Disentis, un’abbazia imperiale
Vater Theo incarna la serenità, non si scompone, la nostra domanda lievemente pungente non lo indispettisce. Quando gli chiediamo se tutto quell’oro, quello sfarzo portato all’eccesso che addobba gli altari della Chiesa abbaziale di San Martino, non contrasti con i princìpi benedettini, risponde con tranquillità: “Quell’oro è un retaggio dell’età barocca, una volta si considerava che la chiesa dovesse essere così. Oggi non la costruiremmo più allo stesso modo. Per me quell’opulenza non ha alcuna importanza, è solo forma”. Il monaco che ci fa da guida conferma che del periodo pre-carolingio del monastero qui non rimane nulla, salvo i muri di fondazione della cripta altomedievale delle due prime chiese dell’VIII secolo d.C. messi in luce dagli scavi archeologici. Accanto ai quali in un piccolo scrigno sono custodite le reliquie (una costola e un osso del cranio) di San Placido e San Sigisberto. Sarebbe stato quest’ultimo a costruire la prima cellula di quella che poi diverrà nel Medioevo una delle maggiori abbazie benedettine dell’arco alpino. San Sigisberto era un monaco franco (e non a caso dedicò il nascente micromonastero a Martino di Tours, San Martino, patrono dei Franchi, ancora lui!) e assistito nella sua iniziativa da Placido, un signorotto locale che venne ucciso poi dal governatore della Rezia e per questo considerato martire. La prima costruzione carolingia dell’imponente monastero fu distrutta nel devastante assalto lanciato dai Saraceni nel 940 d.C. Eh sì: gli Arabi arrivarono fin lì nella Surselva! L’abbazia si risollevò presto, come si risollevò altre volte nella Storia. La Chiesa abbaziale con la sua ostentazione barocca e la sua decina (!) di altari è un chiaro prodotto della Controriforma, quello che vede nella Chiesa un’istituzione di potere con una funzione di dominio culturale e politico. Non per nulla qui a Disentis sbarcò nel 1581 Carlo Borromeo, cardinale e arcivescovo di Milano, celebrato come uno dei massimi protagonisti del Concilio di Trento. Padre Theo sembra non far caso alla nostra curiosità impregnata di scetticismo: la spiritualità non è scalfita dalla pompa, dallo sfoggio di ricchezza. Capello lungo, brizzolato come la sua barba incolta, una vivida letizia stampata negli occhi, ci ricorda un po’ - forse anche per la spiritualità che promana - Fiodor Dostoevskij, poi qualche minuto dopo a dominare sono le sembianze con un altro celeberrimo scrittore russo: ci sembra di essere accanto a Aleksandr Solženicyn. Padre Theo comunque, di russo ha solo l’aspetto: è in effetti svizzero tedesco doc come tutti gli altri 19 monaci che vivono qui in relativa clausura. Ha scelto di aderire al voto benedettino di povertà, castità, obbedienza già da giovane, dopo aver studiato teologia, acciuffato dal richiamo mistico che lo ha condotto in un monastero “dove vive una comunità non troppo numerosa”. L’adesione alle regole stabilite da Benedetto di Norcia all’inizio del VI secolo d.C. prevede una vita di umiltà e di silenzio, dove si alternano gli aspetti liturgici (ora) e lavorativi (labora). A Disentis i monaci iniziano la giornata con la preghiera delle 5.30 seguita dal canto delle “lodi”. Alle 7.30 si riuniscono nuovamente per la celebrazione eucaristica e alle 11.45 al suono dell’angelus per la preghiera meridiana. Alle 18 si intonano i vespri e due ore più tardi la completa chiude l’intensa giornata liturgica. Il monastero venne utilizzato dagli imperatori, già ai tempi di Ottone I di Sassonia nel X secolo, per sorvegliare e controllare il valico alpino (ai tempi tra i più importanti) del Lucomagno. Quella di Disentis è dunque un’abbazia imperiale. L’abbiamo considerata una tappa obbligata del nostro viaggio: punto di incontro tra la nostra curiosità storica e il piacere di soggiornare in un luogo speciale, avvolto dal silenzio della notte e poi dall’alba baciato dalla bellezza paesaggistica di questa fetta di mondo alpino.