Pienza, il sogno di un Papa
Tappa 4 Dal Sentiero della Bonifica, il percorso che conduce da Arezzo a Pienza attraversa le colline della Val d’Orcia, armoniose e incantevoli quanto impegnative per i ciclisti. Ma il piccolo borgo, con la sua abbagliante luminosità, ci fa presto dimen
Da Arezzo a Pienza
AF Oggi si va nelle Malebolge. Ma la prospettiva è tutt’altro che ripugnante e puzzolente rispetto agli anelli infernali dove Dante vi cacciò i falsari. La meta è la graziosa Pienza e prima di raggiungere la città ideale del Rinascimento ci inerpicheremo nella parte alta di Montepulciano dove non ci faremo mancare un bicchiere di vino Nobile. Anche questa è conoscenza della Toscana. Usciti da Arezzo, dopo Chiani, eccoci in Val di Chiana sulla ciclopedonale del canale Maestro, indicato come Sentiero della Bonifica. Ai tempi di Dante, queste erano paludi infestate dalla malaria, dopo la bonifica avviata dai Medici di Firenze si sono trasformate nelle terre più fertili d’Italia. Una storia simile al nostro Piano di Magadino, insomma, ma con una Chianina in più. Oltre a ortaggi, frutta e cereali, queste terre strappate alle acque hanno prodotto nei secoli un enorme e straordinario esemplare di razza bovina: la Chianina, appunto. Un tempo sfruttata come forza motrice nell’agricoltura, dal 1931 è allevata esclusivamente per la produzione di carne, ma la combinazione tra l’estrema resistenza alle condizioni ambientali difficili e il potenziamento muscolare ottenuto trainando carri e vomeri ne hanno fatto una razza conosciuta per il suo gigantismo somatico. I tori possono raggiungere due metri e 17 quintali, dai quali si ricavano tagli di carne magra eccezionali, la più famosa è la “fiorentina” quella con l’osso, messa al bando per alcuni anni in seguito alla mucca pazza ma ora tornata regina della tavola. In Toscana sostengono che la Chianina fornisce un limitato apporto calorico, è molto ricca di ferro e non incide sul colesterolo, anzi aumenta la sintesi di quello buono. Addirittura dicono che queste mucche producono meno gas serra rispetto alle altre razze. Vogliamo credergli? Chissà? Intanto rosicchiamoci quest’osso di tappa e godiamoci questa pianura lussureggiante pedalando in tutta tranquillità lungo il Canale maestro della Chiana fino a Foiano, km 30. Conosciuto per il suo Carnevale, il più antico d’Italia, Foiano, però sembra un paese fantasma, forse perché ci arriviamo di domenica. Troviamo un solo bar aperto per l’ultimo caffè prima di affrontare la salita verso Montepulciano, non sarà il Tourmalet, ma presenta impennate anche al 13-14 %. Con le nostre pesanti borse appese al portapacchi ci aspetta uno sforzo da Grande Boucle. Non siamo nei Pirenei, ma nel tipico paesaggio toscano tra ulivi e cipressi. Verso Torrita di Siena, km 42, iniziano quelli che i toscani in gergo ciclistico chiamano i “mangia e bevi” , su e giù continui con cambi di ritmo brutali. A Montepulciano (km 50) ci arriviamo superando una salita di 3,5 km. L’ascesa non finisce entrando dalle antiche mura, ma, per raggiungere la monumentale Piazza Grande dominata dal Duomo e dal trecentesco Palazzo comunale, dobbiamo percorrere pedalando la via medievale centrale zigzagando tra frotte di turisti. Il premio è l’agognato bicchiere di Vino Nobile di Montepulciano che gustiamo all’Osteria del Borgo, pochi metri sotto Piazza Grande. Scegliamo una bottiglia di Talosa: ci dicono l’espressione massima del Sangiovese affinato in botti di rovere. Mancano 16 km a Pienza, arriviamo giusto in tempo per ammirare uno di quegli indimenticabili tramonti che hanno reso celebre la
Val d’Orcia.
