Pärma (dialetto emiliano): animali nel piatto e nelle chiese…
Si vanta di essere l’epicentro della “Food Valley” italiana. Chissà se è veramente così? Comunque, non è decisamente una città per vegani. Prosciutto crudo, trippa, culatello di Zibello, coppa, cucciolata (salume a base di testa e cotenna di maiale), una miriade di insaccati. Si salvano perlomeno i vegetariani grazie agli anolini in brodo, i tortelli di erbette, i dolci e naturalmente il Parmigiano Reggiano, grazie al quale ci fiondiamo dritti dritti nel Medioevo. Anche all’origine del formaggio più celebre al mondo troviamo quei monaci cistercensi e benedettini che ci accompagnano costantemente in questo viaggio nel passato. Poterono sfruttare il sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore e gli allevamenti di mucche dei monasteri per ottenere un formaggio dalla pasta asciutta adatto alle lunghe conservazioni. Le prime testimonianze risalgono al XIII secolo: il Boccaccio ne accenna nel ‘Decameron’ (siamo a metà XIV secolo): “in una contrada eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato”. Il protagonista della nostra tappa è naturalmente il centro città. La lista dei luoghi da visitare è lunghissima: la mannaia diventa una necessità quando il tempo impone scelte e rinunce. Issiamo così sul podio degli imprescindibili due capolavori. Uno medievale, l’altro no. Cominciamo da quest’ultimo. Il Palazzo della Pilotta: l’enorme costruzione che risale a fine ’500 ospita lo straordinario Teatro Farnese, distrutto nella Seconda guerra mondiale e ricostruito esattamente come fu concepito sotto il regno del quarto duca di Parma e Piacenza, a cavallo del ’600. Nei secoli successivi la grandiosa macchina barocca fu lasciata andare in rovina: i primi grandi restauri iniziarono a metà ’800 e il teatro riaprì le porte al pubblico a inizio ’900. Grandioso l’arco scenico, l’ampia platea orlata da due ordini di serliane, sorta di logge-trifore manieriste: un bastimento barocco ispirato al teatro greco che ti avvolge con il calore del legno (oggi grezzo, ai tempi decoratissimo). Il proscenio monumentale, il palcoscenico che sembra perdersi all’orizzonte (40 metri di profondità), il sottopalco e le gallerie che consentivano di realizzare le prime scene mobili, suscitando lo stupore del pubblico: tutto concorre a fare di questo teatro un unicum. Sarebbe centralmente sul primo gradino del nostro podio se, non lontano da lì, non sorgesse un altro… unicum, questa volta chiaramente medievale, il Battistero, parte integrante del complesso romanico che comprende il Duomo e il Vescovado. Prisma ottagonale in marmo rosa veronese, porta la firma di Benedetto Antelami. Un gioiello: iconografia teologica, raffigurazioni simboliche, segni, figure umane e animali, ne fanno un libro aperto sul Medioevo. Se l’architetto gli ha dato forma ottagonale, è perché il battistero è un condensato di simboli. A cominciare dal numero otto che nella tradizione religiosa medievale rinvia alla resurrezione di Cristo. Più di ogni altra costruzione cittadina, il Battistero impone una doppia visita: l’interno ovviamente, ma pure l’esterno, girandola di messaggi e informazioni teologiche e simboliche, specchio dettagliato di un’epoca in cui la Chiesa aveva il quasi monopolio dell’immaginario collettivo. Il suo perimetro presenta una miriade di animali reali o immaginari. Per noi è una vera ghiottoneria culturale e storica! I bestiari in effetti erano un genere estremamente popolare nell’“età di mezzo”: l’animale era un’allegoria di pregi, difetti, comportamenti dell’uomo. Qui c’è l’imbarazzo della scelta: troviamo il “rex animalium”, il leone, il basilisco [nato da uovo di gallo (!) covato da un rospo o da un serpente, per questo si presenta come un rettile con la testa di gallo], il popolare drago alato, la manticora (corpo da leone, testa umana), le terribili arpie (corpo di rapace, volto di donna) e naturalmente l’unicorno, piccolo cavallo bianco dotato di poteri magici racchiusi nel suo corno a spirale. Come dire che a Parma gli animali, fortunatamente, non li troviamo solo nei piatti.