Cyberbullismo Pantani: via giusta
Legge ad hoc, Fonio: ‘Si attivi la politica federale’. Pantani: ‘La strada è quella giusta’
Per la presidente della Deputazione ticinese alle Camere Roberta Pantani, la legge italiana contro i cyberbulli ‘è un buon esempio’. I giudici Medici e Garré: norme svizzere sufficienti.
In Svizzera una normativa specifica non c’è. ‘Ma il fenomeno esiste eccome’.
La nuova legge italiana contro il cyberbullismo ha un nome. La chiamano la “legge Picchio”, perché è dedicata a Carolina Picchio, la ragazza 14enne di Novara morta suicida nel gennaio 2013, dopo che un video ripreso dai suoi ‘amici’ a una festa era diventato virale sui social network. Da quella tragedia in poi, in Italia la questione del bullismo in rete è diventata una priorità dell’agenda politica, merito anche della presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, tra le personalità più sotto attacco sul web. Da priorità a legge specifica, grazie all’iniziativa di Elena Ferrara, senatrice del Partito democratico. Una strada da percorrere anche in Svizzera? «Certamente», risponde la consigliera nazionale Roberta Pantani (Lega), alla testa della Deputazione ticinese alle Camere federali. Deputazione che non ha mai affrontato il tema, «però merita senz’altro di venire approfondito: la realtà del cyberbullismo esiste e gli abusi devono essere sanzionati – valuta la presidente –. Ne va della salute mentale e fisica dei nostri ragazzi». A livello federale non sembrano esserci particolari appigli legali... «No, infatti occorre pensare ad atti parlamentari che possano avviare l’iter per una nuova legge». La normativa italiana, dunque, potrebbe fungere da esempio? «Assolutamente sì. Non conosco la legge nel dettaglio, ma ho preso conoscenza degli aspetti più importanti e credo siano applicabili anche in altri Paesi europei, Svizzera compresa». Interessante l’obbligo per i gestori dei social network di rimuovere i post ‘pesanti’, in caso di segnalazione da parte del minore o dei genitori. «L’intenzione è sempre buona, il problema è che poi si ha a che fare con società internazionali. A quali legislazioni fanno capo? Ci potrebbero essere difficoltà operative – osserva Pantani –. Però l’importante è iniziare, poi si vedrà come agire nei confronti di queste società. Del resto sono loro le prime a conoscere i pericoli dei social network, e loro per prime dovrebbero essere interessate a che il sistema non sia pericoloso, grazie ad operazioni di tutela dell’utente». Sollecita l’intervento della politica federale anche Giorgio Fonio, granconsigliere del Ppd che nelle scorse settimane si è fatto promotore di un’interrogazione all’esecutivo cantonale sul tema del “bullismo 2.0” (vedi la ‘Regione’ dell’11 maggio). «Tutto quello che rende la vita difficile ai ‘cyberbulli’ va nella giusta direzione: il loro comportamento in rete può infatti avere conseguenze devastanti, tra cui il suicidio della vittima». La politica federale, aggiunge Fonio, «dovrebbe pertanto valutare se non sia il caso di adeguare la legislazione alla situazione odierna, inasprendo le sanzioni o adottando normative ad hoc come ha fatto l’Italia. Inoltre, bisognerebbe dare agli inquirenti quegli strumenti che permettano di contrastare il fenomeno in maniera tempestiva e dunque senza incappare, come ora, in ostacoli di sorta».
Berger: ‘Educhiamo all’uso consapevole’
La normativa italiana coinvolge direttamente la scuola (vedi scheda), imponendo un “referente” per ogni istituto. Una via percorribile anche in Ticino? «Il fatto di avere una legislazione su questo tema è giusto e importante – premette Emanuele Berger, capo della Divisione scuola del Decs –. Il cyberbullismo è una forma di bullismo, e come tale chiama in causa tutta la società». Scuola, ovviamente, compresa. «All’interno del Dipar- timento è già attivo il progetto del Cerd (Centro risorse didattiche e digitali, ndr), con cui si vuole educare all’uso consapevole di internet e delle tecnologie. Imparare a non fare del male agli altri ne è parte integrante». Detto dell’approccio, torniamo alla figura del “referente”. «Nello specifico questa misura mi trova piuttosto scettico – sostiene Berger –. Bisogna capire quale può essere la strada migliore e noi, attualmente, la stiamo esplorando. Arrivare al punto di designare un responsabile di sede mi pare eccessivo. L’uso consapevole di internet e delle tecnologie è un discorso educativo trasversale: al tema del bullismo tutti vanno sensibilizzati». E ognuno deve assumersi parte della responsabilità.