È tutta una questione di naso
Nauseabondi effluvi assalgono il giovane Rousseau proveniente da Ginevra al suo ingresso a Parigi: a Faubourg Saint-Marcel, al Louvre, alle Tuileries, al Museum, perfino all’Opéra è perseguitato dai cattivi odori e dall’infezione dei gabinetti.
Nei giardini del Palais Royal, d’estate, non si sa dove riposarsi senza respirare il puzzo di orina stantia. I Quais fanno venire il voltastomaco; gli escrementi sono diffusi ovunque, sui viali, ai piedi dei cippi, dentro i fiacres. I vuotacessi appestano la strada lasciando le tinozze svuotarsi nei rigagnoli. I laboratori dei conciapelli contribuiscono a diffondere i sentori escrementizi. La città è un anfiteatro di latrine appollaiate le une sulle altre dalle quali esala il più fetido dei lezzi; i muri delle case parigine sono corrosi dall’orina... e via dicendo.
Così raccontano osservatori disincantati dell’epoca parlando della capitale francese agli inizi dell’Ottocento, forse calcando un pochino la mano. Parigi, centro delle scienze, delle arti, delle mode e del gusto, scrive un altro collega, si impone anche come capitale del fetore. Insomma, roba da turarsi le narici; sicuramente peggio di quanto viviamo noi in centro nelle ore di punta del traffico o quando passiamo nei pressi di una discarica.
Fratello minore dei cinque sensi
Questione di nasi, appunto. Ve ne sono di celebri, che la storia, l’arte e la letteratura ci hanno tramandato. Dopo quello lineare del ‘profilo greco’ nella scultura classica, ecco il naso pronunciato di Giulio Cesare e il nasino all’insù di Cleopatra (ma forse ho in mente i fumetti di Uderzo e Goscinny); e che dire del ritratto del Duca Federico da Montefeltro conservato al Museo di Urbino, del naso adunco di Dante o di quello estensibile di Pinocchio; del nasone di re Carlo tornato dalla guerra cantato da Fabrizio De André, di quello di Cyrano de Bergerac e sicuramente altri che dimentico.
Nasi interessanti dal profilo estetico, con riferimenti al carattere forte dei loro proprietari, ma ignorati dal punto di vista dell’antropologia. Poi c’è la letteratura moderna e qui vengono subito in mente: il racconto di Gogol intitolato appunto ‘Il naso’ (Rizzoli editore), quello dell’assessore Kovalèv che si stacca dal suo volto per andarsene a spasso in città. Ma soprattutto ‘Profumo’, il romanzo di Patrick Süskind pubblicato nel 1985, che ha posto l’universo olfattivo al centro di una vicenda drammatica che vede protagonista lo straordinario Jean-Baptiste Grenouille.
Gli odori, l’olfatto, cioè il fratello minore dei cinque sensi, spesso trascurato, ma che invece ha una lunga e appassionante storia che segue passo passo quella della società umana e dei rapporti tra i suoi membri; la puzza e i suoi contrari, fetori e aromi profumati, come cartina di tornasole per interpretare la nostra società.
Narice e pregiudizio
Qualche anno fa il Musée de la main di Losanna, in collaborazione con l’Università di Ginevra, aveva dedicato una mostra – da vivere facendo esperienze sensoriali – proprio all’olfatto e al mondo controverso degli odori, mettendo in gioco, dal profilo psicologico e sociale, gli atteggiamenti e le sensazioni in rapporto agli odori gradevoli o sgradevoli proposti al visitatore. Spesso con risultati inaspettati a seconda degli schemi culturali, dei pregiudizi e delle esperienze di ciascuno. C’entravano la storia, la psicologia, la medicina, la sociologia, la politica, la religione e altro ancora. Questo per dire di una materia affascinante e complessa, quanto poco esplorata.
Su questi legami ambivalenti si sono chinati anche storici del costume quali Alain Corbin, che anni fa ha pubblicato una ‘Storia sociale degli odori. XVIII e XIX secolo’, in italiano presso Mondadori, con un saggio introduttivo di Piero Camporesi, che è un valore aggiunto al testo. Un libro impegnativo con centinaia di rimandi bibliografici che affronta la tematica attraverso coppie di termini investiti di valori antitetici che separano il male dal bene (e riprendo quanto scritto in un’altra occasione sull’argomento): afrori e profumi, corpo e anima, bestialità e umanità, povertà e benessere, sporcizia e pulizia, lavoro e ozio, malattia e salute, morte e vita, peccato e santità, inferno e paradiso.
Valori praticati a seconda dei periodi storici e delle tendenze culturali del momento. Da Roma fino al tardo Medioevo si conviveva con la puzza e i miasmi dovuti alla sporcizia, agli escrementi umani e ai liquami che infestavano soprattutto i centri abitati, nonché alla presenza dei cimiteri in ambito urbano e dentro le chiese. Ricordo ad esempio un quadro del Landesmuseum con una veduta di una Zurigo antica dove sono ben visibili le tracce sui muri degli escrementi umani precipitati in strada dalle latrine dei piani superiori.
Il concetto di igiene personale e di salute pubblica è un concetto moderno maturato lentamente e tra mille contraddizioni.
Per molto tempo, avviato il processo di innalzamento della sensibilità nei confronti della puzza, si è preferito coprire gli odori corporali con profumi o bruciando nell’ambiente circostante aromi vegetali.
Per quanto attiene alla Svizzera ricordo un interessante studio pubblicato da Geneviève Heller dal titolo ‘Propre, en ordre’, una ricerca che illustra le strategie messe in campo nel nostro Paese verso la metà dell’Ottocento, per fare della Svizzera il Paese della pulizia e dell’ordine per antonomasia, sul piano individuale e soprattutto sociale.
Silenzio olfattivo
Oggi viviamo in quello che alcuni studiosi hanno definito un “silenzio olfattivo”, dominato da prodotti che ci mettono al riparo dai cattivi effluvi corporali nostri e degli altri, dai batteri e da altre diavolerie che si annidano nell’ambiente.
Una società asettica, insomma. Il libro di Alain Corbin ci accompagna proprio in questo cammino dalle città e dalle campagne puzzolenti di un tempo alla cultura dell’igiene pubblica e privata; lo fa attraverso i testi di osservatori, scrittori, scienziati e medici dei secoli scorsi che sono lo specchio di credenze, superstizioni e pregiudizi di ogni genere, ma anche di qualche conquista importante per il progresso.