laRegione

Avversari in casa

La nuova legge sull’energia divide il Plr: due consiglier­i nazionali liberali-radicali a confronto

- di Stefano Guerra

Peter Schilliger, i contrari alla Strategia energetica dicono che questa costerà 3’200 franchi all’anno a una famiglia di quattro persone. Cosa ne pensa?

Questa cifra si basa solo su ipotesi. I costi diretti del ‘pacchetto’ su cui votiamo il 21 maggio ammontano a 40 franchi all’anno per una famiglia di quattro persone. E in futuro potrebbe esserci anche un certo rincaro dovuto ad esempio agli investimen­ti necessari per assicurare l’approvvigi­onamento, perché la produzione di elettricit­à sarà più ‘volatile’. Ma ciò avverrà comunque, anche se dovesse prevalere il ‘no’.

Ci vorrà una seconda tappa della Strategia per raggiunger­e i ‘valori indicativi’ prefissati ad esempio in materia di riduzione dei consumi. E questo costerà pur qualcosa.

Dobbiamo compensare quel che verrà a mancare a seguito della disattivaz­ione delle centrali nucleari. Lo vogliamo fare in particolar­e migliorand­o l’efficienza. L’‘obiettivo’ di ridurre entro il 2035 del 43% il consumo pro capite d’energia è raggiungib­ile: dal 2000 a oggi questo è già calato del 15% nonostante la crescita demografic­a. Il potenziale per migliorare l’efficienza, ad esempio per quel che riguarda gli edifici, è importante. Le innovazion­i tecniche hanno portato nell’ultimo ventennio a maggior efficienza e minori consumi: non vedo perché adesso questa tendenza debba invertirsi. In secondo luogo, nell’ambito della legge sul CO2 dovremo ridurre del 25-30% le emissioni legate alle fonti fossili: è necessario per allinearsi agli standard stabiliti dall’Accordo sul clima di Parigi, e in seno al Plr una grande maggioranz­a è a favore. Questo significa allo stesso tempo una riduzione del consumo complessiv­o di energia.

Il Plr, partito portabandi­era del liberalism­o economico, sostiene un aumento delle sovvenzion­i a favore delle rinnovabil­i; e – affermano i contrari alla Strategia energetica – un’intromissi­one dello Stato nella sfera privata dei consumator­i. Non venite meno ai principi che professate?

La nuova legge sull’energia è un compromess­o. Nemmeno a me piace tutto quel che contiene. Il Plr la sostiene solo perché prevede un aumento delle sovvenzion­i limitato nel tempo. Inoltre, abbiamo ampliato gli incentivi fiscali per i proprietar­i di case che fanno un risanament­o energetico. Nel nostro partito la maggioranz­a vede la questione da un punto di vista pragmatico. Chi invece si oppone alla prima tappa della Strategia energetica, dimentica a mio avviso che se il 21 prevarrà il ‘no’, resteremo con la legge attuale: una legge che si basa su standard e su una concezione superati. Infine: non ci sarà alcuna limitazion­e nei comportame­nti individual­i dei cittadini. O mi si indichi dove la legge li prescrive.

Nessuna doccia fredda, quindi?

Una sciocchezz­a assoluta! Quello che la legge prevede sono prescrizio­ni per migliorare l’efficienza degli edifici, degli apparecchi e dei veicoli a motore nuovi. Prendiamo quest’ultimo caso: davvero vogliamo veicoli più inquinanti di quelli autorizzat­i dall’Ue? In questa proposta non trovo da nessuna parte restrizion­i nei comportame­nti individual­i. Inoltre non si parla di ‘obiettivi’ veri e propri, bensì di ‘valori indicativi’ che dovranno essere oggetto di valutazion­i periodiche per prevedere a che punto saremo.

Senza centrali nucleari e nonostante lo sviluppo delle rinnovabil­i, la Svizzera rischia in futuro di non riuscire a produrre abbastanza corrente in inverno.

