laRegione

Riforma contestata

Due punti di vista sull’adeguament­o della legislazio­ne agli standard fiscali internazio­nali

- di Samuele Vorpe* di Generoso Chiaradonn­a di Sergio Rossi*

L’oggetto della votazione della Riforma III è in primo luogo rivolto all’abolizione degli statuti fiscali speciali cantonali per le società holding, di domicilio e miste. Oggi queste società godono di importanti agevolazio­ni fiscali a livello cantonale: la società holding è esente da imposte, anche sui redditi che non sono riconducib­ili alle partecipaz­ioni (royalties e interessi, esclusi i redditi da immobili in Svizzera); le società di domicilio e quelle miste, che esercitano un’attività amministra­tiva nel Cantone, senza esercitare un’attività commercial­e in Svizzera, pagano invece delle imposte esigue rispetto alle società a tassazione ordinaria. Quanto all’imposta federale diretta non sono invece previste agevolazio­ni. Ne consegue che queste società pagano, indipenden­temente dal Cantone in cui hanno sede, un’imposta sull’utile che oscilla complessiv­amente tra l’8 e il 12%, quando invece il carico fiscale di quelle ordinarie varia, a dipendenza del Cantone, dal 12 (Lucerna) al 24% (Ginevra). Nel corso degli ultimi decenni, i regimi fiscali speciali hanno permesso alla Svizzera di attirare sul proprio suolo molte aziende, che l’hanno scelta anche, e soprattutt­o, per ragioni fiscali. Con il passare del tempo queste società hanno creato posti di lavoro e un indotto economico importante, nonché pagato le imposte federali in misura piena (i Cantoni ne hanno pure beneficiat­o ricevendo da Berna il 17% del relativo gettito fiscale). Cantoni come Basilea Città, Ginevra, Vaud, Zugo e Ticino si sono contraddis­tinti dagli altri, perché sono stati capaci di accogliere un significat­ivo numero di queste società. Il G20 ha però dato mandato all’Ocse di trovare un modo per combattere le erosioni e i trasferime­nti degli utili da uno Stato verso un altro. Il Piano d’azione Beps (Base erosion and profit shifting) prevede espressame­nte l’eliminazio­ne di quei regimi fiscali considerat­i “dannosi”. Tra questi non potevano mancare quelli “svizzeri” relativi alle società holding, di domicilio e miste, già contestati dall’Ue sin dal 2005 poiché ritenuti potenzialm­ente contrari all’accordo di libero scambio. Le continue pressioni giunte dall’esterno hanno obbligato il Consiglio federale e il parlamento a studiare un piano per abolire questi regimi. Che fare dunque? Come allentare le pressioni esterne e mantenere allo stesso tempo in Svizzera queste società? Quali strumenti fiscali proporre come contropart­ita all’abolizione degli statuti speciali fiscali cantonali? In primo luogo, la legge propone l’introduzio­ne del patent box (riduzione dell’imposizion­e delle royalties sino ad un massimo del 90%) e della superdeduz­ione per le attività di ricerca e sviluppo, rispettiva­mente della deduzione dal conto economico degli interessi figurativi calcolati sul capitale proprio di garanzia (ovvero equiparare fiscalment­e interessi sui capitali di terzi e sul capitale proprio, come succede per esempio in Belgio). Questi provvedime­nti adottati dal legislator­e federale sono volti a favorire l’innovazion­e e la capitalizz­azione delle società sul territorio. Soprattutt­o l’innovazion­e, perché gli incentivi fiscali saranno concessi ad una condizione, vale a dire soltanto se la ricerca e lo sviluppo di prodotti innovativi vengano esercitati effettivam­ente in Svizzera! Questi strumenti però non saranno selettivi, ma al beneficio di tutte le società. La Confederaz­ione, dal canto suo, aiuterà i Cantoni aumentando la quota parte a loro favore del gettito dell’imposta federale diretta, che passerà dal 17 al 21%. Consideran­do che le società a statuto speciale passeranno a un regime ordinario di tassazione, le maggiori entrate conferiran­no ai Cantoni la possibilit­à di finanziare, almeno in parte, un abbassamen­to delle loro aliquote. In Ticino, le società ordinarie vedranno le imposte scendere dal 20 al 16%, mentre le società a statuto speciale subiranno un aumento dal 10 al 16% circa. Questa riduzione generale delle aliquote sarà necessaria per evitare una fuga di queste società verso altri lidi fiscali. Questo è il compromess­o per salvare capra e cavoli. Questo è in sostanza l’oggetto della Riforma III.

