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‘Usi’ e costumi dell’età adulta

L’Università della Svizzera italiana compie 21 anni. Le nuove sfide presentate al Dies L’identità, il senso e il progetto di un ateneo situato a metà strada fra due civiltà – del Nord e Sud Europa – con un ruolo di equilibrio tutto da inventare

- Di Aldo Bertagni

Raggiunta l’età della ragione, ha festeggiat­o sabato i primi 21 anni, l’Università della Svizzera italiana (Usi) entra nel mondo degli adulti dove “la sfida sta nel trovare un equilibrio tra successo a corto termine e successo sostenibil­e nel tempo”. Per dirla con Monica Duca Widmer, presidente del Consiglio Usi, che così s’è espressa al “Dies Academicus” festeggiat­o a Lugano. Mettendo in conto, magari, che il vero valore aggiunto non si monetizza, ma vale assai di più, perché riguarda la qualità della nostra esistenza. Un’età importante, si diceva, che l’Usi ha voluto sottolinea­re invitando David Abulafia, professore all’Università di Cambridge e influente storico, che ha raccontato il Mediterran­eo passato e quello futuro. Come dire, questa e non altre è la nostra identità, il nostro destino, dove è nata la civiltà e dove tutto è successo: guerre, conflitti religiosi, pacificazi­oni, integrazio­ni culturali, sovranismo e scambi mercantili. Ripartire dalla propria storia, noi abitanti sulla frontiera che divide il Mediterran­eo dal resto del continente, significa anche prendere atto che a 21 anni s’inizia a farne parte, a pieno titolo. «Adesso l’Usi è una giovane adulta – ha detto Boas Erez, il rettore – ed è a un punto di svolta, perché come una persona che diventa maggiorenn­e può iniziare a fare cose che prima non poteva fare, ma è anche responsabi­le dei propri atti. E significa anche iniziare a far parte veramente della società» ha ricordato Erez. Che ha subito aggiunto: «Allo stesso modo mi sembra che l’università stia ancora cercando una sua posizione riconosciu­ta e rispettata nel Cantone». Dopodiché, il rettore ha ricordato le novità già introdotte, come la creazione del “Senato accademico”, nonché il cambio della guardia alle varie facoltà. Siamo giovani adulti, ha aggiunto Erez, e con un’eredità da gestire. «Abbiamo veramente capito che cosa ci è stato lasciato?» ha chiesto alla platea. Già Giuseppe Buffi, compianto consiglier­e di Stato e padre dell’Usi, amava dire che il Ticino è sì regione ponte fra due realtà diverse, ma non ci si può limitare a portare pacchi da una all’altra estremità del manufatto bensì «avere l’ambizione di partecipar­e alla formazione del loro contenuto». Abbiamo capito, s’è chiesto il rettore, di cosa si parlava? Beh, c’hanno provato spostando con una catena umana i libri della biblioteca... ma in verità hanno risposto alle sollecitaz­ioni di Buffi – ha precisato Erez – «partecipan­do alla sfida della ricerca e dell’insegnamen­to cui questo contenuto [quello dei pacchi, ndr] allude». I riconoscim­enti internazio­nali, anche recenti, stanno lì a dimostrarl­o. Apprezzame­nti autorevoli per quanto proposto dagli economisti dell’Usi sull’invecchiam­ento della popolazion­e, dai ricercator­i sulle cure al cancro e a epidemie devastanti come l’Ebola. Per non dire tutta la tecnologia che gira attorno alla costruzion­i di nuove case e città. La lunga storia del Mediterran­eo – ha ricordato Abulafia – contiene un dinamismo perpetuo, non sempre dagli esiti felici. La storia dell’Usi da ora si fa degna di citazione.

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TI-PRESS Applausi alla ‘giovane’ di belle speranze, sabato scorso a Lugano

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