Toscana sì, però…
Tappa 8 Ai piedi degli Appennini, l’ottava tappa del viaggio nell’Europa medievale ci conduce a Castelnuovo di Garfagnana, borgo acciambellato e un po’ appartato, una sorta di faglia sismica nella storia delle rivalità tra i comuni dell’Italia centrale.
Lucca - Castelnuovo di Garfagnana
Ariosto l’odiava, Pascoli la venerava. Non sappiamo cosa ne pensasse Adolf Hitler, ma riuscì indigesta perfino a Satana. C’è qualcosa di misterioso e selvaggio nell’avventurarsi in Garfagnana, terra di scorribande e rappresaglie. Siamo sempre in Toscana, ma mentre ci infiliamo nella Valle del Serchio tra due catene ininterrotte di monti, le Alpi apuane da una parte e i primi contrafforti appenninici dall’altra, è come se entrassimo in un altro mondo, quasi nascosto. Appena lasciate le mura di Lucca troviamo una ciclabile lungo il fiume Serchio: 7 km in mezzo al verde fino a Ponte a Moriano. Tra Decimo e Borgo a Mozzano, nel punto in cui la valle si dischiude ci imbattiamo in bunker e muraglie di cemento; sono le prime avvisaglie di una storia molto speciale che qui lasciò una lunga scia di morte, devastazione e fame. È quel che resta della famosa Linea gotica, la poderosa struttura difensiva fatta costruire dai tedeschi nel 1944 per fermare l’avanzata verso nord degli alleati angloamericani. Hitler, temendo il peggio, le cambiò denominazione in Grüne Linie, ma ormai era tardi: nel maggio del 1945 venne sfondata aprendo la strada alla disfatta nazista. A Borgo a Mozzano c’è un museo della memoria, con visite guidate. La tentazione di infilarci tra gallerie e trincee per capire meglio quei dolorosi momenti storici è forte, ma non c’è tempo; all’uscita di Borgo a Mozzano, ci attende il diavolo. Visto che è stato gabbato già una volta, guai a farlo aspettare. L’appuntamento è fissato al km 22 davanti alla prima meraviglia artistica della Garfagnana: il maestoso Ponte della Maddalena, o appunto del Diavolo, considerato un miracolo dell’ingegneria medievale, sfidò per secoli le piene del Serchio e le incursioni di numerose armate nemiche. Scampò addirittura alla furia distruttiva dei nazisti. Lo fece costruire Matilde di Canossa nell’XI secolo, ma la sua caratteristica sagoma – con una grande e arditissima arcata seguita da tre molto più basse – alimentò numerose leggende, come quella che l’architetto in ritardo con i lavori avesse fatto appello a Satana per terminarlo in una notte in cambio della prima anima in transito sul ponte. Quando si accorse che per collaudarlo avrebbe dovuto passare lui per primo, mandò in avanscoperta un cane, beffando così Satana. Di storia come questa ce ne sono tante sul diavolo e i suoi ponti. Però quello di Borgo a Mozzano è tra i più belli d’Italia. Continuiamo e arriviamo al bivio per Barga (km 33), raggiungibile dopo una salita di 5 km, scendendo si può poi proseguire lungo la via Giovanni Pascoli per Castelvecchio, dove il poeta della “cavallina storna” visse fino a poco prima della morte, avvenuta a Bologna nel 1912. Noi tiriamo dritto fino a Monticello, dove inizia la salita più impegnativa: una serpentina di 5 km nel bel mezzo di una vegetazione fitta e smagliante. Una picchiata veloce in discesa di 3 chilometri ci porta a Castelnuovo di Garfagnana, sotto la Rocca dove Ludovico Ariosto visse per tre anni maledicendo questa valle: “Questa è una terra di lupi e briganti”. Ma basta un aperitivo in piazza per rendersi conto che oggi, al contrario, gli abitanti sono particolarmente gentili e accoglienti.
Castelnuovo terra di gente “inculta”?
