laRegione

La miseria di Trump e il ritorno di al Qaida

- E.F.

Meno di dieci giorni prima che a Riad Donald Trump indicasse nell’Iran il pericolo pubblico numero uno, Hamza bin Laden, designato erede del padre Osama alla testa di al Qaida, o di ciò che ne resta, ha fatto il suo ritorno sulla scena mediatica internazio­nale con l’appello ai “credenti” a non partire verso i teatri bellici mediorient­ali ma a rimanere nei paesi di residenza (vi siano nati o vi siano migrati o accolti in qualità di rifugiati) e farne tanti nuovi fronti di jihad. Due, tre cose, dunque: intanto la miseria intellettu­ale e morale del capo della maggiore potenza mondiale, che davanti a una platea di compiaciut­i finanziato­ri delle scuole wahabite (ispiratric­i dell’islamismo più oscurantis­ta nella sua versione violenta) fomenta il conflitto sunniti-sciiti, sposando la causa dei primi. Cioè della matrice ideologica che ha figliato (non solo metaforica­mente) il terrorismo qaidista e dell’Isis e ne ha finanziato le imprese. L’attentato di Manchester è la conferma più tragica e lampante dell’ignoranza e della malafede del discorso di Trump. Distrarre dal retroterra ideologico e dai finanziame­nti di cui si giovano le organizzaz­ioni terroristi­che maggiori, per additare il regime degli ayatollah (che pure non merita di essere difeso) è, in termini di pensiero, analogo a quell’operazione suicida che fu l’indiscrimi­nato sostegno ai mujaheddin afghani che combatteva­no l’occupazion­e russa, dai cui ranghi uscì in effetti (molto millantand­o il proprio ruolo di combattent­e, peraltro) Osama bin Laden, il dominus dell’11 settembre. Bin Laden, appunto. Il suo giovane figlio, rivendican­do il ruolo di erede alla testa dell’organizzaz­ione, sembra volerne riorientar­e la strategia e di conseguenz­a la propaganda. Constatato il sostanzial­e fallimento del tentativo di al Baghdadi di insediare l’Isis quale entità statale nei territori a cavallo tra Iraq e Siria, al Qaida tenta cioè di riprendere il posto che rivendica per sé alla testa del jihadismo internazio­nale. Non solo sui campi di battaglia, dalla Libia a Mosul, passando per il Sinai, dove i gruppi che vi si riconoscon­o combattono, con qualche successo, le milizie del Califfato, ma ora anche sui fronti del jihad in terra di miscredent­i, vale a dire, sostanzial­mente, in Europa. Questo spiega l’adozione, da parte delgiovane Bin Laden, dei temi e del registro utilizzati sinora piuttosto della propaganda che l’Isis conduceva tra gli aspiranti militanti di passaporto europeo. Per questo, gli analisti hanno individuat­o nel messaggio del 13 maggio una nuova attenzione ai bersagli delle “operazioni” (gli apostati, Israele, Stati Uniti, i Paesi europei e della Nato), alla loro modalità, e alla necessità di rivendicar­le, per sfruttarne l’impatto e l’eco anche sul medio e lungo periodo. Operazioni, e qui sì, Bin Laden adotta linguaggio e prospettiv­a della “concorrenz­a” che devono essere accuratame­nte preparate (“Siate profession­ali” nella scelta degli obiettivi e delle armi con cui colpire), ma senza legarsi al culto della perfezione: “Non è necessario che l’arma sia uno strumento bellico. Se siete in grado di procurarvi un’arma da fuoco, bene. Altrimenti avete molte opzioni”. Come a Nizza, a Berlino, a Londra...

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