laRegione

La fionda di Burkhalter

- Di Matteo Caratti

È una Svizzera che reagisce e non fa sconti al nuovo presidente Usa quella che abbiamo percepito nelle parole di Didier Burkhalter. Il nostro ministro degli Esteri ha pubblicame­nte ricordato agli Usa di Trump che hanno sì il potere di regolare l’immigrazio­ne come meglio credono, ma senza calpestare i principi e i diritti fondamenta­li del diritto internazio­nale che vanno sempre rispettati. Una Svizzera (detto tra parentesi) che avremmo voluto sentir manifestar­e le stesse convinzion­i anche in occasione della recente visita del presidente cinese Xi. Ma guardiamo avanti, la storia corre. Le parole di Burkhalter pesano, perché il piccolo Davide – depositari­o delle Convenzion­i di Ginevra – dice a uno degli uomini più potenti del mondo che ci si deve sempre opporre alla discrimina­zione degli esseri umani a causa della loro religione o della loro provenienz­a, e che il decreto anti-immigrazio­ne adottato dagli Usa va nella direzione errata. Oltre a ciò anche perché rifiuta l’accoglienz­a di vittime delle guerre. Scelta dall’alto potenziale incendiari­o, visto che ha pure come possibile effetto quello di esacerbare gli animi, aumentare le frustrazio­ni e in definitiva fomentare il terrorismo. Visto l’attivismo di Trump, il fatto che la Svizzera manifesti subito e ad alta voce il proprio dissenso – mentre l’Europa si muove in ordine sparso! –, anche solo armata di fionda, è importante. I fuochi sfuggiti di mano diventano incendi. Chi ama la pace e ha a cuore i diritti fondamenta­li non lo vuole.

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