Avversari in casa
La nuova legge sull’energia divide il Plr: due consiglieri nazionali liberali-radicali a confronto
Peter Schilliger, i contrari alla Strategia energetica dicono che questa costerà 3’200 franchi all’anno a una famiglia di quattro persone. Cosa ne pensa?
Questa cifra si basa solo su ipotesi. I costi diretti del ‘pacchetto’ su cui votiamo il 21 maggio ammontano a 40 franchi all’anno per una famiglia di quattro persone. E in futuro potrebbe esserci anche un certo rincaro dovuto ad esempio agli investimenti necessari per assicurare l’approvvigionamento, perché la produzione di elettricità sarà più ‘volatile’. Ma ciò avverrà comunque, anche se dovesse prevalere il ‘no’.
Ci vorrà una seconda tappa della Strategia per raggiungere i ‘valori indicativi’ prefissati ad esempio in materia di riduzione dei consumi. E questo costerà pur qualcosa.
Dobbiamo compensare quel che verrà a mancare a seguito della disattivazione delle centrali nucleari. Lo vogliamo fare in particolare migliorando l’efficienza. L’‘obiettivo’ di ridurre entro il 2035 del 43% il consumo pro capite d’energia è raggiungibile: dal 2000 a oggi questo è già calato del 15% nonostante la crescita demografica. Il potenziale per migliorare l’efficienza, ad esempio per quel che riguarda gli edifici, è importante. Le innovazioni tecniche hanno portato nell’ultimo ventennio a maggior efficienza e minori consumi: non vedo perché adesso questa tendenza debba invertirsi. In secondo luogo, nell’ambito della legge sul CO2 dovremo ridurre del 25-30% le emissioni legate alle fonti fossili: è necessario per allinearsi agli standard stabiliti dall’Accordo sul clima di Parigi, e in seno al Plr una grande maggioranza è a favore. Questo significa allo stesso tempo una riduzione del consumo complessivo di energia.
Il Plr, partito portabandiera del liberalismo economico, sostiene un aumento delle sovvenzioni a favore delle rinnovabili; e – affermano i contrari alla Strategia energetica – un’intromissione dello Stato nella sfera privata dei consumatori. Non venite meno ai principi che professate?
La nuova legge sull’energia è un compromesso. Nemmeno a me piace tutto quel che contiene. Il Plr la sostiene solo perché prevede un aumento delle sovvenzioni limitato nel tempo. Inoltre, abbiamo ampliato gli incentivi fiscali per i proprietari di case che fanno un risanamento energetico. Nel nostro partito la maggioranza vede la questione da un punto di vista pragmatico. Chi invece si oppone alla prima tappa della Strategia energetica, dimentica a mio avviso che se il 21 prevarrà il ‘no’, resteremo con la legge attuale: una legge che si basa su standard e su una concezione superati. Infine: non ci sarà alcuna limitazione nei comportamenti individuali dei cittadini. O mi si indichi dove la legge li prescrive.
Nessuna doccia fredda, quindi?
Una sciocchezza assoluta! Quello che la legge prevede sono prescrizioni per migliorare l’efficienza degli edifici, degli apparecchi e dei veicoli a motore nuovi. Prendiamo quest’ultimo caso: davvero vogliamo veicoli più inquinanti di quelli autorizzati dall’Ue? In questa proposta non trovo da nessuna parte restrizioni nei comportamenti individuali. Inoltre non si parla di ‘obiettivi’ veri e propri, bensì di ‘valori indicativi’ che dovranno essere oggetto di valutazioni periodiche per prevedere a che punto saremo.
Senza centrali nucleari e nonostante lo sviluppo delle rinnovabili, la Svizzera rischia in futuro di non riuscire a produrre abbastanza corrente in inverno.
