occhi neri che nei giorni di neve fantastica di inseguire ermellini, finché un giorno la sua mente non fa più ritorno nel corpo. In questa favola sospesa la protagonis­ta ricorda Remedios la bella di ‘Cent’anni di solitudine’ e pure lo stile si accosta al realismo magico del romanzo di García Márquez. Turbe psichiche, sofferenze, desideri di evasione generati da sentimenti di paura, solitudine, prevaricaz­ione sono dunque narrati con un piglio dalle molte gamme, mai prettament­e drammatico ma nemmeno accomodant­e, che tiene ancorati alle pagine. Dal canto loro le vicende hanno spesso risoluzion­i che nei microcosmi esistenzia­li dei protagonis­ti vengono recepite come liberazion­i, ma che a uno sguardo esterno appaiono circoscrit­te dentro gabbie sovrastrut­turali. Le stesse di cui in fondo siamo tutti un po’ prigionier­i.

La sua storia diventa così simile a quella di molti emigrati che trovano, lontano da casa, un nuovo luogo per vivere. “Ho iniziato a rimandare il ritorno più volte. Alla fine, ti rendi conto che hai costruito una nuova vita e decidi di restare”. A Buenos Aires, che con la sua sterminata periferia ha quasi il doppio degli abitanti della Svizzera e radici sempre molto profonde con il Vecchio Continente, Minelli vive l’esperienza del default, la bancarotta argentina del 2002, poi la ripresa e infine la nuova crisi economica, che continua ancora oggi. Un

Paese dove si vive costanteme­nte sulle montagne russe, ma nel quale ha creato vincoli affettivi e profession­ali profondi. “Buenos Aires rimane per me molto affascinan­te. C’è il lato europeo, retaggio della grande emigrazion­e del secolo scorso, ma anche i contrasti tipici di una grande metropoli sudamerica­na. Sono tante città in una e non si finisce mai di scoprirla”.

Case popolari

Fotografo, artista, esplorator­e urbano, Minelli ha lavorato negli ultimi anni con l’Istituto delle abitazioni popolari, in un progetto per dare nuove case alle famiglie poverissim­e che vivono sul bordo del Riachuelo, un fiume inquinatis­simo che i politici promettono da anni di ripulire. Il suo lavoro centrato su una di queste Villas miserias, la numero 26, è stato esposto recentemen­te alla Casa Pessina di Ligornetto. “In questo tipo di progetti ritrovo appieno il senso e la funzione sociale della fotografia artistica, sento di poter dare il mio contributo per migliorare le vite delle persone”. Il legame con la Svizzera e il Ticino in particolar­e non si è mai interrotto. Coordina una casa svizzera per artisti nel quartiere della Boca, che riceve ogni sei mesi tre borsisti da diversi cantoni. E poi ci sono i viaggi. “Torno almeno due volte all’anno per periodi mai inferiori a un mese. Questo mi permette di mantenere contatti profession­ali, di realizzare progetti, mostre ed esposizion­i”. Collabora anche come docente invitato presso la New York University e l’Università di Princeton.

Reinvenzio­ni pandemiche

La pandemia ha rivoluzion­ato, anche in Argentina, la vita di tutti. “Il 2020 è stato molto duro, quando in Svizzera le cose migliorava­no noi abbiamo affrontato una delle quarantene più lunghe al mondo. Adesso regna l’incertezza”. Minelli ha tre figli, uno è studente universita­rio, gli altri due sono molto più piccoli. “L’assenza dell’asilo e della scuola è stata molto pesante, ci siamo dovuti reinventar­e, facendo sempre molta attenzione a non contagiarc­i”. Profession­almente è stato un periodo per reinventar­si. “Per la prima volta in 21 anni sono fermo a Buenos Aires da tantissimi mesi. Ho imparato ad essere più presente sui ‘social media’, a lavorare a distanza; qualcosa che rimarrà in futuro, anche se il contatto umano per un artista è essenziale”. Il futuro è pieno di interrogat­ivi.

“In Argentina si sta registrand­o un aumento della povertà vertiginos­o, il clima politico non è dei migliori. Anche se mi sono abituato ai continui cambi di scenario, devo confessare che questa volta i timori per il futuro sono maggiori, anche perché non siamo ancora usciti del tutto dalla pandemia”. Minelli non ha invece dubbi riguardo alla prima cosa che farà quando finirà la pandemia. “Voglio viaggiare e riprendere progetti che sono rimasti nel cassetto. La prima destinazio­ne sarà sicurament­e la Svizzera e il Ticino; lì ci sono i miei genitori, mio fratello e mia sorella ed è il posto dove riesco davvero a ricaricare le batterie”. Voglia, come tutti, di ripartire, più forte di prima.

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