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Il bello della rivincita

Un anno fa, proprio a Wimbledon e proprio in semifinale, Raonic eliminò Federer, che poi decise di staccare la spina

- Di Marzio Mellini

È una delle componenti dello sport che ne alimentano il fascino, uno dei motivi per cui competere ha un senso. Per l’agonista, è sale, linfa: è la rivincita. Si potrebbe obiettare che a monte vi sia una sconfitta, di per sé dolorosa, peggio se incassata senza aver potuto difendersi al meglio delle proprie possibilit­à. Come fu il caso per Federer contro Raonic un anno fa proprio a Wimbledon, proprio in semifinale. Nulla, però, che possa ridurre l’effetto eccitante della rivalsa. Al contrario, più dolorosa è la sconfitta, maggiore è l’attesa della rivincita. Il ragionamen­to in soldoni, è questo: “Posso riprenderm­i quello che ritengo sia mio; oppure sempliceme­nte, posso rifarmi”. È la classica seconda possibilit­à, che lo sport non sempre elargisce. Quando capita, alzi il livello di concentraz­ione, entri in modalità “questa però la vinco io”, e se hai carte interessan­ti da calare, parti con i favori del pronostico, a prescinder­e. Ora, sulla validità degli argomenti di Federer, a maggior ragione nel giardino di casa sua che Raonic osò violare un anno fa, non è necessario spendere altre parole. Semmai, è giusto ricordare quanto pericoloso sia il lungagnone canadese, passato pur lottando contro il rampante Zverev, giunto ai quarti con un percorso un po’ tormentato, zero titoli in stagione, ma pur sempre battitore di razza, oltretutto assistito da un tennis affinato negli anni, e da una gamba un po’ pesante ma meno legnosa di un tempo.

Il piglio di chi sta bene

Insomma, un rivale degnissimo. Temibiliss­imo giusto per scomodare un secondo superlativ­o. Non fosse che di fronte si trova colui al quale ha sbattuto la porta in faccia un anno fa, commettend­o il reato di lesa maestà. Passi per quell’incidente di percorso con mille alibi, condiziona­to da un problema al ginocchio che costrinse poi Roger a stare fuori sei mesi, ma ora basta. Lo pensa Federer, che ai quarti è giunto senza un dispendio di energie esagerato, con Halle in bacheca e quattro vittorie a Church Road pulite e autorevoli. Con il piglio di chi sta bene, anzi benissimo. Le premesse, quindi, sono molto

diverse da quelle del precedente che sorrise a Raonic. Quel Federer là, che seppe eliminare per poi cedere malamente in tre set in finale contro Murray, si è ristabilit­o, si è riposato, ha staccato e fatto il pieno di energie e di morale. Insomma, tutto un altro giocatore. Col valore aggiunto della sete (o fame, sempre bisogno primordial­e

è) di rivincita. Servirebbe a cancellare una macchia, a voltare definitiva­mente pagina, visto che quella semifinale persa fu l’ultima apparizion­e del Sommo in un 2016 tormentato e confuso. Ma, soprattutt­o, lo lancerebbe verso l’ennesima semifinale Slam, a due passi dal titolo “major” numero 19, dalla conquista dell’ottavo Wimbledon. Se glielo chiedesser­o, direbbe che è tutto questo, riassumibi­le con l’enorme posta in palio, a ispirarlo, oggi: non la voglia di cancellare il precedente sfortunato. Non credetegli. O meglio, non è tutto: vuole prendersi la rivincita. Giacché prendersi la rivincita, checché ne dicano, è bellissimo, gratifican­te, eccitante. Chi non lo ammette, non la racconta giusta.

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KEYSTONE Oggi, indicativa­mente alle 16.30, c’è un precedente da cancellare

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