Un Ticino che si affloscia
L’apertura di AlpTransit, il consolidamento e l’ampliamento dei poli urbani a seguito delle aggregazioni realizzate (o in divenire), così come le inarrestabili evoluzioni strutturali della società, muteranno in modo radicale l’assetto socio-economico del Ticino dei prossimi decenni. Quel processo iniziato nella seconda metà dell’Ottocento che prese origine con l’avvento del Ticino ferroviario, si arricchisce oggi di una nuova fase evolutiva che darà origine a qualcosa i cui contorni e contenuti sono in gran parte sconosciuti, difficilmente prevedibili. Il Ticino, a cavallo tra Ottocento e inizio Novecento, pose fine alla struttura di cantone essenzialmente agricolo omogeneamente organizzato in tutte le sue parti a livello politico, economico e demografico, innescando uno sviluppo deciso attorno all’asse ferroviario nord/sud e sulla propaggine locarnese. Nelle estremità più discoste del cantone (Lavizzara, Onsernone, Rovana, Verzasca, Alta Blenio, Centovalli, Morobbia, Val Colla, Val di Muggio, alto Malcantone), complici alcune concause (fra cui l’emigrazione), si assistette ai primi segnali di svuotamento e di perdita di vigore. Poi, per tutto il Novecento, il progresso economico, sociale e demografico si polarizzò attorno ai maggiori agglomerati urbani (Lugano, Bellinzona, Locarno, Biasca, Mendrisio, Chiasso) con il resto del cantone, periferico rispetto all’asse ferroviario e ai poli urbani, ad arrancare e lottare per stare a galla. L’avvento di AlpTransit rimpicciolisce ulteriormente il Ticino che conta (quello accorpato sull’asse Lugano/Bellinzona) con Locarno, Chiasso (...)
(...) e Mendrisio a cercare di partecipare alla festa, mentre alla già consistente parte periferica (e in difficoltà) del cantone si aggiungono come ultimi arrivati, l’intera Leventina, Blenio, Biasca con la Riviera e qualche porzione di Luganese e Mendrisiotto: più dell’80% (inteso come superficie) del cantone, destinato ad accontentarsi di alcuni sussulti positivi originati perlopiù da luce riflessa, che arrischia di afflosciarsi attorno a un nucleo centrale a ridosso dei due snodi della linea veloce. L’era inaugurata da AlpTransit con i treni velocissimi, affrettati di arrivare altrove, richiede di ripensare nuovi scenari per il futuro del cantone, adottando un disegno politico chiaro sul Ticino che si vuole e si vorrà. Uno scenario per ora solo abbozzato, declinato soprattutto sugli effetti, talvolta effimeri, della facciata turistica e molto meno improntato sulle scelte economiche e infrastrutturali di base i cui effetti è risaputo sono incisivi e duraturi per il cantone inteso nella sua globalità. Nell’allestimento delle linee di sviluppo cantonale si diffidi dunque delle tentazioni politiche fortemente polarizzate sul Ticino a cavallo del troncone AlpTransit da Bellinzona-Lugano e poco oltre, perché questa visione potrebbe avverarsi fragile e poco lungimirante, perché il cuore urbano ticinese non ha (e non avrà mai) né i numeri, né il peso economico per essere metropoli vera, arrischiando a sua volta di essere, nei prossimi decenni, periferia risucchiata dalla forza del polo lombardo a sud e di quello zurighese a nord, con tutta una serie di effetti, anche molto negativi, solo in parte immaginabili oggi. Un Ticino AlpTransit-dipendente è da evitare. Il cantone e gli enti pubblici in generale devono dotarsi di alcuni criteri forti, improntati all’equità, in grado di concepire uno spazio ticinese costruito nella complementarietà e nell’equilibrio delle sue parti in termini di infrastrutture economiche e di servizi, evitando un pericoloso accentramento attorno all’asse Bellinzona-Lugano. Questo nucleo urbano bipolare (per altro un peso leggero nella rete urbana centro europea) deve vivere assieme al proprio retroterra, perché attorno non c’è il deserto (come talvolta accade), ma delle micro-regioni che meritano di continuare a esistere, dando, come hanno sempre fatto, i loro contributi al benessere del cantone: il Ticino deve rimanere se stesso coltivando i giusti equilibri fra le parti e ciò grazie anche ad AlpTransit. Si diffidi dunque di un modello di sviluppo che punta eccessivamente sul proprio nucleo svuotando progressivamente ciò che sta attorno a livello economico, amministrativo, sociale e demografico. Sintomatica di questo vento accentratore, anche se in ambito sportivo, è l’idea di trapiantare la Valascia ad Arbedo che però il popolo biancoblù ha giustamente e fortemente avversata, però fino a quando?