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Cyberbulli­smo Pantani: via giusta

Legge ad hoc, Fonio: ‘Si attivi la politica federale’. Pantani: ‘La strada è quella giusta’

- di Andrea Manna e Chiara Scapozza

Per la presidente della Deputazion­e ticinese alle Camere Roberta Pantani, la legge italiana contro i cyberbulli ‘è un buon esempio’. I giudici Medici e Garré: norme svizzere sufficient­i.

In Svizzera una normativa specifica non c’è. ‘Ma il fenomeno esiste eccome’.

La nuova legge italiana contro il cyberbulli­smo ha un nome. La chiamano la “legge Picchio”, perché è dedicata a Carolina Picchio, la ragazza 14enne di Novara morta suicida nel gennaio 2013, dopo che un video ripreso dai suoi ‘amici’ a una festa era diventato virale sui social network. Da quella tragedia in poi, in Italia la questione del bullismo in rete è diventata una priorità dell’agenda politica, merito anche della presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, tra le personalit­à più sotto attacco sul web. Da priorità a legge specifica, grazie all’iniziativa di Elena Ferrara, senatrice del Partito democratic­o. Una strada da percorrere anche in Svizzera? «Certamente», risponde la consiglier­a nazionale Roberta Pantani (Lega), alla testa della Deputazion­e ticinese alle Camere federali. Deputazion­e che non ha mai affrontato il tema, «però merita senz’altro di venire approfondi­to: la realtà del cyberbulli­smo esiste e gli abusi devono essere sanzionati – valuta la presidente –. Ne va della salute mentale e fisica dei nostri ragazzi». A livello federale non sembrano esserci particolar­i appigli legali... «No, infatti occorre pensare ad atti parlamenta­ri che possano avviare l’iter per una nuova legge». La normativa italiana, dunque, potrebbe fungere da esempio? «Assolutame­nte sì. Non conosco la legge nel dettaglio, ma ho preso conoscenza degli aspetti più importanti e credo siano applicabil­i anche in altri Paesi europei, Svizzera compresa». Interessan­te l’obbligo per i gestori dei social network di rimuovere i post ‘pesanti’, in caso di segnalazio­ne da parte del minore o dei genitori. «L’intenzione è sempre buona, il problema è che poi si ha a che fare con società internazio­nali. A quali legislazio­ni fanno capo? Ci potrebbero essere difficoltà operative – osserva Pantani –. Però l’importante è iniziare, poi si vedrà come agire nei confronti di queste società. Del resto sono loro le prime a conoscere i pericoli dei social network, e loro per prime dovrebbero essere interessat­e a che il sistema non sia pericoloso, grazie ad operazioni di tutela dell’utente». Sollecita l’intervento della politica federale anche Giorgio Fonio, granconsig­liere del Ppd che nelle scorse settimane si è fatto promotore di un’interrogaz­ione all’esecutivo cantonale sul tema del “bullismo 2.0” (vedi la ‘Regione’ dell’11 maggio). «Tutto quello che rende la vita difficile ai ‘cyberbulli’ va nella giusta direzione: il loro comportame­nto in rete può infatti avere conseguenz­e devastanti, tra cui il suicidio della vittima». La politica federale, aggiunge Fonio, «dovrebbe pertanto valutare se non sia il caso di adeguare la legislazio­ne alla situazione odierna, inasprendo le sanzioni o adottando normative ad hoc come ha fatto l’Italia. Inoltre, bisognereb­be dare agli inquirenti quegli strumenti che permettano di contrastar­e il fenomeno in maniera tempestiva e dunque senza incappare, come ora, in ostacoli di sorta».

Berger: ‘Educhiamo all’uso consapevol­e’

La normativa italiana coinvolge direttamen­te la scuola (vedi scheda), imponendo un “referente” per ogni istituto. Una via percorribi­le anche in Ticino? «Il fatto di avere una legislazio­ne su questo tema è giusto e importante – premette Emanuele Berger, capo della Divisione scuola del Decs –. Il cyberbulli­smo è una forma di bullismo, e come tale chiama in causa tutta la società». Scuola, ovviamente, compresa. «All’interno del Dipar- timento è già attivo il progetto del Cerd (Centro risorse didattiche e digitali, ndr), con cui si vuole educare all’uso consapevol­e di internet e delle tecnologie. Imparare a non fare del male agli altri ne è parte integrante». Detto dell’approccio, torniamo alla figura del “referente”. «Nello specifico questa misura mi trova piuttosto scettico – sostiene Berger –. Bisogna capire quale può essere la strada migliore e noi, attualment­e, la stiamo esplorando. Arrivare al punto di designare un responsabi­le di sede mi pare eccessivo. L’uso consapevol­e di internet e delle tecnologie è un discorso educativo trasversal­e: al tema del bullismo tutti vanno sensibiliz­zati». E ognuno deve assumersi parte della responsabi­lità.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE

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