La storia di un miracolo atteso per centocinquant’anni
Quando, nel lontanissimo agosto del 1851, qualcuno forgiò la Brocca d’argento dal costo di cento ghinee (l’equivalente, all’incirca, di cento sterline attuali), lo fece per premiare chi, tra americani e inglesi, avrebbe vinto il duello attorno all’Isola di Wight. All’epoca nessuno si sarebbe sognato che, un giorno, a metterci le mani sopra sarebbe stato l’equipaggio di una barca svizzera. Ossia di un Paese che non ha neppure sbocchi sul mare. Invece capitò. E il merito fu di Ernesto Bertarelli, magnate ginevrino che ha fatto fortuna nel campo delle biotecnologie, e il cui patrimonio supera i dieci miliardi di dollari. Grandissimo appassionato di vela, tanto da farne il suo mestiere, Bertarelli in due anni e mezzo mette in piedi un progetto ambizioso sul serio, il cui costo – se le stime non mentono – avvicina i cento milioni di franchi, e che inizia strappando ai neozelandesi il timoniere Russel Coutts e un paio d’altre personalità che fecero la fortuna dei kiwi nelle edizioni del 1995 e del 2000. Uno squadrone, su una barca studiata e realizzata ad arte sino all’ultima vite, che nel 2003 vinse la Louis Vuitton Cup stracciando Bmw Oracle di un Larry Ellison che se la legherà al dito (5-1), e poi affondò New Zealand in finale (5-0), portando infine il coppone nel Vecchio continente. Impresa che fin lì, in un secolo e mezzo di regate, non era riuscita a nessuno. Che quel trionfo non fu frutto del caso lo prova la difesa del titolo quattro anni dopo a Valencia, dove Alinghi sconfisse ancora Team New Zealand (5-2). Quella fu l’ultima volta di Bertarelli. Infatti, battuto una prima volta nell’inverno del 2013, in un’edizione smilza (finita 2-0) e stremata da mesi e mesi di battaglie in tribunale, decise che ne aveva abbastanza. E dopo aver minacciato di andarsene, qualche mese dopo lo fece sul serio. Continuando la sua avventura su altre classi, come l’Extreme Series, i catamarani da dodici metri con cui gareggia tuttora.