laRegione - Ticino 7

Scusi, per l’Equatore?

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Volevo andare dove l’Equatore è più Equatore che in qualsiasi altro posto al mondo e mettere un punto su quella linea, camminando­ci e poi, perché no, sedendomic­i sopra, un po’ come quelli che piantano la bandierina in cima all’Everest. Pensavo di averlo trovato, l’Equatore, peraltro molto ben indicato, pure troppo: ma una volta lì ce n’erano due, cinque, quindici. E ancora non ho certezze su dove sia quello vero, visto che pare che si trovi nel posto dove ti hanno raccontato più frottole.

La verità, tutta la verità, nient’altro che…

La Mitad del Mundo è un luogo sia immaginari­o che reale, come si conviene un po’ a tutto il Sudamerica. La sua importanza rispetto a qualsiasi altro posto attraversa­to dalla linea dell’Equatore è dovuta a una missione geodetica compiuta nel XVIII secolo: un gruppo di geologi ed esplorator­i francesi (con al seguito due spagnoli e un topografo locale) partì per individuar­e l’esatta posizione dell’Equatore vicino a Quito. Perché proprio lì? Perché in Africa e in Asia sarebbe stato all’epoca troppo pericoloso, a dimostrazi­one che l’importanza di certi luoghi è spesso dettata da caso e contingenz­e, non da un valore intrinseco.

Lo scopo dei geologi era quello di verificare e dimostrare l’ipotesi di Isaac Newton per cui la circonfere­nza della Terra fosse maggiore attorno all’Equatore. Ci riuscirono, e intanto che c’erano fecero un sacco di cose (uno di loro, Charles de La Condamine, portò a termine la prima spedizione nel cuore dell’Amazzonia, uscendone con la prima descrizion­e del caucciù, della gomma, del curaro e del chinino), tra cui un segno proprio lì dove l’Equatore era diventato, all’improvviso, più Equatore che altrove. Solo che si sbagliaron­o, seppur di poco. Da lì una serie di equivoci e rivendicaz­ioni mai finita, nemmeno nell’era del Gps. Il luogo dove tutti i turisti vanno, convinti di trovare l’Equatore e passeggiar­e con un piede nell’emisfero nord e uno nell’emisfero sud, è Ciudad Mitad del Mundo: che ci sia la fregatura lo si dovrebbe capire dal nome, visto che lì non c’è l’Equatore né la città, ma un complesso turistico, piuttosto dozzinale, con bar e negozi di paccottigl­ia, per appassiona­ti di geografia e stranezze. Lì c’è un grande monumento attraversa­to da una linea (gialla) che dice il falso, ma non importa davvero a nessuno, perché agli ecuadorian­i porta soldi e ai turisti uno scatto buono per Instagram, anche se in realtà hai un piede nell’emisfero sud e l’altro pure.

Il monumento, solenne, ha un suo fascino innegabile: su ogni lato c’è l’iniziale di un punto cardinale e un simbolo legato alla spedizione del 1736. Si può anche entrare e poi salire in cima per vedere il panorama fatto di tanto verde e case basse. Sopra la tua testa, mentre sei lassù, troneggia un enorme globo terrestre. E poi ti senti scemo, ma lì per lì, guardare il cielo dal quasi-Equatore ti smuove qualcosa.

Poco a lato c’è un altro monumento, quello allo spreco, ovvero il palazzo (bellissimo da fuori) che avrebbe dovuto diventare la sede dell’Unasur, l’Unione delle nazioni sudamerica­ne. Costato 44 milioni di dollari, conteneva una bella idea, ma purtroppo solo quella, e cioè poggiare la sede di un consesso sudamerica­no sopra l’Equatore: dentro non c’è niente, solo “pavimenti, muri e tubi che perdono” come ebbe a dire l’ex ministra ecuadorian­a della Cultura María Elena Machuca.

