C’era una volta l’America
Sono passati dieci anni da quando Alinghi stupì nuovamente il mondo, conquistando per la seconda (e ultima) volta il trofeo sportivo più vecchio del globo, inaugurato nel lontanissimo 1851. Di cui domani, in mezzo all’Atlantico, scatta l’edizione numero 3
Lugano – Si riparte dalle Bermuda. Centosessantasei anni dopo. Con le solite polemiche che precedono puntuali ogni edizione di una Coppa America spaccata a metà tra puristi e innovatori. Specialmente da quando – inesorabilmente, forse – ha imboccato la via della radicalizzazione. «Ora sì, si può parlare sul serio di Formula 1 del mare – dice Andrea Colombo, appassionato velista, presidente del Circolo velico Lago di Lugano e attento osservatore di ciò che ruota attorno al trofeo sportivo più vecchio del mondo –. Infatti fino al 2007, anno dell’ultimo successo di Alinghi, a Valencia, ci si accontentava, per così dire, di estremizzare barche relativamente lente come concezione. Si trattava di imbarcazioni esasperate nella sofisticazione, che dovevano fare i conti con limitazioni enormi quanto a stazza. Finché, un bel giorno, dopo le diatribe del 2010 (con l’estenuante battaglia giuridica tra Alinghi e Oracle, ndr), l’implementazione di nuove regole ha fatto sì che si voltasse completamente pagina. E questi nuovi catamarani, che superano addirittura di 45 nodi (oltre 80 km/h, ndr), sono a dir poco impressionanti». Resta da capire se si possa ancora parlare di massima espressione del velismo o, piuttosto, di esaltazione dell’ingegneria. «Entrambe le cose, direi. Nella vela, i foil (appendice simile a una pinna, che le barche sfruttano per staccarsi dall’acqua, ndr) stanno avendo un’ampia diffusione. Un tempo volavano solo le barche della classe Moth, che già abbiamo ospitato sul Ceresio, mentre io sono convinto che in futuro possano ‘decollare’ anche quelle impiegate per i giri attorno al mondo». Per la Coppa America, in ogni caso, la via sembra definitivamente tracciata. «Ricordo ciò che mi disse Russell Coutts (ex timoniere di Alinghi e ora Ceo di Bmw Oracle, ndr), pensando alla modernizzazione delle regate: ‘Dobbiamo creare un evento con riprese televisive spettacolari e al tempo stesso intuitive, che permettano subito al pubblico di capire chi sta vincendo e chi invece è battuto’. E l’impegno preso dai team in lizza alle Bermuda è che tale formula venga mantenuta almeno per le successive due edizioni. Indipendentemente se a spuntarla sarà il defender (gli americani di Oracle, ndr) oppure uno dei challenger (quindi New Zealand, gli svedesi di Artemis, i francesi di Groupama, gli inglesi di Ben Ainslie e i giapponesi di Softbank, ndr). È un taglio netto col passato, quando chi vinceva dettava le regole, e offre diversi benefici. Ad esempio permette ai team di pianificare più a lungo termine, con l’indubbio vantaggio di portarsi appresso le conoscenze accumulate. Senza contare, poi, che il fatto di aver affossato una certa continuità si è trasformato in un bel problema per la vela in generale: infatti la Coppa America garan-
tiva a un certo numero di velisti la possibilità di svolgere la loro attività come professionisti per un lasso di tempo considerevole. E quand’è saltato tutto, molti di loro si sono ritrovati senza ingaggio». Quel biennio 2008-2009, tanto nefasto, assestò un duro colpo all’immagine dell’America’s Cup. Che assunse i contorni di una guerra tra ricchi: da una parte Ernesto Bertarelli e dall’altra Larry Ellison, con nel mezzo una pletora di giudici e avvocati. «Fu un’assurdità, oltre che un gran peccato. Io a Valencia ci andai, e se penso a tutto quell’entusiasmo, a livello di pubblico ma pure mediatico, mi dico che l’aver buttato tutto all’aria fu una pazzia. Prendiamo soltanto la diffusione televisiva: la passata edizione, nel 2013, alle nostre latitudini non l’ha trasmessa praticamente nessuno. E anche stavolta capiterà sostanzialmente la medesima cosa». A proposito di dirette: le regate da venti minuti decise quest’anno sono un bel regalo alle televisioni. «Il punto è che da un teleschermo è molto difficile avere l’idea di quale sia la velocità in ballo. A rendere ancor più avvincente il tutto saranno perciò le regate brevi, in cui i telespettatori si ritroveranno partenza, passaggi di boa e qualche scelta tattica condensate in pochissimo tempo. Anche perché, salti di vento a parte, la lunga durata non è sinonimo di maggiori
possibilità di rimonta per chi sta dietro». Quanto pesa, invece, sull’appetibilità dell’evento, la scelta di passare da regate con scafi mastodontici, come i 72 piedi del 2013, ai quindici metri delle Bermuda? «Zero. Anche perché non è che più è grande la barca, più belle sono le regate. Per renderle interessanti, le componenti essenziali sono altre. Per prima cosa, le imbarcazioni devono essere identiche, almeno il più possibile. Poi c’è l’aspetto dei budget, che debbono essere sopportabili un po’ per tutti. Ciò che, sostanzialmente, è possibile unicamente con la formula attuale. Facciamo un paragone: se ci sono due barche e una di queste va a 50 nodi e l’altra a 50,5 la differenza sarà minima, e probabilmente non troppo determinante. Se, invece, una barca andasse a 10 nodi e l’altra a 10,2 la seconda le starebbe davanti, inesorabilmente. Era quello il vero problema con la formula precedente: per guadagnare quegli 0,2 nodi si sarebbero dovute spendere cifre improponibili in progettazione e ricerca. Paradossalmente una barca più veloce può incidere meno sul budget rispetto a una lenta». E fu proprio su una barca lenta, per così dire, che dieci anni fa Bertarelli levò al cielo la Brocca d’argento per la seconda volta. E adesso che la Svizzera è rimasta senza America’s? «C’è un gran vuoto, senz’altro. Non dico che quelle due campagne... più l’aborto del 2010 si siano tradotti in un sensibile incremento di tesserati al nostro circolo, tanto per fare un esempio. Tuttavia è innegabile che le imprese di Alinghi abbiano avuto un grandissimo peso sulla notorietà di questo sport. Dovevi – che so? – andare in Municipio, oppure da qualche altra parte, per discutere di tematiche legate alla vela, e t’accorgevi che la gente era ricettiva. Svanito l’effetto, il nostro è tornato uno sport di terza o quarta fascia». L’eredità di Alinghi, invece, qual è? «Tanto per dirne una, attraverso la federazione svizzera ogni anno la Fondazione Bertarelli devolve un importante contributo ai progetti più meritevoli legati al mondo della vela. Ma poi non è mica svanita del tutto la speranza che un giorno, magari quando (e se) Larry Ellison decidesse di lasciare, Bertarelli abbia voglia di tornare. Pur se difficilmente lo farebbe in qualità di membro dell’equipaggio, visto che sulle barche di questa Coppa America per lavorarci bisogna essere sul serio dei funamboli...». Funamboli che, tuttavia, il Ticino arrischia di non vedere. Almeno in tivù, siccome in Svizzera i diritti non li ha acquistati nessuno, e in Italia a tramettere la Coppa sarà Mediaset Premium sul digitale terrestre... «Al Circolo, però, noi qualcosa organizzeremo. Abbiamo sempre diffuso pubblicamente le regate, e stiamo studiando il modo per riuscirci anche stavolta».