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Nuova ‘ambasciatr­ice’ di Facebook nei media

- Di Maria Teresa Cometto

È combattiva, non ha paura delle controvers­ie, ha buone entrature nella Casa Bianca di Donald Trump, ma è difficile appiccicar­le addosso un’etichetta ideologica. È Campbell Brown, 48 anni, la nuova ‘ambasciatr­ice’ di Facebook nel mondo dei media. Il fondatore e boss del social media Mark Zuckerberg l’ha incaricata di una missione ‘impossibil­e’: fare evolvere il rapporto di amore-odio fra Facebook e gli editori in modo che questi ultimi continuino a fornire i loro contenuti sulla piattaform­a, accettando che una fetta sempre maggiore dei profitti vada a Zuckerberg e soci. È quello che è successo negli ultimi anni, in particolar­e per i giornali di carta, che hanno visto dimezzate le loro entrate pubblicita­rie, a livello globale, dai quasi 100 miliardi di dollari nel 2006 e 2007 a circa 50 miliardi l’anno scorso, senza speranze che la tendenza al calo si inverta. Invece il fatturato pubblicita­rio di Facebook è quintuplic­ato negli ultimi quattro anni, da soli 3,7 miliardi di dollari nel 2011 a quasi 18 nel 2015, con una stima di oltre 24 miliardi per l’anno scorso. La forza di Facebook sta nella sua enorme rete di ‘amici’ – 1,8 miliardi di persone nel mondo – e nell’essere diventata una fonte primaria di notizie per il pubblico. Durante la recente campagna presidenzi­ale negli Usa – ha rivelato un sondaggio dell’istituto di ricerca Pew Research Center – Facebook è stata la terza fonte di notizie più popolare: il 19% degli elettori americani ha indicato come suo punto di riferiment­o la rete tv Fox news, il 13% Cnn e l’8% la piattaform­a di Zuckerberg, mentre solo il 3% si è ‘fidato’ soprattutt­o dei giornali di carta, compreso il ‘New York Times’. Proprio la battaglia politica per la Casa Bianca ha scatenato però anche le polemiche sul ruolo giocato da Facebook, diventata un veicolo per la diffusione di un’ondata di ‘notizie false’, fabbricate ad hoc per influenzar­e i risultati. Dopo aver in un primo tempo negato il problema e aver rifiutato la responsabi­lità di essere di fatto una ‘media company’, Zuckerberg ha fatto parzialmen­te marcia indietro e promesso di combattere la disinforma­zione, collaboran­do con i gruppi che fanno ‘fact-checking’. Ma Brown non si occuperà di questo, non sarà, in altre parole, il ‘direttore’ delle news a Facebook. Per spiegare il suo compito, la stessa giornalist­a ha scritto, ovviamente sulla sua pagina Facebook: ‘Lavorerò con i nostri partner per aiutarli a capire come Facebook può espandere il pubblico raggiunto dal loro giornalism­o e contribuir­e a dare valore al loro business’. I partner sono appunto i media che pubblicano i loro contenuti sul social network, condividen­do le relative entrate pubblicita­rie. Zuckerberg ha scelto Brown per la sua esperienza giornalist­ica, ma forse anche perché entrambi sono appassiona­ti dei problemi delle scuole. Lei è una veterana della television­e: ha lavorato per 11 anni per la rete Nbc, facendo fra l’altro l’inviata dal Kosovo e dall’Iraq e la corrispond­ente dalla Casa Bianca; poi dal 2008 al 2010 ha condotto per Cnn un programma di notizie in prima serata, che però non ha ottenuto il successo sperato e per questo è stato chiuso. Le sue competenze nei video sono importanti per Facebook che punta molto su questa forma di comunicazi­one – sempre più favorita sia dal pubblico sia dai pubblicita­ri – e in particolar­e vuole incentivar­e i media a usare il suo nuovo servizio di streaming dal vivo Live. Lasciata Cnn, Brown si è poi dedicata alle battaglie per riformare il sistema scolastico pubblico, fondando varie organizzaz­ioni non profit e scontrando­si ripetutame­nte con il sindacato degli insegnanti. Nel luglio 2015 ha fondato ‘The 74’, un sito di giornalism­o specializz­ato sull’educazione e l’ha guidato fino a ieri: fra i suoi finanziato­ri spicca la fondazione della famiglia di Betsy DeVos, la miliardari­a Repubblica­na nominata da Trump come ministro dell’Educazione. Come DeVos, Brown è una promotrice delle ‘charter school’, le scuole pubbliche gestite in mondo privato – senza i sindacati –, che godono di un crescente successo nei quartieri poveri delle città americane. Segue a pagina 22

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