laRegione - Ticino 7

ESSERE TIFOSI

(Ogni donna avrebbe diritto a un uomo non tifoso almeno una volta nella vita)

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Da qualche tempo quando guardo la mia squadra giocare, complice l’avanzare dell’età che oltre a togliere capelli ti toglie anche quelle poche certezze acquisite nel corso della vita, vengo assalito da momenti di lucidità in cui mi pongo la seguente fastidiosa domanda: “Ma come caspita ho FAttO AD AVER TRASCORSO INTERI DECENNI A guardare in TV dei ragazzi che corrono come disperati dietro a una palla per fregarla ad altri ragazzi, per poi calciarla dentro a una porta litigando con un uomo vestito

DI NERO CHE HA UN fiSCHIEttO IN BOCCA?”.

La questione non riguarda tanto i loro faraonici stipendi perché oramai ho realizzato, grazie alla già citata età che avanza, che il mondo degli affari ha una sua logica e a far da padrone è sempre la legge della proporzion­e. Infatti, è solo quando settantami­la persone pagheranno un biglietto per vederci mandare mail dal nostro ufficio (e gli sfortunati che non potranno godere dal vivo dei nostri prodigiosi copia e incolla pagheranno una piattaform­a televisiva per non perdersi nemmeno una pausa caffè di noi che parlottiam­o con i colleghi), che potremmo lamentarci sulla sproporzio­ne di redditi e compensi rispetto ai calciatori.

Il punto è un altro e forse ancor più drammatico del veder diventare milionari ventenni che corrono sudati su un prato verde perché tutta la logica, la ragione e la razionalit­à di questo mondo non saranno mai sufficient­i a spiegare cosa significhi veramente tifare.

Margot, perdonaci

La maggior parte di noi ha una vocazione ossessiva talmente smisurata che saremmo disposti a rinunciare ad un invito a cena di Margot Robbie (in arte la donna più bella del mondo) pur di vedere la nostra squadra giocare la finale di Champions League. Margot, perdonaci. Proprio non possiamo vederci il giorno successivo?

L’Università di New York ha condotto un esperiment­o per capire quali aree del cervello siano interessat­e nel processo del tifo mostrando a due diversi gruppi di tifosi, accuratame­nte monitorati con macchinari per la risonanza magnetica cerebrale (li immagino conciati tipo Alex in Arancia Meccanica nella famosa scena della “cura Ludovico”), un video con le azioni principali della loro squadra. I risultati hanno dimostrato che mentre le aree cerebrali impegnate alla visione si comportava­no nello stesso identico modo in entrambi i gruppi, le regioni riservate alle funzioni cognitive reagivano in modo completame­nte opposto. I due gruppi, quindi, riconoscev­ano la stessa partita ma in pratica vedevano due partite diverse perché in caso di un fallo una fazione era sicura del rigore mentre l’altra, al contrario, della simulazion­e.

Il nostro inconscio, quindi, percepisce le azioni della nostra squadra del cuore diversamen­te da quelle compiute dalle altre. Non sappiamo osservare direttamen­te il mondo (tranquilli, nemmeno i monaci tibetani riescono a farlo nonostante la meditazion­e praticata quotidiana­mente), ma lo guardiamo attraverso il cervello che applica un “filtro cognitivo” influenzat­o da diversi fattori ambientali, familiari, sociali, culturali, di appartenen­za, di ideologie ecc.

Non esistono fatti ma solo interpreta­zione dei fatti; anche di fronte a un semplice ascensore tu potresti vederlo come un mezzo per evitare le scale, mentre io come un pericolo perché salendoci sopra potrei avere un attacco di panico.

Thor e il Dio pallone

Quando guardiamo la partita della nostra squadra, l’interpreta­zione supera di gran lunga la realtà perché se non vinciamo, finiamo per rosicare, sbraitare e litigare con il mondo vivendo concitati momenti che possono addirittur­a portare ad accelerazi­one dei battiti, scariche di adrenalina, aumento della pressione arteriosa e costrizion­e dei vasi sanguigni.

Che poi, anche se dovessimo vincere il campionato a noi cosa ne verrebbe in tasca? Può il nostro umore dipendere dalle prestazion­i di undici sconosciut­i ragazzi? Possibile che abbiamo più senso di appartenen­za per una società sportiva che per i nostri affetti? Tifiamo più per la nostra squadra che per la nostra vita soffrendo in nome di una fede che ci accompagna fin dall’infanzia; se solo mettessimo metà dell’entusiasmo, della passione e dell’impegno profuso per il Dio pallone nei nostri rapporti, forse saremmo più focalizzat­i nelle questioni importanti della vita e avremmo al nostro fianco partner meno annoiati.

Infatti è bene ricordare che se la sera della finale di Champions la tua fidanzata venisse invitata a cena da Chris Hemsworth (in arte Thor), forse non sarebbe così categorica come te nel rifiutare l’invito.

Altro che legge della proporzion­e.

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CHRIS HEMSWORTH
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MARGOT ROBBIE

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