La Maremma in salsa agrodolce
“Tutti mi dicon Maremma Maremma e a me mi pare una Maremma amara, l’uccello che ci va perde la penna, io ci ho perduto una persona cara.
Sia maledetta Maremma Maremma, sia maledetta Maremma e chi l’ama; sempre mi trema il còr quando ci vai perché ho paura che non torni mai”
‘La piccola Gerusalemme’
Così una vedova che piangeva l’amante emigrato forse dall’Appennino toscoemiliano per andare a lavorare in Maremma; come si era fatto per secoli. Sono i versi di una canzone portata alla ribalta da quella straordinaria interprete di musica popolare che è stata Caterina Bueno e il Nuovo canzoniere italiano, durante il Festival dei due mondi di Spoleto del 1974, curato da Roberto Leydi e Filippo Crivelli. Il disco che ne è stato tratto (intitolato Bella Ciao) è diventato da tempo un cult. Ascoltando quelle parole torna alla mente una tipica imprecazione toscana: “Maremma maiala”, oggi per noi piuttosto incomprensibile, ma che già ai tempi di Dante aveva una sua ragion d’essere quando, affrontando i suicidi posti nell’Inferno, li collocava proprio nel profondo di una Maremma selvaggia: “Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che in odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti” “Una terra feroce, ma al tempo stesso dolce come poche, se si ha la curiosità di andarla a scoprire: un tempo era una macchia brulla strappata poi con fatica al degrado grazie alla bonifica realizzata il secolo scorso, che ha cambiato il volto della regione”, racconta oggi con passione Luigi Prota detto Gigi, maremmano “quasi doc”, essendo sì di origini napoletane, ma trapiantato da decenni a Pitigliano, in provincia di Grosseto, il cuore della Maremma, la città del tufo per antonomasia che conserva pure un parco archeologico importante; detta anche
‘La piccola Gerusalemme’ in omaggio alla presenza di un’antica e ben radicata comunità ebraica.
Le tradizioni nella poesia
La Maremma moderna i turisti la conoscono soprattutto per le vacanze estive, grazie alle coste, al dolce paesaggio dominato da immense pinete e colline dove si coltivano la vigna e l’ulivo.
“Sì, il vino e l’olio sono il nostro oro rosso e l’oro verde - continua Luigi Prota prodotti che sono stati capaci di conquistare i mercati non solo nazionali grazie alla qualità e a una promozione mirata: Bolgheri con il Sassicaia e l’Ornellaia, Scansano con il suo Morellino sono solo alcuni esempi di eccellenze; per non dire dell’olio che è il migliore di tutti”. Oltre al turismo, sono una fonte di benessere che ha cambiato le carte in gioco. Il sole, una collina, un cipresso ed ecco che subito capiamo dove siamo. “È un luogo comune che rischia però di trasformare la Maremma in un giardino turistico, a scapito della vita reale che si svolge, o svolgeva, nei villaggi dell’interno. Perché la Maremma tradizionale resiste malgrado i cambiamenti”, dice ancora il nostro interlocutore.
E per dimostrarmelo mi mostra alcune raccolte di poesie di Barbara Di Sacco, poetessa locale, che racconta appunto della Maremma tradizionale, della vita popolare nei paesi tra chiesa, lavatoio, osteria, le chiacchiere alla fontana, usando spesso termini oggi desueti (come ‘sinale’ per grembiule). Nostalgia. Una vita semplice scemata non solo in Maremma a ben vedere, ma che ritroviamo anche nei paesi delle nostre valli con lo spopolamento, la chiusura della scuola, della posta, della bottega locale, l’abbandono della dura vita contadina così ben illustrata dagli ex voto presenti nelle chiese di casa nostra, oltre che in varie pubblicazioni (come nel Fondo del sacco di Plinio Martini) e nei musei regionali.
Quando manca la curiosità
“Il turista non è interessato più di quel tanto alle tradizioni locali”, racconta Luigi che è insegnante e attore di teatro, ma che in estate lavora in un resort sulla costa, ai margini della pineta di Cecina, a due passi dalla villa di Beppe Grillo.
“Qui abbiamo due ristoranti che chiamiamo ‘Ombra della sera’ e ‘Anfora di Baratti’, dove prepariamo ricette tradizionali come i pici all’aglione, grossi spaghetti conditi con aglio grosso del Casentino; lo gnudo (nudo), un tortellone ripieno con formaggio; o i tagli di carne della celebre vacca maremmana dalle lunghe corna, da non confondere con quella di razza chianina che in origine era principalmente un animale da lavoro, tipico della Val di Chiana. Dicevamo dei ristoranti. Il nome è stato dato in omaggio a due reperti archeologici locali molto famosi, dei quali esponiamo una copia in una vetrina all’ingresso. Il primo è la celebre figurina votiva etrusca di un uomo filiforme conservata al Museo di Volterra; l’altro è un’anfora in argento del IV secolo di origine orientale, ritrovata nel Golfo di Baratti nella stiva di una nave naufragata e lì esposta al pubblico. Credo che siano pochissimi gli ospiti che si sono chiesti il perché di questi due nomi così legati al luogo. Per questo dicevo che manca la curiosità di scoprire la Maremma, di ieri e quella di oggi”. Al turista svizzero viene forse in mente di abbinare l’‘Ombra della sera’ al nome di Alberto Giacometti, per la serie “non si inventa niente di nuovo”!
Un po’ d’America (anche qui)
Parlando di tradizioni cancellate, come non ricordare i famosi butteri a cavallo della Maremma, corrispettivo del cowboy americano, oggi più folcloristici che altro, dal momento che la transumanza è scomparsa e con essa i suoi protagonisti. Ma il tessuto di fondo continua a sopravvivere. Bisogna lasciare la macchina e la spiaggia e prendere una bicicletta o andare a piedi immergendosi in un’infinita pineta; oppure seguendo itinerari collinari attraverso le vigne e gli ulivi visitando le molte aziende agricole presenti, o i parchi archeologici e i musei; esplorando magari le cave secolari di tufo. La Maremma è un mondo a parte che si presenta con volti diversi dalla modernità alla lontana antichità, con la presenza etrusca che tanta influenza ha avuto sulla cultura di Roma; la Maremma toscana conserva innumerevoli siti e musei dedicati al popolo etrusco: Roselle, Vetulonia, Populonia, Baratti, per dirne alcuni famosi. Una regione che arriva alle frontiere con il Lazio passando per l’antica Tuscia lungo una costa tirrenica di centinaia di chilometri, fino alle isole del Giglio e Giannutri, nonché all’Argentario. La porta per chi arriva invece da nord lungo la Via Aurelia è Cecina, a due passi dal viale dei Cipressi immortalati dal Carducci: “I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, quasi in corsa giganti giovinetti mi balzarono incontro e mi guardar...” L’occasione anche per riprendere in mano qualche libro di poesia, o di archeologia etrusca, o di enologia... a seconda dei propri interessi.