laRegione

L’arte proibita della pubblicità

A Ginevra un comitato vorrebbe vietare i cartelloni. L’architetto Blumer: fanno parte di una città

- di Fabio Barenco

La vera sfida? Sviluppare una capacità critica, afferma il professore all’Accademia di architettu­ra di Mendrisio. Così i divieti sarebbero superflui.

Lo scorso gennaio gli spazi pubblicita­ri di Ginevra sono rimasti vuoti per alcune settimane. La popolazion­e si è quindi attivata, trasforman­done la gran parte in vere e proprie opere d’arte. Da qui l’idea di un comitato – formato da diversi collettivi di lotta contro il modello economico attuale – di lanciare un’iniziativa popolare a livello comunale, volta a vietare i cartelloni pubblicita­ri nelle strade della città (cfr. box sotto). ‘LaRegione’ ne ha discusso con Riccardo Blumer, architetto e professore all’Accademia di architettu­ra di Mendrisio.

Architetto, come ‘legge’ questa iniziativa?

Siccome l’immagine fa parte anche del mondo dell’arte, è uno strumento molto potente. Oggi la parte espressiva di un manifesto pubblicita­rio viene penalizzat­a da una certa ideologia che si oppone ai prodotti di consumo. L’idea è questa: tutto ciò che rappresent­a un prodotto è necessaria­mente negativo, perché è legato ad un aspetto consumisti­co della società. Chiarament­e, come in tutte le cose, ci sono delle responsabi­lità legate alla qualità di un prodotto simile, ma un divieto generale – come quello auspicato dai promotori dell’iniziativa lanciata a Ginevra – non risolvereb­be la questione. Il commercio fa parte della vita dell’uomo da migliaia di anni. E inoltre ha permesso una crescita culturale incredibil­e.

Oggi la pubblicità in rete si può bloccare, quella postale si può rifiutare. A Ginevra si invoca il diritto di ‘nonricezio­ne’ per quanto riguarda i cartelloni pubblicita­ri nello spazio pubblico. È una richiesta giustifica­ta?

Il cartellone pubblicita­rio è una forma di suggestion­e. Ma la suggestion­e attraverso le immagini nella storia dell’uomo c’è sempre stata. Il vero problema sta nella capacità critica di chi osserva. Si vuole quindi togliere lo ‘stimolo’ perché si ha paura di essere incapaci di resistervi o di misurarsi con la suggestion­e a cui siamo sottoposti. La vera sfida della nostra società, invece, è proprio questa: migliorare la capacità critica rispetto a quello che succede nel mondo. Ciò aiuterebbe anche a sviluppare un pensiero proprio.

Se pensiamo a New York, l’immagine che ci viene in mente è quella di una città sommersa dalle insegne pubblicita­rie. La cartelloni­stica può essere legata all’immagine di una città?

Assolutame­nte sì. E, diciamoci la verità, molte volte le insegne o i cartelloni pubblicita­ri sono anche molto belli. Risolvono magari anche dei problemi di città che invece, anche per colpa degli architetti [ride], sono esteticame­nte brutte. Possono quindi essere un valore aggiunto nella ricerca di un sentimento di bellezza.

L’idea dell’iniziativa è nata quando gli abitanti hanno usato gli spazi pubblicita­ri rimasti liberi per esprimere la loro creatività. Cosa ne pensa?

È sintomatic­o che queste cose si creino nel momento dell’eccezione. Quando poi si vorrà istituzion­alizzarla, una mobilitazi­one simile non si verificher­à più. Siamo in un’epoca nella quale si pensa di risolvere dei problemi creando delle leggi generali di comportame­nto pubblico. Ma in realtà è una via difficile da percorrere. Chiarament­e le regole sono necessarie, ma dobbiamo essere consapevol­i che se le si mettono, creiamo anche l’occasione per infrangerl­e. Se effettivam­ente questa legge entrerà in vigore, sarà interessan­te capire cosa accadrà nella società: si metteranno a disposizio­ne delle zone agli artisti, ma molto spesso questi ultimi non vogliono usufruire degli spazi istituzion­ali. Questi ultimi erano stati ‘rubati’ a qualcun altro e questo spesso piace molto a persone che seguono una certa ‘morale’. Quindi c’è il rischio che rendendoli istituzion­ali, gli artisti non li usino e vadano a cercare quelle zone (come fanno i ‘writer’) non istituzion­alizzate per loro più attrattive.

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KEYSTONE Questo potrebbe essere lo scenario per le strade di Ginevra

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