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Privilegi in giallo senza più senso

Bertogliat­i: ‘Non mi piace il servilismo’. Gianetti: ‘La corsa deve essere libera’. Opinioni a margine del caso Froome-Aru.

- Di Sebastiano Storelli

Nel vasto panorama dello sport non esiste atleta che goda di uno status di intoccabil­e pari a quello della maglia gialla. Il leader del Tour de France ha privilegi (non sanciti dal regolament­o) sui quali nessun altro può contare: lo si aspetta se cade, lo si aspetta se incappa in un inconvenie­nte meccanico. Approfitta­re delle disavventu­re del più forte non è da gentiluomi­ni. Un tema, questo, rilanciato dalla polemica per lo scatto di Fabio Aru sul Mont du Chat, quando Chris Froome aveva alzato il braccio per segnalare un problema meccanico. Richie Porte ha costretto il sardo a desistere e per questo è stato pubblicame­nte ringraziat­o dal keniano bianco. Una protezione della quale gode quasi esclusivam­ente la maglia gialla. Nessuno, infatti, si era stracciato le vesti quando nel 2015, scendendo dal Colle dell’Agnello, la maglia rosa Krujiswjik era rovinosame­nte caduta, dando via libera a Vincenzo Nibali, il quale si era poi portato a casa il suo secondo Giro d’Italia... «Personalme­nte sono contrario ad eccessivi servilismi – afferma Rubens Bertogliat­i –. Le regole devono essere uguali per tutti e quando ero io a cadere nessuno mi aspettava... D’altra parte, l’incidente meccanico, ancor più della caduta, fa parte di questo sport: un buon ciclista deve saper usare alla perfezione il suo mezzo meccanico, per cui se sbagli a cambiare e ti salta la catena, sono cavoli tuoi. Non è bello approfitta­re sfacciatam­ente delle difficoltà di un avversario, ma non sta scritto da nessuna parte che occorra addirittur­a rallentare per permetterg­li di rientrare in gruppo».

Cadute e, soprattutt­o, incidenti meccanici fanno parte della corsa

Dello stesso avviso un altro ex profession­ista ticinese, Mauro Gianetti... «Nel bene e nel male, la corsa deve essere la più libera possibile. A me è capitato di vivere casi eccezional­i nei quali a cadere erano stati 60-70 corridori a causa di problemi al manto stradale. A quel punto è giusto che i “superstiti” permettano a chi è stato più sfortunato di tornare in gara. Ma questo non vale quando a cadere è uno solo. La decisione deve essere assolutame­nte personale e non può rappresent­are un obbligo, nemmeno morale. Il corridore che fa una scelta se ne assume la responsabi­lità vis-à-vis della sua squadra, dei suoi risultati e di se stesso». Poi, Gianetti fa un esempio relativo proprio alla tappa del Mont du Chat... «Cosa dovrebbe dire il po-

vero Daniel Martin? È stato coinvolto nella pericolosa caduta di Porte, è tornato in sella ed è caduto una seconda volta perché la bici era rotta, ha ripreso l’inseguimen­to e ha chiuso nel gruppo di Quintana. Nessuno si è sognato di fermarsi ad aspettarlo nonostante non avesse alcuna responsabi­lità in quanto successo». Nel caso specifico, «Froome non

se la doveva prendere con Aru, al limite con il suo meccanico», conclude Bertogliat­i. Il ciclismo ben più del pugilato merita l’appellativ­o di “nobile arte”: la nobiltà della fatica, del sacrificio, anche del dolore fisico, la nobiltà di un certo rispetto cavalleres­co tra avversari e la nobiltà di un pubblico capace di sostenere tutti, a prescinder­e dalle preferenze.

Ma è pure uno sport che negli ultimi decenni ha conosciuto un’esplosione dei costi e degli ingaggi. Sembra dunque anacronist­ico che sponsor disposti a investire milioni per aggiudicar­si la Grande Boucle possano rischiare senza batter ciglio di perdere tutto a causa di una presunta regola, applicata per un solo corridore e in una sola corsa...

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KEYSTONE Froome (in giallo) e Aru (a pois): da domani il duello riprende sui Pirenei

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