Il più noto dei personaggi al quale è legata la località in cui trascorriamo il pomeriggio e la notte, non ne era dunque particolarmente entusiasta. E non solo perché il suo soggiorno nel capoluogo della Garfagnana lo teneva lontano dalla moglie Alessandra Benucci. Ludovico Ariosto considerava quelle terre, in cui era stato inviato come governatore,
“popolate da gente inculta, simile al luogo ove è nata e avvezza”. Insomma una Toscana ben diversa da quella che fiorisce altrove in quegli anni rinascimentali. L’autore de L’Orlando furioso trascorse tre anni (1522-25) nella Rocca di Castelnuovo (oggi per l’appunto “Rocca ariostesca”) per decisione del Duca Alfonso d’Este. Saranno di fatto gli Estensi di Ferrara a contrassegnare, perlopiù nel bene, la storia di questa località e della sua valle a partire dal Medioevo. Non fu comunque solo il celebre poeta a conservare un’immagine poco lusinghiera della Garfagnana. Ne abbiamo la prova sfogliando un testo scritto nel 1879 da un certo Raffaello Raffaelli,
Descrizione geografica storica economica della Garfagnana. Lo storico racconta di un “forastiero” molto inquieto di metter piede in un paese
“che mi hanno detto stanza di lupi e di orsi… in un paese incolto, semibarbaro, inospite… ho la testa sbalordita, e mi sta sempre innanzi agli occhi la pittura orrenda di questo paese…”. Raffaelli racconta che molti stranieri arrivando in Garfagnana temevano di ritrovarsi “in mezzo ai selvaggi” e che la maggior parte degli italiani manco sapeva “in quale plaga dell’orbe terraqueo fosse situata la Garfagnana”. In uno slancio sciovinista, lo storico si affretta a correggere il tiro, a sfatare il pregiudizio, scrivendo di “una popolazione pacifica, di una regione dove si gode la quiete, di persone cordiali e amici del forastiere, di arguto e versatile ingegno, dotato dalla natura di dolcissimo parlar toscano”. Ora però tocca a noi raccontare un po’ quanto abbiamo visto e sentito. Cominciamo dal “parlar toscano”: qui, ci spiega Martina Moriconi dell’Unione dei Comuni della Garfagnana, si parla un toscano particolare. Le “e” sono in genere chiuse e la “c” viene pronunciata come una “g”. Davvero curioso. E quanto sta davanti ai nostri occhi? Anche se il suo capoluogo non è una meta indimenticabile, la Garfagnana, tutta, ha indubbiamente il suo fascino. La “valle del bello e del buono” secondo le parole di Giovanni Pascoli è punteggiata di borghi, castelli, pievi, ponti. Contrariamente a quanto lasciano intendere le parole di Raffaelli, la Garfagnana fu in realtà politicamente e militarmente un’importante faglia sismica.
La storia locale dell’Alto Medioevo non è molto nota. Come Lucca, pure tutta la Garfagnana fu conquistata dai Longobardi; conoscerà poi la fase di incastellamento (che comportava la fortificazione di interi villaggi) in innumerevoli comuni (un centinaio!) e diventerà nei secoli terra di scontro dapprima tra i Signori locali e i Lucchesi, e in seguito tra le diverse potenze comunali, oltre a Lucca, Pisa, la Urbino di Francesco della Rovere, Firenze (che papa Leone X de’ Medici aveva spronato nel 1521 all’offensiva militare e alla conquista) e Ferrara. Furono dunque gli Estensi a lasciare qui il miglior ricordo. Ecco, ma cosa rimane di tutto questo a Castelnuovo? In realtà davvero poco. La Rocca ariostesca che domina la Piazza Umberto I e che risale all’XI secolo è stata promossa a emblema cittadino. Eppure dell’originale castello non sopravvive molto; al momento in cui scriviamo (e temiamo anche negli anni successivi) non è neppure visitabile. Sovrasta Castelnuovo un’altra opera legata agli Estensi: la fortezza, o meglio ciò che ne rimane, di Mont’Alfonso: val la pena andarci – una manciata di chilometri, 200 metri di dislivello – soprattutto per la vista spettacolare sulla Valle del Serchio. Attenzione però! Castelnuovo inganna un po’. Si ha l’impressione di essere già in montagna (anche perché si è fatta parecchia salita da Lucca… ma pure, lo avevamo quasi scordato, non poca discesa); in realtà tuttavia si tratta di una sorta di illusione ottica. Non siamo neanche a 300 metri sul livello del mare e la salita verso gli Appennini ci attende tutta nella prossima tappa.