Pienza: la città ideale
RA “Protege Virgo Civitatem Tuam”. La scritta campeggia sull’affresco che immortala due angeli e la piazza del Duomo nella lunetta della Porta Prato. Basta un attimo, il tempo di scorrere un po’ più in basso una targa per capire a cosa fa riferimento: “15 giugno 1944 destructa, ottobre 1955 restituta”. Pienza in realtà subì un bombardamento ma non fu fortunatamente distrutta (furono colpiti un paio di stabili) e oggi può anche andar fiera di aver legato il suo nome alla lotta partigiana contro l’occupante nazista. Arriviamo lì, in questo magnifico borgo della Val d’Orcia dopo un percorso impegnativo per chi viaggia con la tradizionale bicicletta muscolare. Arrivare sul promontorio a quasi 500 metri è comunque meno faticoso rispetto a Montepulciano. Città vicine, ma molto diverse. Questa che abbiamo scelto come tappa è più piccola, altrettanto turistica, ma veramente singolare. Qui un po’ come ad Arezzo con Cosimo I e il Vasari, qualcuno ha pensato di procedere a un radicale rifacimento della struttura medievale. Proseguiamo con ordine per inquadrare nella storia e nella cultura questa piccola capitale… del pecorino. Per prima cosa se cerchiamo il suo nome negli annali del Medioevo non troviamo nulla. La ragione è semplice. Pienza si chiamava Corsignano. A cambiarle il nome e a mutarne storia e fisionomia fu il suo più celebre cittadino, Enea Silvio Piccolomini, nato lì nel 1405. Salì al soglio pontificio nel 1458 col nome di Pio II. La sua vita ce la racconta un uomo a cui chiediamo informazioni e che si rivela essere l’architetto di riferimento del borgo. Incontro casuale quanto fortunato. Perché Fausto Formichi conosce tutto di Pienza. Ci racconta con passione l’incontro che il Papa avrebbe avuto con Leon Battista Alberti, teorico della città ideale rinascimentale. Il Pontefice affidò poi a uno dei suo allievi, Bernardo Rossellino, il rifacimento di parte della città. Il risultato è spettacolare: armonia, forma, proporzioni e tanta luce contraddistinguono la piazza emblema stesso di Pienza, a cui è stato dato proprio il nome del Pontefice. A formare quest’affascinante trapezio urbanistico concorrono la Cattedrale di Santa Maria Assunta, Il Palazzo vescovile (detto Borgia), il Palazzo comunale e il Palazzo Piccolimini. Formichi si sofferma sull’aspetto dominante, rivoluzionario: la luce. Ci spiega che è proprio per questa caratteristica il Duomo è stato chiamato domus vitrea. Il borgo è visitabile in poco tempo, è proprio “micro”, si fa velocemente il giro di stradine e vicoli con le loro botteghe, negozi e trattorie. Vi sono vie dai nomi singolari, come la via del bacio, quella dell’amore e della fortuna.
Per inquadrare la rivoluzione rinascimentale della “città ideale” , che non modifica comunque la sua pianta medievale, ci fiondiamo nel Palazzo Piccolimini, la residenza papale trasformata in museo con il giardino pensile che si affaccia sullo spettacolare paesaggio, una meraviglia senza pari con i suoi infiniti cipressi, le sue mille colline, i suoi orizzonti in cui si stagliano le Crete da una parte e il monte Amiata dall’altra. Ingiustamente sottovalutato dalle guide turistiche, il Palazzo vescovile o Palazzo Borgia: conserva capolavori come la Madonna della Misericordia, splendida tavola gotica trecentesca del senese Bartolo di Fredi (lo ritroveremo a San Gimignano) che ritrae la Vergine in abito rosso con il mantello aperto a proteggere i fedeli. La profondità della Madonna col Bambino di Pietro Lorenzetti è tutta racchiusa nello sguardo di indicibile adorazione che lega il Cristo e sua madre: forte, intenso fin nei dettagli, come in quella manina che il bimbo pone sulla spalla della mamma. Quando il Medioevo è capace di commuoverti…