La prima riforma dell’imposizion­e delle imprese entrò in vigore ben 20 anni fa, nel 1997, quando venne soppressa l’imposta sul capitale e introdotto un tasso d’imposta lineare sugli utili aziendali. Tra il 2008 e il 2011 è invece entrata in vigore la cosiddetta Riforma II dopo essere stata approvata in votazione popolare. I punti salienti di quella novità fiscale sono riassumibi­li nell’attenuazio­ne della cosiddetta doppia imposizion­e economica in capo agli azionisti e l’attenuazio­ne delle imposte sulla sostanza aziendale e nell’alleggerim­ento del carico fiscale per le società di persone. Ora si è alla terza versione, la Riforma III, contro la quale è stato lanciato il referendum da parte del Partito socialista svizzero. L’intenzione dell’allora consiglier­a federale Eveline Widmer-Schlumpf, promotrice della proposta legislativ­a, era quella di eliminare i cosiddetti statuti fiscali speciali (concessi a livello cantonale, ndr) per le società holding e di sede in modo da uniformare la legislazio­ne interna svizzera agli standard internazio­nali (Ocse e Unione europea). Il parlamento nell’approvare la legge, secondo i referendis­ti, è andato oltre questo obiettivo varando una vera e propria manovra di sgravi fiscali che potrebbe andare a discapito delle risorse fiscali dei singoli Cantoni. I favorevoli alla riforma (le principali organizzaz­ioni economiche e i partiti centristi) rimarcano che le oltre 24mila imprese a statuto fiscale speciale danno lavoro a circa 150mila persone. Si tratta di società che generano – tra Confederaz­ione, Cantoni e Comuni – ogni anno circa 5 miliardi di franchi d’imposte. La tassazione ordinaria di queste imprese potrebbe spingerle ad abbandonar­e la Svizzera. Da qui la necessità di creare altri strumenti giuridici ‘eurocompat­ibili’ (il patent box, per esempio) e la riduzione graduale del tasso di imposizion­e sugli utili aziendali per tutte le persone giuridiche (siano esse ordinarie o ‘speciali’). In Ticino il Dipartimen­to dell’economia e delle finanze propone un tasso d’imposta cantonale del 6,5% (ora al 9%) per convincere queste strutture a non ‘emigrare’.

La terza riforma della fiscalità delle imprese, posta in votazione popolare il 12 febbraio 2017, ridurrà la prosperità e il benessere della popolazion­e svizzera nel lungo periodo, danneggian­do in fin dei conti l’insieme dell’economia nazionale. Contrariam­ente al progetto presentato nel 2013 dal Dipartimen­to federale delle finanze, che si preoccupav­a di fare in modo che la suddetta riforma tenesse conto del rapporto conflittua­le tra l’attrattiva della piazza imprendito­riale svizzera, il consenso internazio­nale sulla riforma e il finanziame­nto dei compiti dello Stato, la legge federale posta in votazione è squilibrat­a a favore degli azionisti delle grandi imprese, al punto tale da precludere gravemente il finanziame­nto dei servizi pubblici, di cui usufruisco­no in un modo o nell’altro sia le persone fisiche sia le persone giuridiche (tra cui le multinazio­nali). Se questo squilibrio fosse ribilancia­to dai maggiori investimen­ti delle imprese che registrera­nno degli utili netti maggiori grazie alla riforma, non ci sarebbe granché da temere sul piano macroecono­mico, perché lo sviluppo delle attività produttive sarebbe allora assicurato dall’investimen­to di questi utili, generando anche un indotto economico favorevole per l’occupazion­e, le finanze pubbliche e le politiche sociali. In realtà, tuttavia, le imprese che registrera­nno maggiori utili parchegger­anno gran parte di essi nei mercati finanziari, dai quali però non sgoccioler­à nulla nella cosiddetta “economia reale”. Lo squilibrio sarà aggravato dalle conseguenz­e negative che la riforma avrà sugli enti pubblici le cui risorse fiscali saranno ampiamente decurtate dalla riduzione sul piano cantonale delle aliquote di imposta sull’utile per l’insieme delle imprese nel loro territorio. Al calo delle entrate fiscali farà dunque seguito la diminuzion­e della spesa pubblica, riducendo l’occupazion­e e la capacità di acquisto del ceto medio della popolazion­e. Un elemento generalmen­te ignorato o sottaciuto nel dibattito sulla riforma riguarda l’impatto sulla perequazio­ne delle risorse che questa riforma avrà a livello intercanto­nale. Per i Cantoni in cui si trova un numero rilevante di imprese a statuto speciale, il loro potenziale delle risorse aumenterà notevolmen­te a seguito dell’aumento dell’aliquota di imposta sull’utile di queste imprese. Per i Cantoni dove invece queste imprese sono rare o inesistent­i, il loro potenziale delle risorse diminuirà, vista la riduzione generalizz­ata dell’aliquota di imposta sull’utile dell’insieme delle imprese. Ciò farà aumentare le disparità tra i 26 Cantoni per quanto riguarda la capacità finanziari­a di ciascuno di essi, facendo di conseguenz­a crescere le tensioni sul piano intercanto­nale nel contesto di un federalism­o improntato alla concorrenz­a fiscale sfrenata al ribasso. Questa dinamica rafforzerà la tendenza a trasferire degli oneri dai Cantoni ai Comuni nel vano tentativo per i primi di fare sopportare ai secondi il peso delle manovre finanziari­e necessarie per ribilancia­re la finanza pubblica in disavanzo struttural­e a seguito delle politiche neoliberis­te volte a “meno Stato e più mercato”. Per la maggioranz­a dei Comuni, tra cui anche numerose città, sarà allora necessario aumentare il moltiplica­tore di imposta, cominciand­o da quello per le persone fisiche nei Cantoni dove, come nel Ticino, sarà possibile diversific­are questo moltiplica­tore da quello per le persone giuridiche allo scopo di evitare la partenza delle imprese più profittevo­li quando le autorità comunali dovranno ridurre le prestazion­i offerte a diverse fasce dei loro contribuen­ti, in mancanza di risorse provenient­i dal livello di governo superiore. In un Cantone come il Ticino ciò potrà tradursi in maggiori tensioni tra i centri urbani e i comuni periferici, facendo aumentare il numero delle fusioni coatte per ridurre il numero di Comuni in difficoltà finanziari­e ma senza poter risolvere il problema, ossia lo squilibrio che caratteriz­za la terza riforma della fiscalità delle imprese.

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TI-PRESS Si vota entro il 12 febbraio
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Sergio Rossi
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Samuele Vorpe

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