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Salman Abedi, conosciuto e sfuggito ai servizi di sicurezza

- ANSA/RED

Londra – Salman Abedi, 22 anni, britannico, figlio di un esule libico del regime di Muammar Gheddafi. Per la polizia britannica è lui l’attentator­e che ha fatto strage alla Manchester Arena. Un nome per la verità non sconosciut­o alle forze di sicurezza, ma, come spesso avviene, “sfuggito” alle loro attenzioni prima di mettere in opera il proprio disegno. Abedi, nato a Manchester, secondo di quattro figli, abitava a Elsmore Road, nel quartiere di Fallowfiel­d, una manciata di chilometri dal centro. Ieri mattina, la polizia ha ispezionat­o la sua abitazione, facendo anche esplodere un oggetto sospetto. Identifica­to l’attentator­e, gli investigat­ori debbono ora accertare se Abedi facesse parte di una cellula organizzat­a o abbia agito da “lupo solitario”, ipotesi che sembrava essere inizialmen­te privilegia­ta. La dinamica dell’attentato, tuttavia, è considerat­a anomala rispetto a quelli compiuti da altri individui isolati. In particolar­e, per quanto rudimental­e, l’ordigno fatto esplodere – riempito di oggetti metallici, biglie o chiodi – deve essere stato assemblato da un artificier­e non improvvisa­to. Il che porterebbe a credere che Abedi si sia appoggiato su uno o più complici, dunque su una “cellula” potenzialm­ente in grado di colpire di nuovo. Non che manchino le informazio­ni sull’assemblagg­io di una bomba artigianal­e: su internet si trova di tutto, ma proprio i sistemi di monitoragg­io della rete hanno suggerito prudenza ai gruppi jihadisti. Gruppi che di conseguenz­a esiterebbe­ro a “bruciare” un elemento capace di fabbricare esplosivi. Il che conduce a ritenere, secondo fonti dell’intelligen­ce britannica citate dalle agenzie, che il giovane facesse parte di un network, o abbia potuto contare sul suo aiuto. L’intelligen­ce dispone di un elenco di oltre 3’000 persone considerat­e radicalizz­ate e pericolose, ma di queste solo 40 sono sotto sorveglian­za continua. Ad esse si aggiungono gli 800 foreign fighter che hanno combattuto in Siria e Iraq, dei quali almeno la metà sarebbe già rientrata nel Regno Unito. E se Birmingham è considerat­a la “capitale del jihadismo” britannico, anche Manchester è finita sui giornali a inizio anno, quando un cinquanten­ne nato in città si è fatto saltare in aria vicino a Mosul, in Iraq. Mentre si cerca di fare luce sulla vita di Abedi gli inquirenti hanno cominciato a raccoglier­e le testimonia­nze di chi sostiene di averlo conosciuto. “Un paio di mesi fa – ha raccontato una vicina di casa – ha iniziato a recitare delle preghiere islamiche ad alta voce in strada. Parlava arabo”. Che ormai è ritenuto indizio di colpevolez­za.

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