Riforma contestata
Due punti di vista sull’adeguamento della legislazione agli standard fiscali internazionali
L’oggetto della votazione della Riforma III è in primo luogo rivolto all’abolizione degli statuti fiscali speciali cantonali per le società holding, di domicilio e miste. Oggi queste società godono di importanti agevolazioni fiscali a livello cantonale: la società holding è esente da imposte, anche sui redditi che non sono riconducibili alle partecipazioni (royalties e interessi, esclusi i redditi da immobili in Svizzera); le società di domicilio e quelle miste, che esercitano un’attività amministrativa nel Cantone, senza esercitare un’attività commerciale in Svizzera, pagano invece delle imposte esigue rispetto alle società a tassazione ordinaria. Quanto all’imposta federale diretta non sono invece previste agevolazioni. Ne consegue che queste società pagano, indipendentemente dal Cantone in cui hanno sede, un’imposta sull’utile che oscilla complessivamente tra l’8 e il 12%, quando invece il carico fiscale di quelle ordinarie varia, a dipendenza del Cantone, dal 12 (Lucerna) al 24% (Ginevra). Nel corso degli ultimi decenni, i regimi fiscali speciali hanno permesso alla Svizzera di attirare sul proprio suolo molte aziende, che l’hanno scelta anche, e soprattutto, per ragioni fiscali. Con il passare del tempo queste società hanno creato posti di lavoro e un indotto economico importante, nonché pagato le imposte federali in misura piena (i Cantoni ne hanno pure beneficiato ricevendo da Berna il 17% del relativo gettito fiscale). Cantoni come Basilea Città, Ginevra, Vaud, Zugo e Ticino si sono contraddistinti dagli altri, perché sono stati capaci di accogliere un significativo numero di queste società. Il G20 ha però dato mandato all’Ocse di trovare un modo per combattere le erosioni e i trasferimenti degli utili da uno Stato verso un altro. Il Piano d’azione Beps (Base erosion and profit shifting) prevede espressamente l’eliminazione di quei regimi fiscali considerati “dannosi”. Tra questi non potevano mancare quelli “svizzeri” relativi alle società holding, di domicilio e miste, già contestati dall’Ue sin dal 2005 poiché ritenuti potenzialmente contrari all’accordo di libero scambio. Le continue pressioni giunte dall’esterno hanno obbligato il Consiglio federale e il parlamento a studiare un piano per abolire questi regimi. Che fare dunque? Come allentare le pressioni esterne e mantenere allo stesso tempo in Svizzera queste società? Quali strumenti fiscali proporre come contropartita all’abolizione degli statuti speciali fiscali cantonali? In primo luogo, la legge propone l’introduzione del patent box (riduzione dell’imposizione delle royalties sino ad un massimo del 90%) e della superdeduzione per le attività di ricerca e sviluppo, rispettivamente della deduzione dal conto economico degli interessi figurativi calcolati sul capitale proprio di garanzia (ovvero equiparare fiscalmente interessi sui capitali di terzi e sul capitale proprio, come succede per esempio in Belgio). Questi provvedimenti adottati dal legislatore federale sono volti a favorire l’innovazione e la capitalizzazione delle società sul territorio. Soprattutto l’innovazione, perché gli incentivi fiscali saranno concessi ad una condizione, vale a dire soltanto se la ricerca e lo sviluppo di prodotti innovativi vengano esercitati effettivamente in Svizzera! Questi strumenti però non saranno selettivi, ma al beneficio di tutte le società. La Confederazione, dal canto suo, aiuterà i Cantoni aumentando la quota parte a loro favore del gettito dell’imposta federale diretta, che passerà dal 17 al 21%. Considerando che le società a statuto speciale passeranno a un regime ordinario di tassazione, le maggiori entrate conferiranno ai Cantoni la possibilità di finanziare, almeno in parte, un abbassamento delle loro aliquote. In Ticino, le società ordinarie vedranno le imposte scendere dal 20 al 16%, mentre le società a statuto speciale subiranno un aumento dal 10 al 16% circa. Questa riduzione generale delle aliquote sarà necessaria per evitare una fuga di queste società verso altri lidi fiscali. Questo è il compromesso per salvare capra e cavoli. Questo è in sostanza l’oggetto della Riforma III.
