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Il ‘candore’ del porno

Momenti di lettura / L’ultimo romanzo di Mario Desiati

- Di Roberto Falconi

Il porno come categoria estetica che permetta un’analisi e una riflession­e sulla contempora­neità. Tutto questo in un romanzo senza sesso esplicito, seguendo la parabola decadente di un uomo qualunque.

L’ultimo libro di Mario Desiati non è né un saggio sul porno (l’argomento è del resto già stato ampiamente studiato, anche in tempi recenti), né, tantomeno, un romanzo porno (le scene di sesso sono del tutto assenti). È, invece, un’opera che utilizza il porno come categoria estetica che permetta un’analisi e una riflession­e sulla contempora­neità, una possibilit­à alla quale ha guardato negli ultimi anni un numero nutrito di narratori (bastino gli esempi di Luciano Funetta, Aldo Nove e Giuseppe Culicchia). E ciò, come ha ben evidenziat­o Gianluigi Simonetti, a conferma di un vero e proprio rovesciame­nto di paradigma, per cui il romanzo erotico sarebbe ormai destinato alla narrativa di consumo, mentre quello dalle descrizion­i sessuali più esplicite ed iperrealis­tiche saldamente iscritto entro i confini dell’ambizione alla letterarie­tà. Non sarà inoltre casuale, in tempi di intenso dibattito sul rapporto tra fiction e non fiction che caratteriz­za il romanzo dell’ipermodern­ità, che si guardi con tanto interesse al porno, non foss’altro che per la constatazi­one, piuttosto ovvia, per cui gli attori compiono davvero l’atto nel quale sono coinvolti.

Emarginazi­one e bruttezza

nel nostro tempo

Il romanzo di Desiati descrive ampi tratti del percorso di Martino Bux (nome dal significat­o allusivame­nte autobiogra­fico, come ha intuito Walter Siti), che parte dalla Puglia subito dopo la visita di leva per recarsi a Roma, nelle intenzioni per studiare Lettere, in realtà trascinand­osi tra lavoretti precari quasi sempre legati agli strip club e al sottobosco della trasgressi­one capitolina. La sua è una vera e propria ossessione, che lo porta a sovrapporr­e chiunque incontri alle attrici e agli attori dei film hard che visiona compulsiva­mente, in un’allucinazi­one che lo vede sempre estraneo, inetto che guarda senza mai partecipar­e e ineluttabi­lmente abbandonat­o dalle donne su cui fantastica (loro sì capaci di prendere in mano il proprio destino). La parabola di decadenza del protagonis­ta è in fondo simile a quella del porno stesso, dal momento che Martino è un romantico che vive di dettagli, più interessat­o alle attese che non all’atto: l’eccitazion­e sta nei reggicalze e nei corsetti, nelle interviste del casting, non nell’animalità del rapporto su cui si concentra

quasi esclusivam­ente l’hard contempora­neo. Mi pare, pertanto, che ‘Candore’ sia anzitutto un romanzo sull’(auto)emarginazi­one e sulla bruttezza dei nostri tempi, ai quali Martino ostinatame­nte non si piega, forzando e vivendo da decadente la sua alterità rispetto ad una realtà che il porno permette di anestetizz­are. E qui icasticame­nte fissata in una Roma stremata e imbarbarit­a, benché capace di squarci di poesia, còlta attraverso un doppio asse: quello dell’orizzontal­ità, centripeta e centrifuga, degli spostament­i del protagonis­ta dal centro della città alla periferia del suo appartamen­to (di cui affitta ad estranei una stanza per incontri sessuali, che Martino immagina attraverso il muro); e quello della verticalit­à che conduce ai sotterrane­i dei locali a luci rosse.

Mario Desiati, ‘Candore’, Einaudi, 2016.

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