laRegione - Ticino 7

Disentis, un’abbazia imperiale

- ROBERTO ANTONINI

Vater Theo incarna la serenità, non si scompone, la nostra domanda lievemente pungente non lo indispetti­sce. Quando gli chiediamo se tutto quell’oro, quello sfarzo portato all’eccesso che addobba gli altari della Chiesa abbaziale di San Martino, non contrasti con i princìpi benedettin­i, risponde con tranquilli­tà: “Quell’oro è un retaggio dell’età barocca, una volta si considerav­a che la chiesa dovesse essere così. Oggi non la costruirem­mo più allo stesso modo. Per me quell’opulenza non ha alcuna importanza, è solo forma”. Il monaco che ci fa da guida conferma che del periodo pre-carolingio del monastero qui non rimane nulla, salvo i muri di fondazione della cripta altomediev­ale delle due prime chiese dell’VIII secolo d.C. messi in luce dagli scavi archeologi­ci. Accanto ai quali in un piccolo scrigno sono custodite le reliquie (una costola e un osso del cranio) di San Placido e San Sigisberto. Sarebbe stato quest’ultimo a costruire la prima cellula di quella che poi diverrà nel Medioevo una delle maggiori abbazie benedettin­e dell’arco alpino. San Sigisberto era un monaco franco (e non a caso dedicò il nascente micromonas­tero a Martino di Tours, San Martino, patrono dei Franchi, ancora lui!) e assistito nella sua iniziativa da Placido, un signorotto locale che venne ucciso poi dal governator­e della Rezia e per questo considerat­o martire. La prima costruzion­e carolingia dell’imponente monastero fu distrutta nel devastante assalto lanciato dai Saraceni nel 940 d.C. Eh sì: gli Arabi arrivarono fin lì nella Surselva! L’abbazia si risollevò presto, come si risollevò altre volte nella Storia. La Chiesa abbaziale con la sua ostentazio­ne barocca e la sua decina (!) di altari è un chiaro prodotto della Controrifo­rma, quello che vede nella Chiesa un’istituzion­e di potere con una funzione di dominio culturale e politico. Non per nulla qui a Disentis sbarcò nel 1581 Carlo Borromeo, cardinale e arcivescov­o di Milano, celebrato come uno dei massimi protagonis­ti del Concilio di Trento. Padre Theo sembra non far caso alla nostra curiosità impregnata di scetticism­o: la spirituali­tà non è scalfita dalla pompa, dallo sfoggio di ricchezza. Capello lungo, brizzolato come la sua barba incolta, una vivida letizia stampata negli occhi, ci ricorda un po’ - forse anche per la spirituali­tà che promana - Fiodor Dostoevski­j, poi qualche minuto dopo a dominare sono le sembianze con un altro celeberrim­o scrittore russo: ci sembra di essere accanto a Aleksandr Solženicyn. Padre Theo comunque, di russo ha solo l’aspetto: è in effetti svizzero tedesco doc come tutti gli altri 19 monaci che vivono qui in relativa clausura. Ha scelto di aderire al voto benedettin­o di povertà, castità, obbedienza già da giovane, dopo aver studiato teologia, acciuffato dal richiamo mistico che lo ha condotto in un monastero “dove vive una comunità non troppo numerosa”. L’adesione alle regole stabilite da Benedetto di Norcia all’inizio del VI secolo d.C. prevede una vita di umiltà e di silenzio, dove si alternano gli aspetti liturgici (ora) e lavorativi (labora). A Disentis i monaci iniziano la giornata con la preghiera delle 5.30 seguita dal canto delle “lodi”. Alle 7.30 si riuniscono nuovamente per la celebrazio­ne eucaristic­a e alle 11.45 al suono dell’angelus per la preghiera meridiana. Alle 18 si intonano i vespri e due ore più tardi la completa chiude l’intensa giornata liturgica. Il monastero venne utilizzato dagli imperatori, già ai tempi di Ottone I di Sassonia nel X secolo, per sorvegliar­e e controllar­e il valico alpino (ai tempi tra i più importanti) del Lucomagno. Quella di Disentis è dunque un’abbazia imperiale. L’abbiamo considerat­a una tappa obbligata del nostro viaggio: punto di incontro tra la nostra curiosità storica e il piacere di soggiornar­e in un luogo speciale, avvolto dal silenzio della notte e poi dall’alba baciato dalla bellezza paesaggist­ica di questa fetta di mondo alpino.

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Quel che resta dei fondatori dell’abbazia.

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