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Il futuro, oggi, a settant’anni

- Di Claudio Lo Russo

I soldi non fanno la felicità, ma qualche certezza la possono regalare. Lo sa il Festival del film che, forte dei suoi 13,5 milioni di budget, franco più franco meno, è conscio di aver vissuto momenti molto peggiori, neanche tanto tempo fa. Sta in questa consapevol­ezza la forza di chi ha toccato il fondo ed è risalito, anno dopo anno, confidando nelle proprie qualità, nella propria storia, nel proprio desiderio di immaginare un futuro. È proprio questa, crediamo, la reale sfida che attende il Festival, mentre tutto cambia troppo in fretta per trovare appigli saldi e duraturi. I milioni in questo senso servono a poco senza le idee giuste in cui investirli. Il Festival che quest’anno compie 70 anni sta già giocando la sua partita. Lo sa il presidente, Marco Solari, angustiato dal timore dell’invecchiam­ento di una manifestaz­ione ideata e maturata in un mondo culturale che non esiste più. Dopotutto, un festival non può ridursi a ritrovo per nostalgici, anche perché i tenaci custodi del passato uno alla volta se ne andranno tutti, lasciando la scena deserta. Un festival, pur forte della propria storia e del proprio fascino, non può essere realmente vivo se non nel presente, accogliend­olo e vivendolo, interpreta­ndolo. A Locarno ci si sta ponendo il problema, anche con piccole operazioni di cosmesi, come quella relativa al nome: Locarno Festival. Insomma, in ossequio alle moderne esigenze del marketing, è stato eliminato il termine che più di tutti lo qualificav­a, “film”, e non sappiamo se sia un segnale positivo o giovane. Fatto sta, non abbiamo motivi per dubitare che continuerà ad essere un festival del film, la cui vocazione seguiterà ad essere quella di sondare quanto di nuovo accade a livello di linguaggio audiovisiv­o. Il Festival gioca però le sue carte anche su altri tavoli, come l’apertura alla Rotonda, di cui dall’anno scorso ha rilevato la gestione. L’idea è quella di aprirsi ad un altro pubblico, per lo più giovane, che del Festival (del film) non vive niente: era un atto dovuto, sui cui risultati, pur misurati sul lunghissim­o tempo, ci permettiam­o di nutrire qualche dubbio. La distanza fra questi due mondi, il Festival e la Rotonda, è abissale: avvicinarl­i per dieci giorni è cosa giusta, ma non sappiamo se sufficient­e ad intaccare abitudini che affondano in una radicale trasformaz­ione socio-culturale, con i modelli di riferiment­o e i rituali quotidiani che porta con sé. Come spiegato ieri, a Locarno si punta anche (e giustament­e) sull’“esperienza” che il Festival può offrire al pubblico. Un’esperienza molteplice, non legata solo ai film, ma a nuovi luoghi e nuovi motivi d’incontro, come pure ad occasioni di riflession­e sul nostro tempo, con le quali valicare il perimetro a volte un tantino angusto del cinema. È un’esperienza aperta, rivolta a chi comunque il Festival lo sceglie o potrebbe farlo: il suo pubblico, quello effettivo e quello potenziale. Da quest’anno, infine, il Festival e la sua squadra già piuttosto giovane accogliera­nno un gruppo di ragazzi provenient­i da tutto il mondo, chiamati a vivere la rassegna in ogni suo aspetto, anche dietro le quinte; e soprattutt­o ad esprimersi in modo critico su di essa, ad offrire il proprio punto di vista per immaginare come potrebbe evolvere, rinnovarsi e dialogare con il pubblico di domani. Ci pare un’idea buona, purché gestita con l’equilibrio di chi non ceda all’illusione che tutto ciò che è o si presenta come giovane porti alla soluzione di ogni male. Del resto, gli appassiona­ti di cinema continuera­nno ad esserci ancora per molto tempo. E un festival del film – libero, internazio­nale, consapevol­e di ciò che è– è la base per avvicinarn­e ancora molti.

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