Sono consapevole del rischio che in inverno potremo essere ancor più dipendenti dall’estero. Ma è un rischio che corriamo già oggi, con la legge attuale! La prima tappa della Strategia energetica si limita a regolare i tempi dell’uscita dal sistema di promozione delle rinnovabili, propone un sostegno limitato nel tempo al settore idroelettrico e promuove l’efficienza. La sicurezza dell’approvvigionamento energetico in inverno, ossia la capacità di costruire riserve, è una questione che andrà in ogni caso affrontata in separata sede, indipendentemente dal voto del 21 maggio. E in Parlamento ci stiamo lavorando. Costi per famiglie e aziende, garanzia dell’approvvigionamento, grado di dipendenza dall’estero, ‘obiettivi’ di riduzione dei consumi, impatto ambientale: ad eccezione dell’uscita graduale e senza date prestabilite dal nucleare, praticamente incontestata, quasi tutto divide nella prima tappa della Strategia energetica 2050 (Se 2050), sulla quale si vota domenica (vedi anche ‘laRegione’ del 10 aprile). A combatterla – con cifre e tesi sbandierate ad arte – c’è un’Udc isolata, che dopo aver lanciato il referendum si ritrova con pochi, inediti alleati a tentare di affossare la nuova legge sull’energia; sul fronte opposto Consiglio federale, una maggioranza del Parlamento e i restanti partiti. La costellazione non è inedita. Inusuali, invece, sono le linee di frattura che stavolta percorrono al loro interno il Plr, le organizzazioni economiche e persino il mondo ambientalista. Il Plr svizzero sostiene la Se 2050. I delegati all’assemblea a inizio marzo si sono espressi di misura a favore (175 voti a 163 e 5 astenuti). La divisione era nota: la presidente Petra Gössi aveva dichiarato sin da subito la sua opposizione al progetto; e un mese prima la conferenza dei presidenti cantonali del Plr aveva raccomandato ai delegati di votare ‘sì’, ma la decisione era stata presa con 14 voti contro 13. Un buon numero di sezioni cantonali nel frattempo ha raccomandato il ‘no’; idem i Giovani liberali-radicali svizzeri. E così oggi ritroviamo esponenti del Plr sia nel comitato a favore che in quello dei contrari. I sondaggi – che danno il ‘sì’ sempre in vantaggio, ma il ‘no’ in recupero – indicano che anche l’elettorato liberale-radicale vacilla. Nemmeno l’economia è riuscita a mettersi d’accordo. Sintomatica è la decisione di Economiesuisse di non formulare alcuna raccomandazione di voto: troppo profonde le divergenze d’opi- nione tra le organizzazioni affiliate. Stessa cosa ha fatto l’Associazione delle aziende elettriche svizzere (Aes). L’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam) si è espressa a favore; non così però una delle sue sezioni più influenti, quella zurighese. L’organizzazione mantello del settore dell’industria delle macchine, Swissmem, traina un comitato dell’economia contro la legge sull’energia; tuttavia, alcuni suoi pezzi da novanta (Abb, Stahl Gerlafingen, Siemens Schweiz ecc.) sostengono il progetto. Nessuna unanimità neanche all’interno del settore della chimica e della farmaceutica: l’associazione mantello Scienceindustries si batte contro; ma Interpharma (rappresenta aziende farmaceutiche attive nella ricerca) non si esprime e si tiene fuori dalla campagna. Favorevoli, infine, le organizzazioni che vedono opportunità nella svolta energetica: Swisscleantech, Swissolar, Suisse-Eole e Associazione svizzera di economia delle acque (il suo presidente Albert Rösti però, da presidente dell’Udc, la combatte con veemenza...). La Se 2050 conferisce allo sviluppo delle rinnovabili un ‘interesse nazionale’, al pari della protezione del paesaggio. Le principali organizzazioni ambientaliste non vi intravedono una ragione sufficiente per opporvisi. Non così singoli esponenti attivi o già attivi nell’ambito della protezione del paesaggio. L’omonima Fondazione ad esempio è a favore del progetto (idem Heimatschutz), contro il parere del suo presidente (il consigliere nazionale del Plr Kurt Fluri) e dell’ex direttore Hans Weiss. Tra i principali oppositori alla Strategia 2050 vi è Philipp Roch, fino al 2005 direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente. Roch è uno degli animatori di un comitato ambientale che denuncia l’impatto nefasto sul paesaggio che potrebbero avere le centinaia di impianti eolici che a sua detta dovranno essere costruiti.