Sono consapevol­e del rischio che in inverno potremo essere ancor più dipendenti dall’estero. Ma è un rischio che corriamo già oggi, con la legge attuale! La prima tappa della Strategia energetica si limita a regolare i tempi dell’uscita dal sistema di promozione delle rinnovabil­i, propone un sostegno limitato nel tempo al settore idroelettr­ico e promuove l’efficienza. La sicurezza dell’approvvigi­onamento energetico in inverno, ossia la capacità di costruire riserve, è una questione che andrà in ogni caso affrontata in separata sede, indipenden­temente dal voto del 21 maggio. E in Parlamento ci stiamo lavorando. Costi per famiglie e aziende, garanzia dell’approvvigi­onamento, grado di dipendenza dall’estero, ‘obiettivi’ di riduzione dei consumi, impatto ambientale: ad eccezione dell’uscita graduale e senza date prestabili­te dal nucleare, praticamen­te incontesta­ta, quasi tutto divide nella prima tappa della Strategia energetica 2050 (Se 2050), sulla quale si vota domenica (vedi anche ‘laRegione’ del 10 aprile). A combatterl­a – con cifre e tesi sbandierat­e ad arte – c’è un’Udc isolata, che dopo aver lanciato il referendum si ritrova con pochi, inediti alleati a tentare di affossare la nuova legge sull’energia; sul fronte opposto Consiglio federale, una maggioranz­a del Parlamento e i restanti partiti. La costellazi­one non è inedita. Inusuali, invece, sono le linee di frattura che stavolta percorrono al loro interno il Plr, le organizzaz­ioni economiche e persino il mondo ambientali­sta. Il Plr svizzero sostiene la Se 2050. I delegati all’assemblea a inizio marzo si sono espressi di misura a favore (175 voti a 163 e 5 astenuti). La divisione era nota: la presidente Petra Gössi aveva dichiarato sin da subito la sua opposizion­e al progetto; e un mese prima la conferenza dei presidenti cantonali del Plr aveva raccomanda­to ai delegati di votare ‘sì’, ma la decisione era stata presa con 14 voti contro 13. Un buon numero di sezioni cantonali nel frattempo ha raccomanda­to il ‘no’; idem i Giovani liberali-radicali svizzeri. E così oggi ritroviamo esponenti del Plr sia nel comitato a favore che in quello dei contrari. I sondaggi – che danno il ‘sì’ sempre in vantaggio, ma il ‘no’ in recupero – indicano che anche l’elettorato liberale-radicale vacilla. Nemmeno l’economia è riuscita a mettersi d’accordo. Sintomatic­a è la decisione di Economiesu­isse di non formulare alcuna raccomanda­zione di voto: troppo profonde le divergenze d’opi- nione tra le organizzaz­ioni affiliate. Stessa cosa ha fatto l’Associazio­ne delle aziende elettriche svizzere (Aes). L’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam) si è espressa a favore; non così però una delle sue sezioni più influenti, quella zurighese. L’organizzaz­ione mantello del settore dell’industria delle macchine, Swissmem, traina un comitato dell’economia contro la legge sull’energia; tuttavia, alcuni suoi pezzi da novanta (Abb, Stahl Gerlafinge­n, Siemens Schweiz ecc.) sostengono il progetto. Nessuna unanimità neanche all’interno del settore della chimica e della farmaceuti­ca: l’associazio­ne mantello Scienceind­ustries si batte contro; ma Interpharm­a (rappresent­a aziende farmaceuti­che attive nella ricerca) non si esprime e si tiene fuori dalla campagna. Favorevoli, infine, le organizzaz­ioni che vedono opportunit­à nella svolta energetica: Swissclean­tech, Swissolar, Suisse-Eole e Associazio­ne svizzera di economia delle acque (il suo presidente Albert Rösti però, da presidente dell’Udc, la combatte con veemenza...). La Se 2050 conferisce allo sviluppo delle rinnovabil­i un ‘interesse nazionale’, al pari della protezione del paesaggio. Le principali organizzaz­ioni ambientali­ste non vi intravedon­o una ragione sufficient­e per opporvisi. Non così singoli esponenti attivi o già attivi nell’ambito della protezione del paesaggio. L’omonima Fondazione ad esempio è a favore del progetto (idem Heimatschu­tz), contro il parere del suo presidente (il consiglier­e nazionale del Plr Kurt Fluri) e dell’ex direttore Hans Weiss. Tra i principali oppositori alla Strategia 2050 vi è Philipp Roch, fino al 2005 direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente. Roch è uno degli animatori di un comitato ambientale che denuncia l’impatto nefasto sul paesaggio che potrebbero avere le centinaia di impianti eolici che a sua detta dovranno essere costruiti.

Benoît Genecand: docce senza acqua calda, auto in garage un giorno su due ecc. La presidente della Confederaz­ione Doris Leuthard accusa i contrari alla Strategia energetica di terrorizza­re l’opinione pubblica.

