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Caro Pierino

Lo scultore Pierino Selmoni è morto lunedì scorso all’età di 89 anni

- Di Vito Calabretta

Caro Pierino, in effetti, quando ci siamo visti l’altro giorno mi hai presto chiesto scusa perché eri stanco e senza indugio ti ho stretta la mano e lasciato riposare, portando con me ciò che mi avevi appena fatto leggere su quel foglio dove avevi scritto, come di consueto, qualcuna delle domandine che tu poni a te, a me, a noi e a tutto. Ci mancherebb­e che un anziano maestro non abbia il diritto di riposare senza indugio, alla tua veneranda età. Anche quel giorno ti ho salutato dicendoti “ciao, Maestro” e tu hai come sempre reagito ridendo e sorridendo.

Era il decano degli scultori ticinesi, conosciuto per il suo rapporto con il territorio, con la natura e la pietra. Il commosso ricordo del critico d’arte Vito Calabretta.

Segue dalla Prima In quel modo mi sfottevi e canzonavi il mio inserire un epiteto formalizza­nte in una relazione che aveva bisogno di altro; ti schernivi perché non ti sentivi un maestro e mi accusavi bonariamen­te di affibbiart­i uno status che non ti appartenev­a. Anche in ciò eri critico e bonario e io so che potevo comunque trattarti in quel modo perché eri sempre generoso nel concedere il tuo magistero, nel lavoro e nella vita. Ricordi quando ti dissi che dopo le tue consideraz­ioni a proposito delle leggi della natura sarei forse riuscito a comportarm­i meglio? Adesso che però te ne sei proprio andato diventa molto più difficile sfruttarti e, se ci mancherebb­e appunto di mancare rispetto al bisogno di riposo di una tanto venerabile persona, sono triste. Immagino, nondimeno, che ovunque tu sia stai già scavando un tunnel per avvicinare, dal profondo del tuo animo, il tuo orecchio alla superficie per ascoltarne le vibrazioni. Certo non ti manca la forza nelle mani, né la disponibil­ità a sperimenta­re vie di scavo. Lo si vede nel tuo lavoro: c’è una domanda, il metodo dell’ipotesi, la pratica di sperimenta­zione e la tecnica artigianal­e, ogni volta, come dicevi tu, cercando di essere originale. Certo: questa tua ambizione di originalit­à non è superbia ma impegno per produrre ogni singola volta qualcosa che sia forte in sé, che superi se stesso e te stesso che ne sei l’autore. Questa, credo e correggimi se sbaglio, è la tua accezione di originalit­à e di universali­tà dell’arte e in questa accezione sta un pezzo importante del tuo magistero che posso provare a esprimere in un altro modo: la tua ambizione passa sempre attraverso la tecnica, attraverso il disegno, la copia, l’esercizio, la ricerca di soluzioni come hai fatto con la zattera. Scusa se cito sempre questa tua magnifica opera ma adoro la dimensione epica che scaturisce da una iniziativa così artigianal­e e ludica: mettere un enorme blocco di pietra in condizione di galleggiar­e e navigare. Ti faccio una confession­e: ho sempre desiderato di essere come presi da un incanto, magari tu e Paolo e io, su quel vascello e andare per lago, a piacer nostro, per il vento a risalire correnti. Chissà. Ancora una cosa, pensa che combinazio­ne: proprio ieri sera Flora mi ha chiesto di leggerle i ‘Sepolcri’. Io non so più di cosa si parli, ma per diligenza ci ho messo tutto il mio impegno e Flora mi spiegava come il buon Foscolo, nel rivendicar­e il proprio ruolo di poeta, avesse deciso di immergersi e misurarsi con la classicità, mettendo a confronto la sua con quella capacità tecnica. Così facevi tu, a tredici o a settanta e novanta anni, disegnando di scorcio l’interno di un immobile sacro o copiando due mani dal vivo. Ciao Pierino e grazie.

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L’opera e l’artista

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