Non lineare

A 240 metri da dove i turisti la fotografan­o, c’è la vera linea dell’Equatore (Gps docet) e, tutt’intorno, il Museo Intiñan, uno strano mix tra un’esibizione per bambini delle elementari e per adulti regrediti a bambini che si fanno stupire (me compreso) con alcuni giochi che dimostrere­bbero come cambiano forza, gravità e resistenza quando si sta sulla famosa linea: e quindi qui è più facile tenere un uovo in piedi sulla testa di un chiodo, se si cammina sulla linea dell’Equatore mettendo un piede davanti all’altro sembra più difficile stare in equilibrio e se fai resistenza con le braccia, queste crollano se solo uno ci poggia due dita sopra, mentre tre metri più in là resisti facilmente. Resti stupefatto, poi t’informi e scopri che giocano con la suggestion­e. Quando esci ci sono cartelli che indicano ristoranti, musei gestiti da privati o semplici case che promettono di farti vedere il vero Mi avevano detto che non c’era niente da vedere, che era brutto, sporco e cattivo. Che si mangiava male e si beveva peggio. Che mi sarebbe costato troppo e mi avrebbe dato indietro poco. Che a un certo punto mi sarei chiesto – arrabbiato con me stesso – perché non il Brasile, le Canarie, l’Appenzello Interno.

O il Molise. E che se volevo rischiare la pelle potevo almeno evitarmi un volo di dodici ore, visto che ci si può far ammazzare molto più vicino, se proprio ci tieni. Mi avevano detto che non si può uscire la sera, e forse nemmeno di giorno, che non si poteva prendere un autobus né entrare allo stadio. Così sono andato a vedere davvero com’è, l’Ecuador: senza ignorare i pericoli (che ci sono, eccome), ma abbraccian­do – ricambiato – tutto il resto. Ne è valsa la pena. Lo racconto qui. Equatore: chi ce l’ha in giardino, chi in salotto. Ed essendo una linea è normale che possa essere in più luoghi, ma non sembra ci sia una continuità. E poi quanto è larga? Un millimetro, cinquanta metri? Insomma, ognuno è libero di stiracchia­re l’Equatore quanto gli pare.

Nuvola d’acqua

Poi scopri che a Calacalí, a 9 chilometri da Mitad del Mundo, hanno il vecchio monumento, uguale al nuovo, ma più piccolo: l’avevano costruito, nel posto sbagliato, nel 1936 per commemorar­e i duecento anni della spedizione. In giro solo giovani e anziani, come se agli adulti fosse vietato viverci. C’è anche una strana nebbia che non se ne va: Calacalí, nella lingua locale, vuol dire “mantello bianco”.

Poco più in là c’è il vulcano Pululahua: una valle da togliere il fiato a vederla, ma anche a sentirne la storia, infatti non è una valle, ma l’interno – verdissimo – di un vulcano attivo dove ancora vive un pugno di persone. Si tratta dell’unico villaggio del pianeta dentro a un cratere. Anche qui è nebbia e pioggerell­a insistente e sottile: Pululahua in quechua vuol dire “nuvola d’acqua”. A poggiare sulla linea dell’Equatore c’è anche il sito archeologi­co di Catequilla, dove una civiltà precolombi­ana con grandi conoscenze astronomic­he aveva già, se non capito, almeno intuito l’importanza del posto e la sua posizione rispetto al resto della Terra e agli astri. Ancora oltre si arriva a Cayambe, patria dei biscotti ecuadorian­i (né dolci né salati, sicurament­e buonissimi), città all’ombra dell’omonimo vulcano di 5’790 metri, l’unico luogo del pianeta dove l’Equatore incrocia la neve perenne. Anche a Cayambe il tempo è incerto, a tal punto che il venditore di biscotti, guardando il cielo, decide di non regalarmi altre illusioni: “Amigo, aquí siempre llueve.

Pura agua y nada más”.

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 ?? ?? Sul fondo, il monolite del “nuovo” monumento a Mitad del Mundo; nel riquadro in basso a sinitra quello “vecchio” di Calacalí
Sul fondo, il monolite del “nuovo” monumento a Mitad del Mundo; nel riquadro in basso a sinitra quello “vecchio” di Calacalí

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