La dignità di tutti gli uomini
‘I rom sono gli ebrei di oggi, e lo erano anche di ieri’ racconta Moni Ovadia
Ospite di un evento speciale del Festival diritti umani di Lugano, l’artista ha cantato e raccontato la cultura rom ‘perché non possiamo che stare, con umorismo, dalla parte dei perdenti’
«È uno spettacolo truffaldino: la parte ebraica è solo un pretesto» ha avvertito Moni Ovadia, prima di lasciare spazio alle musiche gitane, protagoniste del suo concerto-spettacolo ‘Senza confini, ebrei e zingari’. Spettacolo di canzoni rom – con la parte musicale affidata ai bravissimi interpreti della Stage Orchestra – che il Festival diritti umani di Lugano ha ospitato come sorta di ‘preludio’ alla quarta edizione, in programma dal 10 al 15 ottobre (www.festivaldirittiumani.ch).
Moni Ovadia, perché parlare di rom?
Perché i rom sono gli ebrei di oggi. E lo erano anche di ieri. Rom ed ebrei hanno avuto lo stesso destino: persecuzioni, calunnie, razzismo, senza terra – per cui non difesi da nessuno – sterminati nei lager… poi è successa una cosa strana: nel giro di qualche lustro gli ebrei sono entrati nel salotto dei vincitori. Perché hanno uno stato armato fino ai denti. I rom no, e quindi si possono perseguitare ancora oggi, si possono calunniare, si possono bruciare vivi. Il fatto è che nessuno li conosce: quando parlo con qualcuno che ha dei pregiudizi – non necessariamente persone ‘per male’ –, chiedo sempre “quanti ne conosci?”. E loro mi guardano con una faccia interdetta: non sanno, non conoscono la loro storia. Io ho la fortuna di avere molti amici rom, alcuni sono come fratelli, e so tutto del loro calvario, delle inenarrabili sofferenze che hanno subito, cose inimmaginabili che neanche un autore dell’orrore potrebbe concepire.
È un problema di conoscenza?
Quanti sanno che solo il 25 per cento dei rom vive nei famigerati campi, mentre gli altri vivono in appartamenti? Quanti sanno che i rom, nella Jugoslavia di Tito, erano cittadini come gli altri, inquadrati nell’esercito anche come ufficiali, mantenendo comunque le loro tradizioni? E che molti di questi rom emigrarono poi negli Stati Uniti e
in Canada, diventando imprenditori, medici, professori? Le condizioni di miseria in cui attualmente si trovano i rom sono dovute alla criminalità – criminalità anche rom, perché sono uomini come tutti gli altri –, allo sfruttamento di chi si appropria di risorse altrui per loschi scopi.
Sono uomini come gli altri, uguali a noi…
Forse sono meglio di noi, dell’Occidente del denaro e della speculazione finanziaria, delle “guerre umanitarie” e delle mine antiuomo… I rom sono l’unico popolo europeo che non ha mai fatto una guerra contro un altro popolo, che non ha mai neanche pensato di farla: gente
pacifica, sgangherata finché si vuole ma pacifica. I rom e i sinti vivono la vita, non la rincorrono.
Tornando alla domanda iniziale: perché fare uno spettacolo su rom ed ebrei?
Perché io sono un uomo che ha una passione per l’umanità fragile. Me l’ha insegnato la Torah: stai dalla parte dell’oppresso. E questa gente subisce di tutto.
Ma che cosa ci spaventa, dei rom?
Come detto, non li conosciamo. Ma non solo: il mondo è pieno di gente con le viscere deboli, con un livello di acculturazione infimo. Gente che per vivere ha
bisogno di nemici: ci deve essere qualcuno che è causa dei tuoi guai. Faccio un esempio. I rom rubano. Ed è vero, ci sono rom che rubano, ma certo non rubano solo loro, eppure nessuno propone di mettere il filo spinato intorno ai quartieri dove ci sono i ladruncoli, mentre lo si è pensato e detto per i campi rom! Il fatto è che se arrivassero dei rom miliardari, tutti spalancherebbero le porte e si inchinerebbero, perché quello che davvero la gente odia sono i poveri, quelli più sfortunati di loro, non i rom. Io lavoro con quattro rom. Uno di loro è mezzo ebreo: si chiama Ion Stanescu ed è stato primo violino in grandi orchestre, ma lo si può incontrare per strada, che suona con il cappello per terra… che cosa c’è di male? È un artista che propone la sua arte, eppure subito ci si carica di un sentimento di disprezzo. Perché? Perché loro sono diversi.
Siamo tutti uomini, ma diversi.
L’umanità è uguaglianza delle diversità, ma noi questo non lo abbiamo ancora capito. Perché io non voglio essere uguale agli altri: l’uguaglianza che voglio è avere pari diritti, pari opportunità, pari dignità – quel valore sacrale che rende un uomo inviolabile – e pari accesso all’eccellenza conoscitiva. Poi se io decido di vestirmi con un turbante, saranno o non saranno cazzi miei?
Quindi lo spettacolo, con canzoni della tradizione gitana ed ebraica, è un modo per avvicinarsi, per scoprire questa diversità.
Sì, un po’ di ironia, molta musica e qualche testo che smaschera questa ossessione dell’antiziganismo, questa tendenza a marcare il diverso. Lo sapeva che gli italiani, negli Stati Uniti, erano considerati una razza negroide? Come negri furono linciati novecento italiani. Prendiamo le differenze e ne facciamo un confine, noi e loro, per sentirci superiori o per fare il ‘chiagni e fotti’ lamentando che “non danno lavoro a noi ma lo danno ai rom”. Quando sento dire da persone che si dicono di sinistra “Prima gli italiani”, rabbrividisco: è una delle espressioni più vergognose e ignobili che abbia mai sentito. Ma noi andiamo avanti con questa logica infame, invece di dire che gli uomini sono uomini e ogni essere umano ha diritto a essere rispetto per quello che è, o punito se mette in atto un comportamento delinquenziale, ma un uomo non può essere criminalizzato in quanto tale.
Ultima domanda: che cosa può fare il teatro per contrastare questa situazione?
Molto, il teatro può fare molto. Anche se ci sono voluti secoli perché fosse compreso, nulla ha spiegato il valore integro dell’essere umano come Shakespeare nel Mercante di Venezia, in quel monologo che rivendica l’universalità dell’essere umano. Non ha occhi, un ebreo? Non ha mani, organi, affetti? Se ci ferite, non sanguiniamo, se ci fate il solletico non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? L’essere umano è uno.