Benoît Genecand: docce senza acqua calda, auto in garage un giorno su due ecc. La presidente della Confederazione Doris Leuthard accusa i contrari alla Strategia energetica di terrorizzare l’opinione pubblica.
Il Consiglio federale ha fallito nel suo compito principale: garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Nessuno nel Plr contesta la decisione di uscire dal nucleare. Credo che al momento nemmeno nell’Udc vi siano dei partigiani del nucleare. La questione non è questa. La questione è: una volta presa questa decisione, come pensa il governo di compensare questo 39% di elettricità – con punte del 70% in inverno – prodotto in media negli ultimi dieci anni grazie al nucleare che verrà a mancare [a seguito della disattivazione progressiva delle centrali nucleari elvetiche]? Il grosso problema sta nella risposta che dà il governo, una risposta estremamente fragile, costosa, parziale, inefficace.
Si spieghi.
Il governo dice grossomodo: facciamo del fotovoltaico. Sa che nei confronti dell’eolico le resistenze sono troppo forti: anche Doris Leuthard sta facendo marcia indietro, affermando che gli impianti eolici verranno costruiti solo laddove le persone lo vorranno. La geotermia? Benissimo, ma finora non abbiamo prodotto un solo kilowattora. Non ci resta quindi che il fotovoltaico.
E cosa c’è di male?
Produrremo un’energia inutile, voluta da una lobby di sinistra estremamente efficace qui a Palazzo federale, proprio in un momento in cui la Germania inonda il mercato europeo con questo tipo di energia. Così contribuiremo a rovinare ulteriormente il nostro settore idroelettrico. E siccome il governo fallisce nella responsabilità di garantire l’approvvigionamento, allora si assume una seconda responsabilità: quella di dire alla popolazione come deve consumare. Da qui il famoso ‘obiettivo’ di ridurre entro il 2035 del 43% il consumo pro capite d’energia, una percentuale stabilita a tavolino da qualche burocrate a Berna affinché il modello regga senza che vi sia bisogno di importare enormi quantità di elettricità dall’estero. Come liberale, trovo inaccettabile che lo Stato in sostanza dica alla popolazione: ora non organizzo più l’approvvigionamento, ma il razionamento.
Le centrali nucleari svizzere giungeranno alla fine del loro ciclo di vita entro 15-20 anni. La perdita di elettricità andrà pur compensata. Quali alternative proponete?
L’alternativa è semplice. Per coprire i nostri bisogni durante l’estate, possiamo fare dei contratti a lungo termine con la Germania per il solare e l’eolico, come abbiamo fatto con la Francia per il nucleare. Non ci sarebbero problemi, e costerebbe dieci volte meno: avremmo dell’energia rinnovabile tedesca, ma in fin dei conti sempre di rinnovabili si tratta! Bisogna però garantire l’approvvigionamento energetico anche durante l’inverno. Lo possiamo fare costruendo delle turbine a gas e delle centrali a gas a ciclo combinato per non essere dipendenti dall’estero nel periodo invernale. O continuiamo con il nucleare, ma non lo si vuole fare, o ci resta il gas: evidentemente non è l’ideale per le emissioni di CO2, ma non si può avere tutto.
Nessuno oggi pensa di investire in progetti del genere, costosi e nocivi per l’ambiente.
È lo Stato che dovrà pagare. Potrebbe persino costruirle queste centrali a gas. Ad ogni modo, oggi si vogliono spendere 1,3 miliardi di franchi all’anno per sviluppare le rinnovabili: soldi semplicemente sprecati! Una centrale a gas che funzionerebbe unicamente nei momenti di punta [quando il fabbisogno energetico è al massimo, ndr], qualche centinaio di ore, costerebbe soltanto tra i 50 e i 450 milioni di franchi all’anno.
Non serve investire nelle rinnovabili: è così?
Nemmeno un franco nel fotovoltaico: in inverno non produce quasi nulla, e oltretutto i pannelli solari vengono dalla Cina. Per l’eolico è diverso, perché – ammesso che gli abitanti li accettino – gli impianti produrrebbero soprattutto nella stagione fredda.