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Al Baghdadi muore un’altra volta

- Ansa/red

Beirut/Baghdad – È morto, non è morto. La notizia della morte di Abu Bakr al Baghdadi, il leader dell’Isis, è stata di nuovo data per certa, forse per coronare quelle della caduta di Mosul. L’una e le altre viziate forse dalla fretta di chi le ha diffuse. A Mosul, benché la sconfitta dell’Isis sia indiscutib­ile, la battaglia non è ancora conclusa e restano ancora diverse sacche di resistenza; mentre dell’autoprocla­mato Califfo si afferma la morte ma non si esibiscono prove. La television­e privata irachena Al Sumariya, che già nel 2016 aveva dato notizie non verificate sul ferimento di Baghdadi, ha detto questa volta di avere saputo che l’Isis ha confermato la morte e si preparereb­be ad annunciare il nome del suo successore. Ma della notizia non c’è per ora traccia sull’agenzia Amaq o sui siti usati dallo Stato Islamico. Il Pentagono si è limitato a dire di non vere conferme della morte di Baghdadi, che non si vede in pubblico dal luglio del 2014, quando proclamò il Califfato dalla moschea Al Nuri di Mosul. Da allora le voci e gli annunci mai confermati sulla sua uccisione o ferimento si sono susseguiti senza interruzio­ne. L’ultimo quello fatto il mese scorso da Mosca, che affermava di averlo probabilme­nte ucciso il 28 maggio in un raid a sud di Raqqa, ma aggiungeva di non potere fornire prove sicure. Quanto a Mosul, un rapporto di Amnesty Internatio­nal presentato ieri parla di catastrofe per i civili. 900mila abitanti sono stati costretti a fuggire e diverse fonti parlano di migliaia di residenti uccisi. Secondo Amnesty, l’Isis avrebbe utilizzato intere famiglie come scudi umani; mentre sul fronte opposto le forze irachene e della coalizione avrebbero utilizzato “armi inappropri­ate rispetto alle circostanz­e” ed “in alcuni casi può essersi trattato di crimini di guerra”.

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KEYSTONE Dove c’era il Califfato

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