Il ‘candore’ del porno
Momenti di lettura / L’ultimo romanzo di Mario Desiati
Il porno come categoria estetica che permetta un’analisi e una riflessione sulla contemporaneità. Tutto questo in un romanzo senza sesso esplicito, seguendo la parabola decadente di un uomo qualunque.
L’ultimo libro di Mario Desiati non è né un saggio sul porno (l’argomento è del resto già stato ampiamente studiato, anche in tempi recenti), né, tantomeno, un romanzo porno (le scene di sesso sono del tutto assenti). È, invece, un’opera che utilizza il porno come categoria estetica che permetta un’analisi e una riflessione sulla contemporaneità, una possibilità alla quale ha guardato negli ultimi anni un numero nutrito di narratori (bastino gli esempi di Luciano Funetta, Aldo Nove e Giuseppe Culicchia). E ciò, come ha ben evidenziato Gianluigi Simonetti, a conferma di un vero e proprio rovesciamento di paradigma, per cui il romanzo erotico sarebbe ormai destinato alla narrativa di consumo, mentre quello dalle descrizioni sessuali più esplicite ed iperrealistiche saldamente iscritto entro i confini dell’ambizione alla letterarietà. Non sarà inoltre casuale, in tempi di intenso dibattito sul rapporto tra fiction e non fiction che caratterizza il romanzo dell’ipermodernità, che si guardi con tanto interesse al porno, non foss’altro che per la constatazione, piuttosto ovvia, per cui gli attori compiono davvero l’atto nel quale sono coinvolti.
Emarginazione e bruttezza
nel nostro tempo
Il romanzo di Desiati descrive ampi tratti del percorso di Martino Bux (nome dal significato allusivamente autobiografico, come ha intuito Walter Siti), che parte dalla Puglia subito dopo la visita di leva per recarsi a Roma, nelle intenzioni per studiare Lettere, in realtà trascinandosi tra lavoretti precari quasi sempre legati agli strip club e al sottobosco della trasgressione capitolina. La sua è una vera e propria ossessione, che lo porta a sovrapporre chiunque incontri alle attrici e agli attori dei film hard che visiona compulsivamente, in un’allucinazione che lo vede sempre estraneo, inetto che guarda senza mai partecipare e ineluttabilmente abbandonato dalle donne su cui fantastica (loro sì capaci di prendere in mano il proprio destino). La parabola di decadenza del protagonista è in fondo simile a quella del porno stesso, dal momento che Martino è un romantico che vive di dettagli, più interessato alle attese che non all’atto: l’eccitazione sta nei reggicalze e nei corsetti, nelle interviste del casting, non nell’animalità del rapporto su cui si concentra
quasi esclusivamente l’hard contemporaneo. Mi pare, pertanto, che ‘Candore’ sia anzitutto un romanzo sull’(auto)emarginazione e sulla bruttezza dei nostri tempi, ai quali Martino ostinatamente non si piega, forzando e vivendo da decadente la sua alterità rispetto ad una realtà che il porno permette di anestetizzare. E qui icasticamente fissata in una Roma stremata e imbarbarita, benché capace di squarci di poesia, còlta attraverso un doppio asse: quello dell’orizzontalità, centripeta e centrifuga, degli spostamenti del protagonista dal centro della città alla periferia del suo appartamento (di cui affitta ad estranei una stanza per incontri sessuali, che Martino immagina attraverso il muro); e quello della verticalità che conduce ai sotterranei dei locali a luci rosse.
Mario Desiati, ‘Candore’, Einaudi, 2016.