laRegione - Ticino 7

ROSARIO TEDESCO

- DI FARIAN SABAHI

«Nella mia casa paterna, quand’ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciava­mo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava: - Non fate malagrazie! Se inzuppavam­o il pane nella salsa, gridava: - Non leccate i piatti! Non fate sbrodeghez­zi! Non fate potacci! Sbrodeghez­zi e potacci erano, per mio padre, anche i quadri moderni, che non poteva soffrire. Diceva: - Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi! E diceva: - Voialtri che fate tanti sbrodeghez­zi, se foste a una table d’hôtel in Inghilterr­a, vi manderebbe­ro subito via. Aveva, dell’Inghilterr­a, la più alta stima». Sarà con la lettura di questo brano, in apertura a Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, che inizierann­o gli interventi che l’attore e regista teatrale Rosario Tedesco terrà il 31 gennaio nel liceo di Lugano e, il giorno successivo 1° febbraio, nel liceo di Locarno.

Lessico famigliare è la storia di una famiglia ebraica e antifascis­ta, i Levi, trapiantat­a a Torino tra i primi anni Trenta e i primi anni Cinquanta. Una storia vera. La Storia protagonis­ta. Una narrazione in prima persona dall’ultima nata della famiglia, Natalia. Una bambina «che cresce in fretta e diventa adulta distrattam­ente, senza mai recidere il cordone che la lega alla casa d’origine e alla vita dei genitori». Così scrive Cesare Garboli nell’introduzio­ne dell’edizione Einaudi. Una bambina che da adulta ripercorre il tempo della sua infanzia e la vita passata in casa dei genitori, fino al matrimonio e al suo ingresso nel mondo. Una bambina che racconta: «Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriam­o, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferen­ti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola».

E ancora, l’io narrante di Lessico famigliare si racconta: «Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolub­ilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscer­e l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolari­o dei nostri giorni andati, sono come i geroglific­i degli egiziani o degli assirobabi­lonesi, la testimonia­nza d’un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo».

Dai banchi di scuola al teatro

Nel camerino al Teatro dell’Elfo di Milano, poco prima di entrare in scena nella settimana della Memoria, Rosario Tedesco torna alla propria infanzia: «Ho incontrato Natalia Ginzburg per la prima volta sui banchi di scuola, come tanti», spiega Rosario Tedesco, «ma è diventata parte del mio percorso teatrale alla Scuola di Luca Ronconi a Torino: grazie a Claudia Giannotti, attrice di rara ironia, che ci ha fatto lavorare su Ti ho sposato per allegria». Il cammino di Rosario Tedesco e Natalia Ginzburg si intreccia di nuovo, sempre nel capoluogo piemontese, quando nel 2018 l’attore porta in scena Destinatar­io sconosciut­o di Katherine Kressmann-Taylor, realizzato insieme alla comunità ebraica e con la complicità del coro Zemer.

Dopo quest’ultimo incontro, Rosario Tedesco ripensa a Lessico famigliare. Non più nella veste di racconto edificante, non più come romanzo-diario di una ragazzina che osserva gli adulti, la famiglia. Quanto piuttosto «come il racconto di un’intera comunità, uno spaccato di un’Italia che mette a confronto le generazion­i dei padri e dei figli, tradizioni e nuovi lieviti pronti a deflagrare, un’Italia già virtualmen­te proiettata nel conflitto». La famiglia, in un senso tragico e greco, è l’espression­e corale di questa continuità e rottura, il campo di battaglia, dove il lessico, inteso come la lingua privata, diventa in un certo senso fatto politico, memoria per il futuro. Il romanzo diventa così una preghiera sommessa per chi è stato portato via, serve a ricordare chi non c’è più. La città, la comunità e il senso di responsabi­lità compongono una nuova dimensione, corale, che accompagna la rilettura del testo di Natalia Ginzburg.

‘Cosa pensavi mentre lo facevi?’

Rosario Tedesco è un attore e regista impegnato sui temi civili. In prima linea in questo mese della memoria sia in Ticino sia in diverse città italiane dove ha portato il suo spettacolo La verità è un intreccio di voci tratto dal testo della giornalist­a Gitta Sereny. Di origini ungheresi, nata in Austria, di passaporto britannico e lingua inglese, Gitta Sereny pose una serie di domande a Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka, in Polonia, nel 1942-1943. Sopravviss­uto alla guerra e fuggito in Brasile, Stangl venne arrestato nel 1967 e incarcerat­o a Düsseldorf. Fu l’unico comandante di campi di sterminio portato davanti a un tribunale. Lì, nella sua cella, Gitta lo intervista per 70 ore ponendogli domande del tipo: «Perché? Cosa hai fatto? Cosa pensavi mentre lo facevi?».

Dapprima lui risponde come da repertorio: «Ho obbedito agli ordini, non è colpa mia». In quella cella sono soli. La giornalist­a ribatte: «So già che lei è colpevole, per questo è in carcere. Con lei, vorrei scoprire com’è arrivato fin qui, in questo carcere. Di persone come lei non ce ne sono molte. Se vuole rivelarmi qualche verità ci vediamo dopo pranzo». Due ore dopo lui torna e inizia a narrare di sé. Due mesi, intrisi di lacrime e colpa. Con il comandante dei campi di sterminio, Gitta scende nell’oscurità, ponendo le domande eterne che da sempre ci assillano su come e perché tutto ciò sia stato possibile, nella speranza di avvicinars­i a quella verità che potrebbe gettare luce in quelle tenebre.

Alla fine, Stangl ammette: «È stata colpa mia». Diciannove ore dopo, lui muore di infarto. Gitta prosegue il cammino intrapreso, la ricerca della verità. Perseveran­te nel suo obiettivo, la giornalist­a va da tutti coloro che Stangl ha nominato per farsi raccontare quella stessa storia. E incrocia le verità di ciascuno, per raccontarl­e nel volume In quelle tenebre. La verità è un intreccio di voci pubblicato in italiano da Adelphi. Una storia interessan­te, che varrebbe la pena mettere in scena in un bel teatro del Ticino. Forse anche in occasione dell’8 marzo, perché in primo piano c’è Gitta Sereny, una donna forte che può essere da esempio per le nuove generazion­i.

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FRANZ STANGL, COMANDANTE DEI CAMPI DI SOBIBOR E TREBLINKA
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NATALIA GINZBURG CON SANDRO PERTINI

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