La prima riforma dell’imposizione delle imprese entrò in vigore ben 20 anni fa, nel 1997, quando venne soppressa l’imposta sul capitale e introdotto un tasso d’imposta lineare sugli utili aziendali. Tra il 2008 e il 2011 è invece entrata in vigore la cosiddetta Riforma II dopo essere stata approvata in votazione popolare. I punti salienti di quella novità fiscale sono riassumibili nell’attenuazione della cosiddetta doppia imposizione economica in capo agli azionisti e l’attenuazione delle imposte sulla sostanza aziendale e nell’alleggerimento del carico fiscale per le società di persone. Ora si è alla terza versione, la Riforma III, contro la quale è stato lanciato il referendum da parte del Partito socialista svizzero. L’intenzione dell’allora consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, promotrice della proposta legislativa, era quella di eliminare i cosiddetti statuti fiscali speciali (concessi a livello cantonale, ndr) per le società holding e di sede in modo da uniformare la legislazione interna svizzera agli standard internazionali (Ocse e Unione europea). Il parlamento nell’approvare la legge, secondo i referendisti, è andato oltre questo obiettivo varando una vera e propria manovra di sgravi fiscali che potrebbe andare a discapito delle risorse fiscali dei singoli Cantoni. I favorevoli alla riforma (le principali organizzazioni economiche e i partiti centristi) rimarcano che le oltre 24mila imprese a statuto fiscale speciale danno lavoro a circa 150mila persone. Si tratta di società che generano – tra Confederazione, Cantoni e Comuni – ogni anno circa 5 miliardi di franchi d’imposte. La tassazione ordinaria di queste imprese potrebbe spingerle ad abbandonare la Svizzera. Da qui la necessità di creare altri strumenti giuridici ‘eurocompatibili’ (il patent box, per esempio) e la riduzione graduale del tasso di imposizione sugli utili aziendali per tutte le persone giuridiche (siano esse ordinarie o ‘speciali’). In Ticino il Dipartimento dell’economia e delle finanze propone un tasso d’imposta cantonale del 6,5% (ora al 9%) per convincere queste strutture a non ‘emigrare’.
La terza riforma della fiscalità delle imprese, posta in votazione popolare il 12 febbraio 2017, ridurrà la prosperità e il benessere della popolazione svizzera nel lungo periodo, danneggiando in fin dei conti l’insieme dell’economia nazionale. Contrariamente al progetto presentato nel 2013 dal Dipartimento federale delle finanze, che si preoccupava di fare in modo che la suddetta riforma tenesse conto del rapporto conflittuale tra l’attrattiva della piazza imprenditoriale svizzera, il consenso internazionale sulla riforma e il finanziamento dei compiti dello Stato, la legge federale posta in votazione è squilibrata a favore degli azionisti delle grandi imprese, al punto tale da precludere gravemente il finanziamento dei servizi pubblici, di cui usufruiscono in un modo o nell’altro sia le persone fisiche sia le persone giuridiche (tra cui le multinazionali). Se questo squilibrio fosse ribilanciato dai maggiori investimenti delle imprese che registreranno degli utili netti maggiori grazie alla riforma, non ci sarebbe granché da temere sul piano macroeconomico, perché lo sviluppo delle attività produttive sarebbe allora assicurato dall’investimento di questi utili, generando anche un indotto economico favorevole per l’occupazione, le finanze pubbliche e le politiche sociali. In realtà, tuttavia, le imprese che registreranno maggiori utili parcheggeranno gran parte di essi nei mercati finanziari, dai quali però non sgocciolerà nulla nella cosiddetta “economia reale”. Lo squilibrio sarà aggravato dalle conseguenze negative che la riforma avrà sugli enti pubblici le cui risorse fiscali saranno ampiamente decurtate dalla riduzione sul piano cantonale delle aliquote di imposta sull’utile per l’insieme delle imprese nel loro territorio. Al calo delle entrate fiscali farà dunque seguito la diminuzione della spesa pubblica, riducendo l’occupazione e la capacità di acquisto del ceto medio della popolazione. Un elemento generalmente ignorato o sottaciuto nel dibattito sulla riforma riguarda l’impatto sulla perequazione delle risorse che questa riforma avrà a livello intercantonale. Per i Cantoni in cui si trova un numero rilevante di imprese a statuto speciale, il loro potenziale delle risorse aumenterà notevolmente a seguito dell’aumento dell’aliquota di imposta sull’utile di queste imprese. Per i Cantoni dove invece queste imprese sono rare o inesistenti, il loro potenziale delle risorse diminuirà, vista la riduzione generalizzata dell’aliquota di imposta sull’utile dell’insieme delle imprese. Ciò farà aumentare le disparità tra i 26 Cantoni per quanto riguarda la capacità finanziaria di ciascuno di essi, facendo di conseguenza crescere le tensioni sul piano intercantonale nel contesto di un federalismo improntato alla concorrenza fiscale sfrenata al ribasso. Questa dinamica rafforzerà la tendenza a trasferire degli oneri dai Cantoni ai Comuni nel vano tentativo per i primi di fare sopportare ai secondi il peso delle manovre finanziarie necessarie per ribilanciare la finanza pubblica in disavanzo strutturale a seguito delle politiche neoliberiste volte a “meno Stato e più mercato”. Per la maggioranza dei Comuni, tra cui anche numerose città, sarà allora necessario aumentare il moltiplicatore di imposta, cominciando da quello per le persone fisiche nei Cantoni dove, come nel Ticino, sarà possibile diversificare questo moltiplicatore da quello per le persone giuridiche allo scopo di evitare la partenza delle imprese più profittevoli quando le autorità comunali dovranno ridurre le prestazioni offerte a diverse fasce dei loro contribuenti, in mancanza di risorse provenienti dal livello di governo superiore. In un Cantone come il Ticino ciò potrà tradursi in maggiori tensioni tra i centri urbani e i comuni periferici, facendo aumentare il numero delle fusioni coatte per ridurre il numero di Comuni in difficoltà finanziarie ma senza poter risolvere il problema, ossia lo squilibrio che caratterizza la terza riforma della fiscalità delle imprese.