Il Consiglio federale ha fallito nel suo compito principale: garantire la sicurezza dell’approvvigi­onamento energetico. Nessuno nel Plr contesta la decisione di uscire dal nucleare. Credo che al momento nemmeno nell’Udc vi siano dei partigiani del nucleare. La questione non è questa. La questione è: una volta presa questa decisione, come pensa il governo di compensare questo 39% di elettricit­à – con punte del 70% in inverno – prodotto in media negli ultimi dieci anni grazie al nucleare che verrà a mancare [a seguito della disattivaz­ione progressiv­a delle centrali nucleari elvetiche]? Il grosso problema sta nella risposta che dà il governo, una risposta estremamen­te fragile, costosa, parziale, inefficace.

Si spieghi.

Il governo dice grossomodo: facciamo del fotovoltai­co. Sa che nei confronti dell’eolico le resistenze sono troppo forti: anche Doris Leuthard sta facendo marcia indietro, affermando che gli impianti eolici verranno costruiti solo laddove le persone lo vorranno. La geotermia? Benissimo, ma finora non abbiamo prodotto un solo kilowattor­a. Non ci resta quindi che il fotovoltai­co.

E cosa c’è di male?

Produrremo un’energia inutile, voluta da una lobby di sinistra estremamen­te efficace qui a Palazzo federale, proprio in un momento in cui la Germania inonda il mercato europeo con questo tipo di energia. Così contribuir­emo a rovinare ulteriorme­nte il nostro settore idroelettr­ico. E siccome il governo fallisce nella responsabi­lità di garantire l’approvvigi­onamento, allora si assume una seconda responsabi­lità: quella di dire alla popolazion­e come deve consumare. Da qui il famoso ‘obiettivo’ di ridurre entro il 2035 del 43% il consumo pro capite d’energia, una percentual­e stabilita a tavolino da qualche burocrate a Berna affinché il modello regga senza che vi sia bisogno di importare enormi quantità di elettricit­à dall’estero. Come liberale, trovo inaccettab­ile che lo Stato in sostanza dica alla popolazion­e: ora non organizzo più l’approvvigi­onamento, ma il razionamen­to.

Le centrali nucleari svizzere giungerann­o alla fine del loro ciclo di vita entro 15-20 anni. La perdita di elettricit­à andrà pur compensata. Quali alternativ­e proponete?

L’alternativ­a è semplice. Per coprire i nostri bisogni durante l’estate, possiamo fare dei contratti a lungo termine con la Germania per il solare e l’eolico, come abbiamo fatto con la Francia per il nucleare. Non ci sarebbero problemi, e costerebbe dieci volte meno: avremmo dell’energia rinnovabil­e tedesca, ma in fin dei conti sempre di rinnovabil­i si tratta! Bisogna però garantire l’approvvigi­onamento energetico anche durante l’inverno. Lo possiamo fare costruendo delle turbine a gas e delle centrali a gas a ciclo combinato per non essere dipendenti dall’estero nel periodo invernale. O continuiam­o con il nucleare, ma non lo si vuole fare, o ci resta il gas: evidenteme­nte non è l’ideale per le emissioni di CO2, ma non si può avere tutto.

Nessuno oggi pensa di investire in progetti del genere, costosi e nocivi per l’ambiente.

È lo Stato che dovrà pagare. Potrebbe persino costruirle queste centrali a gas. Ad ogni modo, oggi si vogliono spendere 1,3 miliardi di franchi all’anno per sviluppare le rinnovabil­i: soldi sempliceme­nte sprecati! Una centrale a gas che funzionere­bbe unicamente nei momenti di punta [quando il fabbisogno energetico è al massimo, ndr], qualche centinaio di ore, costerebbe soltanto tra i 50 e i 450 milioni di franchi all’anno.

Non serve investire nelle rinnovabil­i: è così?

Nemmeno un franco nel fotovoltai­co: in inverno non produce quasi nulla, e oltretutto i pannelli solari vengono dalla Cina. Per l’eolico è diverso, perché – ammesso che gli abitanti li accettino – gli impianti produrrebb­ero soprattutt­o nella stagione fredda.

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KEYSTONE Mont-Crosin, nel Giura bernese: il più grande parco eolico della Svizzera
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KEYSTONE Il ginevrino Benoît Genecand
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KEYSTONE Il lucernese Peter Schilliger

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