ESSERE TIFOSI
(Ogni donna avrebbe diritto a un uomo non tifoso almeno una volta nella vita)
Da qualche tempo quando guardo la mia squadra giocare, complice l’avanzare dell’età che oltre a togliere capelli ti toglie anche quelle poche certezze acquisite nel corso della vita, vengo assalito da momenti di lucidità in cui mi pongo la seguente fastidiosa domanda: “Ma come caspita ho FAttO AD AVER TRASCORSO INTERI DECENNI A guardare in TV dei ragazzi che corrono come disperati dietro a una palla per fregarla ad altri ragazzi, per poi calciarla dentro a una porta litigando con un uomo vestito
DI NERO CHE HA UN fiSCHIEttO IN BOCCA?”.
La questione non riguarda tanto i loro faraonici stipendi perché oramai ho realizzato, grazie alla già citata età che avanza, che il mondo degli affari ha una sua logica e a far da padrone è sempre la legge della proporzione. Infatti, è solo quando settantamila persone pagheranno un biglietto per vederci mandare mail dal nostro ufficio (e gli sfortunati che non potranno godere dal vivo dei nostri prodigiosi copia e incolla pagheranno una piattaforma televisiva per non perdersi nemmeno una pausa caffè di noi che parlottiamo con i colleghi), che potremmo lamentarci sulla sproporzione di redditi e compensi rispetto ai calciatori.
Il punto è un altro e forse ancor più drammatico del veder diventare milionari ventenni che corrono sudati su un prato verde perché tutta la logica, la ragione e la razionalità di questo mondo non saranno mai sufficienti a spiegare cosa significhi veramente tifare.
Margot, perdonaci
La maggior parte di noi ha una vocazione ossessiva talmente smisurata che saremmo disposti a rinunciare ad un invito a cena di Margot Robbie (in arte la donna più bella del mondo) pur di vedere la nostra squadra giocare la finale di Champions League. Margot, perdonaci. Proprio non possiamo vederci il giorno successivo?
L’Università di New York ha condotto un esperimento per capire quali aree del cervello siano interessate nel processo del tifo mostrando a due diversi gruppi di tifosi, accuratamente monitorati con macchinari per la risonanza magnetica cerebrale (li immagino conciati tipo Alex in Arancia Meccanica nella famosa scena della “cura Ludovico”), un video con le azioni principali della loro squadra. I risultati hanno dimostrato che mentre le aree cerebrali impegnate alla visione si comportavano nello stesso identico modo in entrambi i gruppi, le regioni riservate alle funzioni cognitive reagivano in modo completamente opposto. I due gruppi, quindi, riconoscevano la stessa partita ma in pratica vedevano due partite diverse perché in caso di un fallo una fazione era sicura del rigore mentre l’altra, al contrario, della simulazione.
Il nostro inconscio, quindi, percepisce le azioni della nostra squadra del cuore diversamente da quelle compiute dalle altre. Non sappiamo osservare direttamente il mondo (tranquilli, nemmeno i monaci tibetani riescono a farlo nonostante la meditazione praticata quotidianamente), ma lo guardiamo attraverso il cervello che applica un “filtro cognitivo” influenzato da diversi fattori ambientali, familiari, sociali, culturali, di appartenenza, di ideologie ecc.
Non esistono fatti ma solo interpretazione dei fatti; anche di fronte a un semplice ascensore tu potresti vederlo come un mezzo per evitare le scale, mentre io come un pericolo perché salendoci sopra potrei avere un attacco di panico.
Thor e il Dio pallone
Quando guardiamo la partita della nostra squadra, l’interpretazione supera di gran lunga la realtà perché se non vinciamo, finiamo per rosicare, sbraitare e litigare con il mondo vivendo concitati momenti che possono addirittura portare ad accelerazione dei battiti, scariche di adrenalina, aumento della pressione arteriosa e costrizione dei vasi sanguigni.
Che poi, anche se dovessimo vincere il campionato a noi cosa ne verrebbe in tasca? Può il nostro umore dipendere dalle prestazioni di undici sconosciuti ragazzi? Possibile che abbiamo più senso di appartenenza per una società sportiva che per i nostri affetti? Tifiamo più per la nostra squadra che per la nostra vita soffrendo in nome di una fede che ci accompagna fin dall’infanzia; se solo mettessimo metà dell’entusiasmo, della passione e dell’impegno profuso per il Dio pallone nei nostri rapporti, forse saremmo più focalizzati nelle questioni importanti della vita e avremmo al nostro fianco partner meno annoiati.
Infatti è bene ricordare che se la sera della finale di Champions la tua fidanzata venisse invitata a cena da Chris Hemsworth (in arte Thor), forse non sarebbe così categorica come te nel rifiutare l’invito.
Altro che legge della proporzione.